Tagliare la canna non è alterazione

Una ordinanza del tribunale di Sassari conferma che l’accorciamento della canna di un’arma lunga non è di per sé alterazione d’arma. Un risultato importante ottenuto anche con il contributo di Assoarmieri

Il tribunale di Sassari ha emesso lo scorso 10 settembre (registrazione in cancelleria del 16 settembre) una importantissima ordinanza che fornisce un precedente giurisprudenziale significativo sulla delicata materia dell’accorciamento delle canne nei fucili da caccia (e non solo).

L’ordinanza è scaturita dalla richiesta di dissequestro operata dall’avvocato difensore di un armiere riparatore, al quale era stato sequestrato un fucile da caccia Breda calibro 12, perché si riteneva sussistente il reato di alterazione d’arma, in quanto la canna era stata accorciata a 47,5 centimetri di lunghezza. L’ipotesi difensiva, formulata con la collaborazione del servizio “Pronto Assoarmieri”, ha eccepito che l’accorciamento non aveva comunque mutato la natura di arma lunga del fucile in questione, che secondo la normativa europea stabilisce una lunghezza minima di canna pari a 30 centimetri e una lunghezza totale minima pari a 60 centimetri. La corte ha concordato con tale tesi, ribadendo che “non costituisce un dato individualizzante dell’arma la specifica misura dalla stessa posseduta, nel senso che è del tutto giuridicamente irrilevante, sotto il profilo dell’attribuzione della qualità di arma comune da sparo o della sua conseguente commerciabilità, il fatto che un determinato modello di arma corta o lunga prodotto o importato con determinate dimensioni venga in proseguo riprodotto o reimportato più volte con dimensioni ridotte o maggiori, purché tali variazioni rispettino i limiti correlati alla qualifica di arma corta o lunga posseduta dal modello originario”. La corte ha osservato inoltre che “qualunque modificazione apportata nella fase della sua circolazione alle dimensioni di un’arma lunga mantenuta entro i limiti per essa stabiliti nell’allegato IV della direttiva europea, non integra il reato di alterazione di arma di cui all’art. 3 l. 110/75. Ed invero (e facendo un esempio a cifre arrotondate), se la produzione o l’importazione di armi lunghe può avere ad oggetto anche quella con una canna lunga 30 cm, ciò significa che essa non realizza quella maggiore occultabilità o quella facilità di uso o di porto necessarie per la sussistenza della citata violazione penale. Quindi, se il detentore di un’arma lunga già verificata con canna di 40 cm, decidesse di portare la canna alle dimensioni di 32 cm (personalmente o ricorrendo a personale qualificato), non commetterebbe alcun illecito, perché un’arma del genere, risultando nei limiti metrici fissati normativamente per l’arma lunga, sarebbe immettibile tout court da parte del Banco nel circuito commerciale quale arma comune da fuoco lunga, a prescindere dalla precisa lunghezza della sua canna. E questo perché in sede di verifica ai fini dell’attribuzione a una determinata arma della qualifica di arma comune da fuoco rileva solo l’accertamento della sua qualità di arma lunga o arma corta attestata dalla corrispondenza dell’arma ai dati metrici fissati in generale dal legislatore europeo. Nel delineato contesto, unica ipotesi di alterazione ravvisabile è, di conseguenza, quella costituita dalla riduzione delle dimensioni dell’arma lunga a quella corta, essendo le situazioni di occultabilità, e di maggiore facilità di porto e di uso, lecitamente connesse solo alla tipologia delle armi nate come corte. In altri termin è proprio di queste ultime la caratteristica di essere portate più agevolmente e in modo occulto”.

«Un risultato importantissimo», ha commentato il presidente di Assoarmieri, Antonio Bana, «il quale non solo fornisce la prima conferma giurisprudenziale a una interpretazione che nel settore è pacifica da anni, ma sottolinea anche come la tutela dei propri diritti sia possibile con successo, a patto però di agire per la difesa degli stessi nelle competenti sedi. Bisogna, quindi, crederci e crederci fino in fondo».