I precedenti non sono automaticamente ostativi al rilascio del porto d’armi

Il Consiglio di Stato (sezione terza) è tornato a occuparsi con sentenza n. 1.543 pubblicata il 22 febbraio 2021 dell’ormai famigerato articolo 43 Tulps, cioè quell’articolo del Testo unico per le leggi di pubblica sicurezza nel quale sono elencati i motivi ostativi al rilascio o al rinnovo del porto d’armi.

In particolare, era stato il ministero dell’Interno a proporre ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar di Reggio Calabria, che aveva annullato il provvedimento di diniego del rinnovo di un porto di fucile per uso caccia nei confronti di un cittadino, al quale era stato precedentemente rilasciato (validità dal 2005 al 2011). Il motivo addotto per il diniego consisteva in un antico precedente penale per un reato contro l’ordine pubblico, con condanna a un anno di reclusione (nel frattempo era però intervenuta riabilitazione). Il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso del ministero, osservando che nel nuovo assetto normativo definito dal decreto legislativo 104 del 2018, in caso di condanna per reati contro l’ordine pubblico, qualora sia intervenuta riabilitazione, “la licenza può essere ricusata”.

In tal modo”, si legge nella sentenza, “è venuto meno il precedente automatismo, in forza del quale, nonostante la riabilitazione, la condanna per un reato in materia di ordine pubblico era inderogabilmente ostativa al rilascio della licenza. Secondo l’orientamento della Sezione, che il collegio condivide integralmente, l’intervento normativo, sebbene valga solo per il futuro, esprime comunque un criterio di ragionevolezza, applicabile anche alle fattispecie precedenti l’entrata in vigore della novella legislativa. Resta fermo che la valutazione del pericolo di abuso delle armi è connotata da un’ampia discrezionalità. È dunque sufficiente a giustificare l’adozione dell’impugnato provvedimento negativo la sussistenza di circostanze che consentano di trarre una ragionevole previsione circa la sussistenza di possibili rischi di inappropriato o abusivo uso delle armi da parte del titolare, in linea con l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.109/2019, secondo cui “Proprio in ragione dell’inesistenza nell’ordinamento costituzionale italiano di un diritto di portare le armi, deve riconoscersi un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito dei bilanciamenti che- entro il limite della non manifesta irragionevolezza-mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono (…) e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica”. Nella specifica fattispecie in esame il diniego è stato fondato, in particolare, sulla sussistenza di un precedente penale per uno dei reati contro l’ordine pubblico, per i quali lo stesso legislatore attribuisce alla condanna la valenza di circostanza potenzialmente ostativa all’ottenimento di licenze in materia di armi, ai sensi dell’art.43, comma l, lettera b) Tulps. Tuttavia, l’Amministrazione non ha considerato la novella legislativa del 2018, e quindi la rilevanza della riabilitazione, avvenuta nel 2017. Ha pertanto attribuito efficacia inderogabilmente ostativa alla condanna, omettendo di valutare il complesso delle circostanze rilevanti ai fini del rilascio della licenza. Pertanto, in mancanza di una motivazione fondata (anche) su circostanze diverse o ulteriori idonee a far revocare in dubbio la non completa affidabilità del richiedente nell’uso delle armi, e fatta salva la possibilità di nuovi provvedimenti dell’Amministrazione, l’appello non può essere accolto”.

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Cdsart43