Parco Adamello Brenta: la gestione dell’orso deve essere scientifica

Orso bruno marsicano. PARCO NAZIONALE D'ABRUZZO

Il presidente del Parco Adamello Brenta, Walter Ferrazza, ultimamente ha ribadito i concetti che hanno contraddistinto il progetto di reinserimento dell’orso nella regione Trentino. E precisamente del progetto Life Ursus, che definì a suo tempo i contorni che avrebbero dovuto gestire l’eventuale popolazione di plantigradi che ne sarebbe dovuta derivare. Infatti “Per un’accettazione nel medio-lungo termine della presenza dell’orso, è necessario l’avvio di un programma di carattere tecnico-scientifico e socio economico finalizzato alla individuazione di una soglia numerica di orsi tollerabile sul territorio”. Parole, a nostro modo di vedere, di buon senso per qualunque persona che in ogni forma si interessi di orsi e si intenda di ambiente. Detto in parole povere: in un territorio possono vivere un certo numero di animali di questa o quella specie. E non di più. Ferrazza ha elencato tutte le regole e tutti gli intenti che erano chiarissimi e ben stabiliti prima della reintroduzione dei primi due orsi nel 1999, Masun e Kirka. Infatti, continua ancora, “Gli orsi si sarebbero dovuti adeguare alla nostra presenza sul territorio”. Il concetto è che la via logica e costruttiva per stabilire una biodiversità equilibrata e compatibile, è proprio l’adattamento della specie, o di qualunque altra specie, alla presenza umana che c’è su un determinato territorio. Non il contrario. Come sempre, tuttavia, qualunque progetto, anche il più vincente (calcolando che in poco più di venti anni il numero degli orsi oscilla tra i 90 e i 100 esemplari), non ha tenuto conto del male peggiore: l’animalismo imperante, che all’inizio accetta i termini del “contratto” o del progetto, ma poi, come si comincia a parlare di limitazione logica dei capi su un territorio di qualunque specie, tra cui gli orsi, tira fuori il peggior nemico della Natura, dell’ambiente e della tanto decantata biodiversità, cioè l’esasperazione dell’animalismo. Che ha determinato, in Italia, la fallimentare gestione di tanti parchi e aree protette. Quindi, come si prospetta l’abbattimento o la limitazione di un’animale, subito si mette mano all’emotività retrogada e antitecnica del salvataggio a oltranza del singolo individuo, anziché dell’interesse di tutta la specie.

Naturalmente, al presidente Ferrazza le associazioni animaliste hanno subito contestato che tali dichiarazioni sono inquinate dal fatto risaputo della sua appartenenza alla categoria dei cacciatori. Questo la dice lunga sull’equilibrio e la razionalità di chi pretende di poter mettere bocca sulla gestione della fauna in Italia, che dovrebbe volgere lo sguardo verso Paesi con grandi capacità naturalistiche e faunistiche, come la Slovenia, che a fronte di una popolazione di circa mille orsi lamenta anche una serie di attacchi all’uomo, proprio per i troppi animali nel territorio: 27 attacchi nel 2010, 4 nel 2023, 3 nel 2022, 2 nel 2021 e 3 nel 2020. E dove gli abbattimenti programmati, e necessari di orsi problematici, possono essere fatti anche da cacciatori selezionati e qualificati. E paganti, con soldi che portano possibilità di ulteriore protezione alle specie, tutte, esistenti. Orsi compresi.