12 anni per riavere il porto d’armi: la sentenza

L’avvocato Gabriele Bordoni pubblica e commenta la sentenza del Tar siciliano che ha ridato, dopo 12 anni, il porto d’armi che la questura aveva negato con motivazioni a dir poco inconsistenti

Il nostro consulente legale, avvocato Gabriele Bordoni, pubblica e commenta la sentenza del Tar siciliano che ha obbligato la prefettura di Agrigento a concedere nuovamente armi e licenza di porto d’armi a un cacciatore, dopo 12 anni di battaglia legale.

Tar amministrativo regionale per la Sicilia (I sezione) del 12 ottobre 2020

Il Ministero dell’interno aveva respinto il ricorso gerarchico proposto per l’annullamento di decreto emesso dal Prefetto della Provincia di Agrigento, avente ad oggetto il divieto di detenzione di armi e relativo munizionamento, sostenendo che il figlio del ricorrente fosse risultato assuntore di sostanze stupefacenti e che, pertanto, siffatta circostanza fosse da ritenere ostativa al rinnovo del porto d’armi del padre. Con sentenza del 24 gennaio 2019, il Tar per la Sicilia (Sezione Prima) adito, pur tenendo conto dell’ampiezza del giudizio prognostico in ordine all’affidabilità del soggetto rispetto all’uso delle armi, rimesso alla piena discrezionalità della Pubblica Amministrazione, rilevava come, in realtà, “il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 309/1990 non è di per sé assolutamente ostativo alla formulazione di una prognosi favorevole circa l’uso delle armi, in quanto esige una adeguata motivazione che dia conto anche degli elementi favorevoli”. Vi è più che, nel caso di specie, la condotta asseritamente ostativa non era nemmeno quella di spaccio, ma quella ben diversa della mera assunzione di stupefacenti da parte non del ricorrente ma del figlio. Ad ogni modo -si legge nella motivazione- non era di poco conto la circostanza che quella condotta fosse stata attribuita a persona diversa rispetto al richiedente, specie tenuto conto che all’epoca del provvedimento adottato, nemmeno con lui conviveva. Sicché, veniva annullato il provvedimento in questione e, contestualmente, ordinato che “la presente sentenza [fosse] eseguita dall’autorità amministrativa”.

Ora, pur formatosi il Giudicato sulla sopracitata sentenza (e pur essendo stata spedita in forma esecutiva in data 30 aprile 2019), nonostante i solleciti del ricorrente, l’intimata Amministrazione non aveva provveduto a darvi doverosa esecuzione.

Sicché, il ricorrente adiva nuovamente il Tar per la Sicilia chiedendo di ordinare all’amministrazione resistente di eseguire il giudicato nascente dalla sentenza provvedendo al rinnovo della licenza di porto d’armi per uso caccia, in via di ottemperanza.

Sempre la prima sentenza del Tar Sicilia, con sentenza del 12 ottobre 2020, rilevando che il Ministero si era sottratto, senza fornire spiegazione, a siffatto adempimento al quale era tenuto ha dichiarato l’obbligo dello stesso di adottare ogni atto necessario per dare corretta esecuzione al decisum precedente, precisando che “nel caso il Ministero non provveda, entro il termine di sessanta (60) giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione della presente sentenza, agli adempimenti legati all’esecuzione della stessa, si nomina Commissario ad acta il Prefetto di Palermo, con facoltà di delega ad un funzionario della medesima struttura, affinché dia corso all’espletamento dei predetti adempimenti nel successivo termine di sessanta (60) giorni”, riconoscendo pure al ricorrente una somma dovuta a carico dell’Amministrazione pari a dieci euro per ogni giorno di ritardo rispetto a quando avrebbe dovuto adempiere. Una decisione davvero sacrosanta e di pungolo all’inerzia urtante della burocrazia.