Dopo il massacro, scatta puntuale il proibizionismo

Il primo ministro neozelandese, Jacinta Ardern, propone con urgenza la messa al bando delle carabine semiautomatiche. Peccato che l’attentato si sarebbe potuto evitare se…
Il metodo è ormai collaudato: si è visto in azione in Australia nel 1996, dopo i fatti di Port Arthur, si è visto in Europa nel 2015 dopo gli attentati di Parigi e Bruxelles. Si sfrutta l’onda emozionale conseguente a gravi fatti di sangue per portare avanti riforme legislative in senso restrittivo o totalmente proibizionista in materia di armi, che erano peraltro già state preparate, in molti casi, in precedenza. Così, non stupisce che le prime dichiarazioni del primo ministro neozelandese Jacinta Ardern vadano proprio in questa direzione, dopo la drammatica strage nella moschea di Christchurch, annunciando una riforma della legislazione in materia di armi e la messa al bando delle carabine semiautomatiche.
Occorre, tuttavia, considerare alcuni aspetti significativi della vicenda: da un lato, nonostante una legislazione sicuramente meno restrittiva di quella vigente nella vicina Australia, la Nuova Zelanda a fronte di un numero di cittadini con licenze in materia di armi pressoché triplo, presenta un tasso di criminalità inferiore rispetto all’Australia e l'ultimo omicidio di massa si è verificato nel 1997; inoltre, per quanto riguarda lo specifico dell’attentato terroristico, non si può non far presente che il leader del commando attentatore aveva già in precedenza, e numerose volte, annunciato sui social media le proprie intenzioni, senza apparentemente che a nessun organo di polizia sia venuto in mente di effettuare una verifica sul soggetto e sulla sua detenzione di armi. In secondo luogo, è anche opportuno sottolineare che, purtroppo, tra il momento in cui è iniziata la strage e il momento in cui le forze di polizia sono intervenute, sono passati addirittura 36 minuti, nel corso dei quali gli attentatori hanno potuto agire pressoché indisturbati.
Ancora una volta, quindi, pare che politicamente sia più spendibile la via “facile” del proibizionismo nei confronti dello strumento utilizzato per l’atto criminale, mentre ancora una volta appare drammaticamente che la differenza la faccia l’autore del crimine, piuttosto che il mezzo impiegato, nonché evidenti inefficienze da parte degli organi preposti.