Il sindaco invoca restrizioni, ma l’arma era illegale

Il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, stigmatizza giustamente la sparatoria avvenuta sabato notte, ma conclude con una nota stonata invocando restrizioni sulle armi. Peccato che la pistola fosse illegale

L’occasione è sempre buona per prendersela con i legali detentori di armi, un po’ come il classico “piove, governo ladro”. Ma in questo caso facciamo obiettivamente più fatica del solito a capire quale possa, o debba, essere il nesso tra le restrizioni sulle armi legalmente detenute, invocate dal sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi e riportate da Reggio Sera, e quanto accaduto nella sua città sabato notte.

In particolare, l’operaio 43enne che ha sparato alcuni colpi di pistola all’indirizzo di un gruppo di giovani con i quali aveva avuto un alterco, non solo deteneva illegalmente l’arma utilizzata per compiere l’insano gesto, ma neanche avrebbe potuto legalmente detenerne una, visto che secondo quanto diffuso dagli organi di informazione, aveva precedenti penali per stalking.

Ciò nonostante, evidentemente, non risulta così difficile procurarsi illegalmente un’arma in Italia. In questo caso proveniente da un furto e già ci sembra di sentirle, le anime belle del disarmismo militante, affermare che “nel momento in cui nelle case non ci sarà più una sola pistola, allora i criminali non avranno cosa rubare”. Peccato che non di sole armi rubate viva la criminalità (magari…), bensì anche di armi procurate direttamente dai capienti arsenali dei Balcani, per non parlare di un fenomeno troppo spesso sottovalutato, rappresentato cioè dal quantitativo impressionante di pistole, mitra e altro che è rimasto sul territorio nazionale in seguito alle vicende del secondo conflitto mondiale. Mille rivoli diversi, insomma, che alimentano un vero e proprio (questa volta, sì, ci permettiamo di utilizzare un termine abusato) arsenale.

Allora forse invece di scatenare surreali campagne nei confronti dei legali detentori di armi, forse sarebbe più produttivo che tutti quanti, tutti insieme, ci si dedicasse a combattere la cultura del farsi giustizia da sé, del “guappo” che “si deve fare rispettare” anziché, quando è il caso, chiamare le forze dell’ordine.