Come si combatte questa guerra?

Quella al Coronavirus è una guerra a tutti gli effetti che, per cercare di non compromettere definitivamente il nostro tessuto economico, richiede soluzioni… di guerra

“Siamo in guerra!”. Ebbene, durante un conflitto, l’autorità seleziona, arruola, addestra ed equipaggia gli uomini che devono andare a combattere contro il nemico. Il criterio di base è: età giovanile, sana e robusta costituzione. Gli anziani, le donne e i bambini restano a casa e i soldati feriti vengono ricoverati negli ospedali.

Mutatis mutandis, per i tempi a venire ci sentiamo di proporre (insieme a La nuova bussola quotidiana), una soluzione mutuata dall’esperienza bellica combinando la proposta italiana (quarantena), quella israeliana (separazione degli anziani) e quella britannica (immunità di gregge) con accorgimenti di tipo assistenziale e modulazioni di tipo statistico-sanitario.

Dato che la “sconfitta militare” sarebbe anche di tipo economico, la proposta di chi scrive è quella di far ritornare al lavoro solo gli italiani giovani e sani, lasciando a casa gli anziani, ma non solo loro: anche le persone con patologie pregresse e soprattutto anche coloro che convivono con anziani e/o persone fragili. Costoro, a parte i pensionati, dovranno essere mantenuti economicamente con un cosiddetto “Reddito di tutela”, un sussidio minimo, in modo che possano restare in quarantena, insieme con i loro parenti a rischio.

Se i conviventi giovani e sani dimostreranno di potersi avvalere di un domicilio diverso, adattandosi a vivere da soli o con altre persone “forti”, potranno tornare a lavorare. Naturalmente, le sanzioni per eventuali infrazioni dovrebbero essere molto severe.

In sostanza, la parte giovane, sana e forte della popolazione (tale da poter eventualmente ammalarsi e autoisolarsi senza – statisticamente – lasciarci le penne) dovrebbe tornare a combattere/lavorare per mantenere isolati non solo i deboli, ma anche i loro conviventi, fino a che non si stabiliscano dinamiche di immunità di gregge, condizioni di sostenibilità sanitaria o non emergano cure e vaccini. Ovviamente, dove possibile, si dovrebbe continuare utilizzare il telelavoro per modulare l’inevitabile – ma in qualche modo necessario – contagio.

Con o senza tamponi, si potrebbe cominciare col “richiamare alle armi”, in tempi stretti, le persone per fasce d’età (20-40 anni, meglio se “automunite” per evitare mezzi pubblici) previa anamnesi e visita medica, rispedirle al lavoro ben “armate” di mascherine e con un “addestramento” sanitario sulle norme di igiene da rispettare.

In questo modo, si rimetterebbe in moto la macchina economica quel tanto da non rischiare il default. Si comincerebbe a porre le basi per una immunità di gregge sostenibile guadagnando tempo.

Il “richiamo alle armi” dovrebbe essere regolato a seconda delle regioni in base all’aggressività e alla diffusione del morbo. La Basilicata, con i suoi 30 contagi, non può sottostare allo stesso regime della Lombardia che, giustamente, dovrebbe essere “a carico” del resto d’Italia.

In questo senso, parafrasando Johnson, potremmo essere costretti a “perdere pochissimi giovani”, pochi eroi, piuttosto che perdere milioni di nonni e malati. Ma fino al 26 marzo, stando all’Iss, su 6.840 deceduti, di morti accertati sotto i 40 anni, perfettamente sani, privi di patologie pregresse (cardiopatie, diabete, cancro, fibrillazione arteriosa, ipertensione) pare ce ne sia stato solo 1 (di altri 5 non si conosce l’anamnesi). Tra l’altro, la statistica dimostra che sono più esposti i maschi e quelli di certi gruppi sanguigni e anche in questo senso si potrebbero stilare opportune percentuali.

Louis Pasteur, in punto di morte, dichiarò: “Il terreno è tutto, il microbo è nulla”, ma evidentemente la sua raccomandazione è giunta fuori tempo massimo.

Bisogna far capire a tutte le persone, forti e deboli, non solo come difendersi dal virus, ma anche come rendere più forte il proprio sistema immunitario.

Così come in guerra, anche i civili vengono istruiti su come spegnere gli incendi e correre nei rifugi durante i bombardamenti, anche in questo caso la televisione, invece di limitarsi a raccomandare di lavarsi le mani, dovrebbe fare una seria operazione educativo-sanitaria della popolazione: alimentazione sana, integrazione, igiene e soprattutto abbandono delle abitudini cattive per la salute.