Avanti i mancini!

Il revolver francese modello 1892 resterà nella storia per il curioso tamburo che bascula sul lato destro. Malgrado questo, si tratta di un’arma elegante e ben rifinita, seppur camerata per un calibro anemico

Nel corso degli anni Settanta del XIX secolo, tutte le principali potenze europee adottarono revolver a retrocarica a percussione centrale, chiudendo abbastanza bruscamente la breve parentesi (peraltro di grande successo) dei revolver a spillo tipo Lefaucheux. Si trattava, in linea di massima, di armi piuttosto grosse e pesanti, camerate per cartucce a polvere nera di generoso diametro (intorno ai 10-11 mm): è il caso del nostro revolver modello 1874 in 10,35 mm, del revolver francese modello 1873 in 11 mm, del revolver tedesco modello 1879 in 10,6 mm e così via. Appena una decina di anni più tardi, però, con l’evoluzione dei propellenti senza fumo, ci si rese conto che sarebbe stato possibile mantenere un buon livello di stopping power riducendo il calibro a 7,5-8 mm, ottenendo così armi più leggere e maneggevoli, nonché un certo risparmio in termini di materie prime. Arrivarono, così, i revolver svizzeri modelli 1882 e svedesi modello 1887 (su progetto Nagant), calibro 7,5 mm. In Francia, i lavori per l’adozione di un revolver di nuovo tipo cominciarono almeno nel 1884, con la presentazione, l’anno successivo, di un primo prototipo, seguito nel 1887 da un secondo, più raffinato. Questo modello ebbe una ridotta produzione di serie (meno di mille esemplari) e fu assegnato ai reparti a scopo di valutazione, ricevendo però commenti negativi. Tanto il modello 1885 quanto il modello 1887 erano revolver di tipo convenzionale, con tamburo fisso (cioè non basculante) ed espulsione a bacchetta. Fu solo tra la fine del 1891 e l’inizio del 1892 che si riuscì ad arrivare alla configurazione definitiva, con tamburo basculante, adottata ufficialmente nel giugno del 1892. Inspiegabilmente, però, malgrado la Francia avesse adottato per prima un fucile militare camerato per una cartuccia a polvere infume (il Lebel modello 1886), la cartuccia calibro 8 mm camerata dal revolver modello 1892 era ancora a polvere nera. Questo, inevitabilmente, condizionò le prestazioni, che con la palla standard blindata a naso piatto di 102 grs ammontavano a una velocità di 190 m/sec circa, con conseguente energia di appena 12 kgm. In seguito, la carica di 11,3 grs di polvere nera fu sostituita da una carica di 4,9 grs di polvere infume e la velocità arrivò fino a circa 220 m/sec, attestandosi così sui 16 kgm. Il caricamento a polvere nera rimase, tuttavia, in uso fino alla seconda guerra mondiale, caso forse unico nel panorama occidentale. Altra stranezza, il fatto che fuori dai confini francesi il revolver sia noto con il nome di Lebel, malgrado il colonnello Nicolas Lebel, presidente della commissione che aveva adottato il fucile modello 1886, non abbia alcun legame né con l’arma, né con la munizione.

La produzione del revolver modello 1892 cominciò già nell’anno di adozione presso l’arsenale di Saint Etienne, dal numero di matricola F1. Il suffisso letterale era il frutto di una suddivisione operata qualche anno prima tra gli arsenali militari francesi: all’arsenale di Chatellerault competevano i blocchi di matricole con suffissi compresi tra “A” ed “E”, a Saint Etienne competevano i suffissi “F”, “G”, H”, “J”, “K”, “L”, “M”, “N”, “P” e “Q”, all’arsenale di Tulle erano assegnati i suffissi da “R” a “V”. Generalmente, ogni lettera comprende un blocco di centomila esemplari. Il blocco di matricole “F” fu esaurito nel 1897, quindi seguì il blocco con suffisso “G” fino al 1903, al quale succedette il blocco con suffisso “H”, fino al 1915. Da quella data, sembra che l’arsenale militare di Saint Etienne abbia sospeso la produzione, dedicandosi ad armi più vitali per lo sforzo bellico. Sembra, tuttavia, che siano stati prodotti alcuni esemplari da aziende minori, riconoscibili per l’assenza delle usuali scritte. Il fabbisogno di armi corte fu soddisfatto prevalentemente con importazioni dalla Spagna di pistole semiautomatiche in calibro 7,65 mm e con revolver di vario tipo in calibro 8 mm/1892. La storia del revolver non era, però ancora conclusa, perché la produzione cominciò nuovamente nel 1921, con il suffisso letterale “I”, al quale seguì nel 1922 il suffisso “L”. Le linee produttive furono definitivamente chiuse nel 1924, prima di finire la serie “L” e con una produzione totale stimata di meno di 400.000 pezzi. La cosa strana è che la serie “I” non sembra essere stata finita, anzi i numeri di matricola di questo blocco sono piuttosto bassi. Alcuni autori statunitensi hanno ipotizzato che il suffisso “I” sia stato apposto su armi già esistenti, semplicemente riparate nel corso del primo conflitto mondiale o immediatamente dopo. La fine della produzione, però, non implicò certamente la fine dell’impiego operativo che, superata più o meno sufficientemente la prova del secondo conflitto mondiale, si protrasse fino agli anni Sessanta.

