Il Viminale si attrezza “contro il rischio emulazione”?

Il Viminale annuncia un rafforzamento delle attività di intelligence in Italia per evitare il rischio emulazione dopo la strage in Nuova Zelanda Si potrebbe quasi parlare di “effetto farfalla”, se non fosse che quello accaduto in Nuova Zelanda è stato purtroppo molto peggio di un semplice battito d’ali. Sta di fatto che anche in Italia, cioè all’altro capo esatto del mondo, a quanto pare l’attentato di Chirstchurch comporta conseguenze.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha partecipato, infatti, questa mattina alla riunione del Comitato di analisi strategica antiterrorismo. Secondo fonti del Viminale, riportate dal quotidiano La Repubblica, si sarebbero discusse direttive “per una rinnovata attività di monitoraggio per evitare il rischio di emulazione e l’eventualità di ritorsioni ad opera di ambienti radicali” dopo gli attentati in Nuova Zelanda compiuti nei confronti di due moschee. E questo malgrado lo stesso ministro dell’Interno abbia dichiarato che “non sono emersi legami tra l’attentatore e l’Italia”, assicurando però che “i nostri apparati di sicurezza restano vigili per monitorare la situazione”.

Per parte nostra, non possiamo far altro che plaudire all’ipotesi che eventuali situazioni di rischio costituite da soggetti radicalizzati (di qualsivoglia religione o credo politico siano) siano gestite a livello di intelligence, per la sicurezza di tutti. Sicuramente gli strumenti investigativi orientati sulle persone e sui gruppi fanatici hanno un’efficacia ben diversa rispetto agli sterili inasprimenti legislativi in materia di armi, come attualmente annunciato dal primo ministro neozelandese.
Nonostante il tempo trascorso, il settore degli appassionati ancora non ha dimenticato quando nel 2003, dopo la strage perpetrata a Milano da Andrea Calderini, l’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, anziché investigare come mai un soggetto del genere fosse stato autorizzato all’acquisto di armi (cosa per la quale, ricordiamo, vi sono state condanne giudiziarie), ritenne più “semplice” e politicamente “spendibile” costringere tutti coloro i quali avessero un porto d’armi da oltre un anno a sottoporsi a una visita medica straordinaria, salvo poi dover concludere che il settore presentava una “sostanziale affidabilità”.