Una denuncia per minacce non basta a revocare il porto d’armi

La questura di Roma aveva revocato i porti d’arma per difesa personale e caccia a un cittadino accusato di minacce per un diverbio stradale: il Tar annulla i provvedimenti, ribadendo che…

Con sentenza n. 11685 del 19 ottobre 2021, pubblicata il 12 novembre, la sezione Prima ter del Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha disposto l’annullamento dei provvedimenti di revoca del porto di fucile per uso caccia e del porto di pistola per difesa personale, nonché il divieto di detenzione di armi, disposti dalla questura di Roma, dopo che il titolare era stato denunciato per minacce profferite nel corso di un diverbio stradale. Il cittadino coinvolto aveva, peraltro, a propria volta contro-denunciato l’accusante.

I giudici hanno considerato, nella loro sentenza, che “i decreti impugnati – che hanno disposto la revoca delle autorizzazioni amministrative in possesso del ricorrente – risultano adottati esclusivamente in seguito al deferimento del ricorrente all’Autorità giudiziaria e della documentazione trasmessa dall’Istituto di vigilanza, ma in assenza di un accertamento definitivo dei fatti ad opera del Giudice penale. Sul punto, occorre rilevare come la giurisprudenza affermi che “qualora si tratti di denunce penali, l’Autorità di polizia non può limitarsi a richiamarle acriticamente, od a trarre dalle stesse un automatico giudizio negativo, ma deve operare un’autonoma valutazione dei fatti che ne sono alla base” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2011, n. 360) e che “la mera denuncia all’Autorità giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare la revoca ovvero il diniego del porto d’armi” (cfr. Tar Puglia-Bari, 15 dicembre 2005, n. 101). Occorre, peraltro, osservare che, anche in seguito alla sentenza della Corte Cost. 25 luglio 1996, n. 311, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 138, comma 1, n. 5), Tulps, nella parte in cui stabilisce che la condotta delle guardie particolari giurate debba essere “ottima” anziché semplicemente “buona”, è necessario che il provvedimento con cui viene disposta la revoca del decreto di nomina a guardia particolare giurata e della licenza di porto di pistola – che costituisce la misura sanzionatoria ben più grave della semplice sospensione – si fondi su una valutazione del comportamento complessivo del soggetto interessato, con riferimento non solo all’episodio che ne ha occasionato l’adozione ma anche ai precedenti atti come il recente rinnovo della nomina nonché alla reale consistenza degli episodi; ne deriva l’illegittimità di detta misura sanzionatoria, fondata su di un singolo episodio, per manifesta sproporzione rispetto all’altra misura possibile della sospensione (cfr. T.A.R. Lazio – Roma sez. 1 ter 25 febbraio 2021, n. 2330; Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2005, n. 5278). La valutazione del requisito della buona condotta da parte dell’Amministrazione, infatti, deve investire nel suo complesso lo stile di vita del soggetto interessato e va condotto con un approccio finalistico al tipo di autorizzazione o abilitazione che deve essere rilasciata. La valutazione di segno negativo in ordine al possesso di detto requisito deve, invero, collegarsi a fatti e circostanze che, per la loro gravità, la reiterazione nel tempo, l’idoneità a coinvolgere l’intera vita familiare, sociale e di relazione dell’interessato vengano a incidere su un piano di effettività sul grado di affidabilità e sull’assenza di mende ordinariamente esigibili per potere aspirare al rilascio della licenza di polizia (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2907). Ciò vale anche con riferimento al pericolo di abuso delle armi che, in particolare, deve essere comprovato e richiede un’adeguata valutazione non solo del singolo episodio, ma anche della personalità del soggetto interessato, che possa giustificare un giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità, come in caso di personalità violente, aggressive o prive della normale capacità di autocontrollo”. Nel caso di specie, lungi dal disporre la sospensione, doverosa nelle more degli accertamenti sulla fondatezza dei reati contestati al ricorrente, l’Amministrazione ha, invece, proceduto alla revoca, senza adeguata istruttoria e motivazione nonché in violazione delle garanzie partecipative. Tutto ciò non senza considerare che con decreto in data 27 dicembre 2016 (in data antecedente agli impugnati provvedimenti di revoca) il Gip del Tribunale di Roma, ritenuta condivisibile la richiesta formulata dal Pm il 23 settembre 2016, aveva già disposto l’archiviazione del procedimento penale avviato nei confronti dell’interessato per il reato di cui all’art. 612 c.p. non essendo stati raccolti elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.