Il revolver modello 1892 colpisce a prima vista per la caratteristica, più unica che rara, di avere il tamburo ribaltabile sul lato destro, anziché sul lato sinistro come nella stragrande maggioranza degli altri revolver. Sulle ragioni di questa soluzione si sono lambiccate generazioni di studiosi, arrivando alle conclusioni più diverse: da un lato si è pensato che, in questo modo, si è potuto conservare lo sportellino previsto (nel modello sperimentale 1887 a tamburo non basculante) per il caricamento delle cartucce, utilizzandolo nel modello 1892 per liberare il tamburo. A supporto di questa tesi è il fatto che lo sportellino del modello 1892 ha mantenuto il sistema Abadie: si tratta di un dente interno che, nei revolver a tamburo non basculante, forza all’indietro il bilanciere del cane quando lo sportellino di caricamento è in posizione di apertura. In tal modo, con una mano si introducono le cartucce nel tamburo e con l’altra si preme il grilletto, causando la sola rotazione del cilindro in piena sicurezza e velocizzando, così, la ricarica. Nel revolver 1892, però, il dispositivo Abadie è del tutto inutile, perché bisogna per forza far basculare il tamburo per inserire le cartucce. Mantiene un’utilità residua nell’impedire lo sparo quando il tamburo non è perfettamente in posizione di chiusura. Un’altra tesi potrebbe considerare il fatto che, per un ufficiale, la mano destra avrebbe impiegato di preferenza la sciabola, brandendo quindi il revolver con la mano sinistra.

Il tamburo è bloccato in posizione di chiusura da un solo perno che sporge dal centro della faccia posteriore del tamburo e si inserisce in una apposita cavità nello scudo posteriore del telaio. L’espulsione dei bossoli è simultanea, per mezzo della classica stella di estrazione comandata da una bacchetta piuttosto sottile, completata però da un massiccio pomo terminale zigrinato che offre una presa eccellente.

Sulla circonferenza del tamburo sono ricavate due serie di fresature: la prima, all’estremità posteriore, ha lo scopo di consentire al dente di blocco di impedire movimenti sotto sparo, mentre l’altra serie, posta all’incirca a metà camera, è destinata ad accogliere un dente ricavato dal prolungamento del grilletto che impedisce il movimento del tamburo anche quando il grilletto non è premuto. Quindi, la pressione sulla leva di sparo sblocca il tamburo, lo fa ruotare di un sesto di giro e, immediatamente prima che il cane si abbatta, provvede nuovamente a bloccarlo. L’organizzazione meccanica è assolutamente tradizionale: cane esterno con percussore imperniato su quest’ultimo, scatto ad Azione mista facoltativa, molla cinetica a “V” con cane a rimbalzo. In pratica, il braccio inferiore della molla a “V”, quando il grilletto è in posizione di riposo, urta contro l’estremità inferiore del cane e lo costringe ad arretrare di qualche millimetro, impedendo il contatto con la capsula dell’innesco e scongiurando, così, l’eventualità di uno sparo accidentale in conseguenza di urti o cadute. Il meccanismo è protetto da una cartella posta sul lato sinistro del telaio, che anteriormente è fulcrata a un perno posto sul castello, sotto al tamburo, mentre nella parte posteriore è trattenuta da una vite prigioniera. Per lo smontaggio, quindi, basta allentare la grossa vite e far basculare la cartella, solidale al ponticello del grilletto. L’operazione consente anche di rimuovere la guancetta sinistra, in legno. Le componenti interne sono numerate in ordine crescente, indicando in tal modo l’ordine da rispettare nello smontaggio.

