Beretta 18/30, l’antenata della Storm

È la prima carabina Beretta capace di solo fuoco semiautomatico. Proposta per compiti di law enforcement, fu adottata dalla nostra milizia forestale e da alcune polizie sudamericane. I risultati, tuttavia, non furono all'altezza delle aspettative

Foto Matteo Galuzzi

La carabina semiautomatica Beretta 18/30 rappresenta il punto d’arrivo di un’evoluzione iniziata nel corso della prima guerra mondiale, allorché ci si rese conto che la pistola mitragliatrice binata Fiat 1915 era utilissima, ma assolutamente scomoda da trasportare negli assalti. Per questo scopo, sarebbe stata molto più efficace un’arma più leggera e, soprattutto, dotata di una calciatura convenzionale.
Questo concetto ebbe due sviluppi concreti simili, da un lato la carabina automatica sviluppata dalle Officine Villar Perosa, dall’altro la pistola mitragliatrice Beretta modello 1918. Si trattava in entrambi i casi di una pistola mitragliatrice Fiat “divisa in due”, con una calciatura in legno e un grilletto convenzionale al posto del maniglione con pulsante di sparo della Fiat 1915.
Il modello della Ovp fu prodotto, pare, in soli 500 esemplari ed è dubbio che abbia potuto raggiungere le linee del fronte prima dell’armistizio. Il modello della Beretta fu adottato sicuramente, seppur su piccola scala, con la denominazione di “moschetto automatico Revelli-Beretta” (Romeo Mella, nozioni sulle armi portatili, sulle artiglierie e sul tiro, Roma 1921).
Negli anni successivi, furono apportate alcune modifiche al progetto originario, incorporando un limitatore di cadenza di tiro (ricordiamo che la Fiat 1915 aveva una cadenza di oltre 900 colpi al minuto) e portando il caricatore in posizione inferiore, invece che sul dorso dell’arma come nella Fiat 1915. In effetti, in un’arma binata gli organi di mira possono trovare posto tra le due carcasse, in un’arma singola con il caricatore superiore gli organi di mira devono essere necessariamente disassati, rendendone di fatto impossibile l’utilizzo ai mancini. Furono anche sviluppate varianti dotate di solo fuoco semiautomatico.

Tutti questi prototipi utilizzavano la meccanica del progetto originale, con funzionamento a otturatore aperto. Nel corso degli anni Venti, però, si cominciò a lavorare a prototipi funzionanti a otturatore chiuso, con una meccanica più raffinata e, soprattutto, una curiosa manetta d’armamento simmetrica, posta all’estremità posteriore della carcassa e foggiata ad anello, il che dava all’arma l’aspetto di una grossa siringa (e il moschetto 18/30 sarà soprannominato, appunto, “siringone”). Dopo pochi esemplari di preserie, il selettore per il tiro a raffica fu però scartato, a favore di un funzionamento solo semiautomatico. Era nato il modello 18/30 che, più che sul mercato prettamente militare, fu proposto su quello del law enforcement, ottenendo piccole commesse in Sudamerica (per la polizia di Buenos Aires e Santa Fe) e, soprattutto, presso la milizia forestale italiana.
L’arma era funzionale e ben riuscita, l’unico suo limite era semmai costituito dal munizionamento in calibro 9 mm Glisenti, giudicato troppo anemico per un’arma lunga di impiego militare.
Il castello è di forma cilindrica, nella parte anteriore reca avvitata la canna, in quella posteriore un tappo zigrinato che trattiene l’otturatore. Al centro del tappo è presente un foro dal quale sporge la manetta di armamento foggiata ad anello. Quest’ultima è solidale a un’asta che scorre all’interno dell’otturatore e, nella parte anteriore, presenta un disco che va a contrastare con il carrello.
Coassiale all’asta è la molla di recupero, che va in battuta nella parte posteriore con il tappo di chiusura e nella parte anteriore con la coda dell’otturatore. In pratica, afferrando l’anello di armamento e tirandolo all’indietro, l’ingrossamento dell’asta contrasta con uno scalino nell’otturatore e lo tira all’indietro. Quando la corsa dell’otturatore è completa, si abbandona l’anello e la distensione della molla di recupero riporta in avanti il carrello, che preleva una cartuccia dal caricatore e la inserisce in camera.
Nel frattempo, è anche stato armato un cane interno che, tramite la pressione del grilletto, si abbatte sul percussore, facendo partire il colpo. Durante il moto retrogrado dell’ otturatore, però, la manetta di armamento (che funge anche da guidamolla) non si muove, evitando quindi di interferire con il volto del tiratore. Per ammortizzare la fine corsa dell’otturatore, nel tappo è fissato un disco di fibra.

