Caccia o banco frigo? Questione di etica…

Basta postare l’immagine di un selvatico abbattuto per attirare su di se le antipatie degli utenti dei social, ma, se anche loro consumano carne, la difesa dei diritti degli animali si trasforma in fretta in ipocrisia

Condividere sui social scatti delle proprie imprese venatorie, magari raffiguranti la preda abbattuta e tanto desiderata, destano sempre parecchio scompiglio, se poi a farlo è un personaggio celebre, lo scontro a colpi di post e commenti è garantito. L’ultimo caso ha visto protagonista Tim Brent, ex giocatore professionista della National hokey league statunitense, che ha commesso l’errore – secondo il punto di vista di alcuni – di postare sul proprio profilo Twitter delle foto che lo ritraggono insieme con le prede dopo l’abbattimento di un grizzly e di un alce, corredate dalla foto del freezer di casa pieno delle carni dei due animali.
La risposta dei social non si è certo fatta attendere, i più ferventi difensori dei diritti degli animali hanno immediatamente additato Brent come un assassino, augurandogli – come spesso accade – le peggiori conseguenze per il suo operato. Qualcuno, poi, che la carne la consuma, ma proprio non riesce a sopportare l’idea che nel ventunesimo secolo si debba uccidere di mano propria un animale, ha ritenuto folle anche solo pensare di fare del male a degli esseri viventi allo scopo di nutrirsi, quando si può facilmente trovare carne nei supermercati.

Ma il punto è proprio questo: si può davvero dire che acquistare carne comodamente impacchettata e ordinatamente disposta nei banchi frigo dei supermercati e delle macellerie sia più etico rispetto alla caccia? I fatti sembrano dire il contrario. Infatti, non solo il risultato finale, la morte di un animale per le nostre necessità alimentari, non è diverso, ma nei casi dell’allevamento intensivo su grande scala (da cui proviene la maggioranza delle carni che troviamo presso la grande distribuzione) è anche la qualità della vita degli animali a essere messa in discussione. Non si può non ritenere che l’alce e l’orso cacciati da Tim Brent abbiano vissuto una vita dignitosa, nel loro habitat e in assoluta libertà, ma lo stesso non può dirsi del bestiame che nasce, cresce e muore all’interno degli allevamenti intensivi.
Si tratta più che altro di uno scarico di responsabilità, della serie che se il manzo lo uccide qualcun altro è del tutto legittimo mangiarlo, ma se il cinghiale o il fagiano voglio cacciarli da me, allora devo accettare di essere considerato un assassino. È legittimo che non tutti abbiano il cuore di abbattere personalmente un animale, ma se i cacciatori e i macellai sono gli autori di un delitto, le orde di benpensanti che si riversano sui banchi frigo delle macellerie o nelle steak-house all’ultimo grido ne sono i mandanti.
Consumare selvaggina non è solo un modo etico di nutrirsi di proteine animali, ma apporta benefici anche alla salute. La British game alliance, associazione britannica che si occupa di diffondere la cultura del consumo di selvaggina e ne promuove sia la vendita da parte dei cacciatori sia l’acquisto da parte dei consumatori, ha pubblicato i dati relativi ai valori nutrizionali della carne di alcuni dei selvatici più diffusi e cacciati nel Regno Unito, confrontati a quelli della comune carne di pollo. Dalle analisi emerge che, se per 100 grammi di pollo ci sono 20,1 grammi di proteine e 105 kilocalorie, per la stessa quantità di fagiano abbiamo 27,1 grammi di proteine e solo 119 kilocalorie, mentre nel caso della pernice rossa le proteine ammontano a 25,8 grammi e l’apporto calorico è di 112 kilocalorie. Se la stessa quantità di pollo contiene 1,5 grammi di grassi e 90 di colesterolo, il fagiano ne contiene rispettivamente 1,2 e 66, soltanto 1 grammo di grassi e 85 grammi di colesterolo per la pernice rossa.
Dati, questi, che lasciano poco spazio all’immaginazione. Portare carne di selvaggina sulle proprie tavole non rappresenta solo una scelta etica e responsabile nei confronti della natura, ma fa anche bene alla salute.