Gli organi di mira sono un po’ particolari: il mirino è a lama, sormontato però da un cilindretto solidale, al quale fa riscontro una tacca dalla finestra a “U” molto profonda, con gli spigoli superiori svasati. Si tratta, forse, degli organi di mira più funzionali del panorama militare dell’epoca, ben acquisibili e visibili. L’unico problema, al solito, è l’impossibilità di regolazione. La tacca è assolutamente fissa, il mirino è spinato al suo supporto e può essere rimpiazzato con altri di differente altezza, ma una regolazione in derivazione è da escludersi. Lo scatto in Doppia azione è piuttosto lungo, con un indurimento avvertibile della parte centrale della corsa (quando, cioè, il bocciolo fa ruotare il tamburo) che si alleggerisce un istante prima della caduta del cane, portando quasi per magia allo strappo del colpo. La Singola azione è decisamente migliore, dalla corsa brevissima, fluida e piuttosto leggera.

Per la prova a fuoco abbiamo utilizzato sia munizioni commerciali Fiocchi e Leon Beaux, sia munizioni ricaricate utilizzando bossoli .32-20 Winchester tagliati a misura e caricati con le palle Fiocchi Fmj di 113 grs previste per l’8 mm Steyr Roth. Purtroppo, il ridotto quantitativo di campioni commerciali non ci ha consentito di eseguire prove di rosata, ma è stato possibile eseguire rilevazioni cronografiche, che hanno mostrato una velocità delle munizioni Fiocchi (con palla Fmj di 111 grs) pari a 197 m/sec. Le cartucce Leon Beaux, dotate di una palla Fmj di 102 grs di peso e profilo identici all’originale militare (la palla Fiocchi è, invece, più rastremata) hanno sviluppato 177,2 grs. Pittoresco il fatto che le munizioni Fiocchi (piuttosto datate) erano dotate di borra in feltro, che allo sparo lasciava uno sgradevole odore di “pollo bruciato”. Le ricariche, spinte da una dose di 2,8 grs di Norma R1, hanno sviluppato una velocità di soli 158,6 grs, dimostrandosi quindi economiche per il tiro. Eravamo anche in possesso di munizioni originali militari e commerciali della Société française des munitions, caricate a polvere nera, ma in entrambi i casi si sono pervicacemente rifiutate di partire, anche se ripetutamente percosse. La polvere nera ha, evidentemente, alterato la composizione dell’innesco.
L’impugnatura è piuttosto esile, ma riempie bene la mano e l’elsa posteriore del telaio aiuta a trovare subito un ottimo feeling. Anche gli organi di mira sono ottimamente acquisibili, ma tirando a 15 metri i colpi finiscono a sinistra di circa 100 mm e il alto di circa 200 mm rispetto al punto mirato. Le reazioni allo sparo sono, inutile dirlo, modestissime.
Nell’utilizzo pratico, onestamente, il tamburo basculante a destra è scomodissimo e solo impugnando il revolver con la sinistra si riesce a eseguire la ricarica in un tempo ragionevole. Immaginiamo quale pena dovesse questo rappresentare per il soldato impegnato in combattimento…

La prova completa su Armi e Tiro di gennaio 2005
Scheda tecnica

Produttore:
arsenale di Saint Etienne

Modello: 1892

Tipo: pistola a rotazione

Calibro: 8x27R Lebel

Funzionamento: a rotazione del tamburo

Alimentazione: tamburo incernierato sul lato destro

Numero colpi: 6

Lunghezza canna: 115 mm

Lunghezza totale: 235 mm

Scatto: Azione mista facoltativa

Percussione: cane esterno, percussore imperniato

Mire: fisse

Sicura: tipo Abadie, impedisce lo scatto se lo sportellino di svincolo del tamburo non è chiuso; cane a rimbalzo

Peso: 840 grammi

Materiali: acciaio al carbonio, guancette in legno

Finitura: brunita lucida