​Il gruppo di scatto è molto semplice e ha un disconnettore a scappamento. In pratica, il dente del grilletto preme sul dente di aggancio del cane fino a causarne lo sgancio ma, una frazione di istante più tardi, il dente del grilletto sfugge dal dente di aggancio del cane, consentendo a quest’ultimo di tornare a trattenere il cane, armato nuovamente dal moto retrogrado del carrello. Questo tipo di disconnettore ha il vantaggio di essere molto semplice, ma ha il difetto di consentire lo sparo ad arma non completamente chiusa, con il rischio di pericolosi rigonfiamenti del bossolo. La sicura manuale è costituita da una levetta scorrevole in senso trasversale, posta sopra al grilletto. Si tratta di una semplice lamina che, spostata verso destra, interferisce fisicamente con la leva di scatto impedendone l’arretramento. La sicura, quindi, non blocca l’otturatore, consentendo l’armamento o la rimozione del colpo in canna.
L’alimentazione è data da un raffinato caricatore bifilare a presentazione singola della cartuccia, dotato di un inconsueto cursore nella parte frontale che, come nella Luger o in molte pistole calibro .22 lr, ha lo scopo di agevolare il riempimento abbassando l’elevatore. Erano previsti caricatori da 10 e 25 cartucce, uguali in tutto eccetto, ovviamente, che per la lunghezza.
Il bocchettone del caricatore è provvisto di uno sportello scorrevole parapolvere, simile a quello di cui è dotato il Mab 38A.
Il serbatoio è trattenuto da una leva a bilanciere posta nella parte posteriore del bocchettone.
Molto particolare il dispositivo dell’hold open che, per certi versi, ha un funzionamento opposto a quello dei dispositivi odierni. Si tratta, infatti, di una leva a bilanciere posta sul lato destro del castello, che blocca l’otturatore in posizione di apertura non solo quando il caricatore è vuoto, ma anche quando il caricatore è assente. Per riportare l’otturatore in chiusura, si può agire in due modi: o si inserisce un nuovo caricatore, senza necessità di intervenire su altri comandi, o si spinge all’indietro un piccolo nottolino zigrinato posto sul lato destro della finestra di espulsione. La ragione di questa apparente stranezza è semplice: nel caso in cui il caricatore vada perduto, è possibile sparare agevolmente colpi sciolti, introducendo la cartuccia in canna e azionando solo l’hold open, senza dover intervenire sulla manetta di armamento. Questa qualità risulta particolarmente utile nel tiro in appoggio, quando anche il corto serbatoio di 10 colpi risulta d’impaccio.

​Le mire sono costituite da un mirino a lama innestato a coda di rondine sul supporto della baionetta pieghevole a spiedo, mutuata dal moschetto 1891 da cavalleria, e da un alzo a tangente con regolazione tra i 100 e i 500 metri, con incrementi di un ettometro. L’esemplare di pre-serie che abbiamo potuto esaminare (numero di matricola 5), dotato di capacità di fuoco a raffica, ha un alzo tarato fino a 600 metri. Considerando le qualità balistiche della cartuccia, ci sembra in entrambi i casi che si sia peccato di ottimismo. I fornimenti sono in acciaio e sono costituiti da un bocchino anteriore, attraversato dalla vite della maglietta per la cinghia, e da un calciolo in ferro posteriore, con portello basculante per l’alloggiamento della bacchetta di pulizia in due pezzi. L’attacco posteriore della cinghia è avvitato sul lato sinistro della pala del calcio, come sul ’91 cavalleria. Il ponticello è, invece, mutuato dal vecchio Vetterli 1870 e presenta uno sperone appoggiadito inferiore. Negli esemplari di produzione più tarda, questo dettaglio è stato sostituito da un ponticello di forma più convenzionale.
Per la prova di tiro, svoltasi nell’ottima struttura del poligono di Rovereto (Tn), abbiamo utilizzato munizioni ricaricate con bossoli 9 mm Luger e 3,8 grs di polvere Winchester 231, dietro a una palla ramata ogivale del peso di 124 grs. Questa ricarica ha praticamente duplicato le prestazioni della cartuccia originale.
La prova di precisione si è svolta con arma in appoggio anteriore, sulla distanza di 50 metri. Sarà per la ridotta lunghezza di canna (320 mm) ma, nonostante la rigatura fosse in ottimo stato, non siamo riusciti a tirar fuori rosate decenti, perché la dispersione è stata notevole. Il miglior raggruppamento è stato di 3 colpi in 130 mm, davvero mediocre. Parzialmente responsabile anche lo scatto, lungo e di peso sostenuto. Di tutto rilievo, per contro, l’affidabilità: l’alimentazione è sempre stata impeccabile con entrambi i tipi di caricatore, anche nel corso di una serie di tiro rapido (il filmato è visibile sul nostro sito www.armietiro.it).
La stabilità è eccezionale, sembra di sparare con una calibro .22 lr, il rinculo (modesto) si scarica in modo perfettamente rettilineo. I bossoli sono proiettati sopra l’arma con vigore e, se si spara sotto una tettoia, rimbalzano su quest’ultima atterrando con precisione sulla testa del tiratore. La particolare manetta di armamento, invece, non ci ha favorevolmente impressionato: se non si orienta l’anello in modo opportuno, arretrandolo ci si schiaccia dolorosamente la punta del dito tra l’anello e il castello.
Lo sforzo richiesto è, tra l’altro, davvero sostenuto, ma più che alla durezza della molla di recupero questo va imputato alla resistenza offerta dalla molla del cane.

L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – settembre 2005

Produttore: Beretta spa, via Pietro Beretta 18, 25063 Gardone Val Trompia (Bs), tel. 03.08.34.11, fax 03.08.34.13.99, www.beretta.it
Modello: 18/30
Tipo: carabina semiautomatica
Calibro: 9 mm Glisenti
Funzionamento: chiusura labile
Alimentazione: caricatore bifilare a presentazione singola
Numero colpi: 10 o 25 cartucce
Lunghezza canna: 320 mm
Lunghezza totale: 855 mm
Scatto: diretto
Percussione: cane interno
Sicura: manuale sul grilletto
Mire: mirino a lama innestato a coda di rondine, alzo a tangente graduato fino a 500 m
Peso: 3.000 grammi circa
Materiali: acciaio al carbonio, calciatura in faggio
Finiture: castello e canna brunite, otturatore in bianco
Numero del Catalogo nazionale: 11.939 (arma da caccia)