Il ’91 in 8×57: tra storia e leggenda

I fucili '91 italiani trasformati in 8×57 provocano da anni discussioni tra i collezionisti. Chi li ha fatti? Quando? Come? Grazie all'esame dei documenti originali tedeschi, possiamo mettere alcuni punti fermi
Foto di Matteo Galuzzi

La storia delle armi italiane modello ’91 trasformate per sparare la cartuccia tedesca 8×57
, è una delle più misteriose e intriganti, capace come poche di accendere le discussioni tra i collezionisti, fino al parossismo. La situazione è aggravata dal fatto che i documenti esistenti sull’argomento non sono completi e in molti casi sono, comunque, vaghi, lasciando aperti molti interrogativi. Dal confronto congiunto della documentazione di fonte tedesca che ci è stato possibile consultare direttamente, emergono comunque alcuni elementi molto utili a tracciare un quadro meno fumoso e di fornire ulteriori ragguagli rispetto a quanto detto nel libro 1891-Il fucile degli italiani, pubblicato da questa stessa casa editrice nel 2007. Il carteggio esistente negli archivi tedeschi dà conto di una corrispondenza intercorsa tra il Reichminister für Rüstung und Kriegsproduktion (ministero degli armamenti e della produzione bellica), il Chef der Heeresrüstung und Befehlshaber des Ersatzheeres (comando delle forze terrestri e della riserva) e la scuola di fanteria di Döberitz, relativa alla trasformazione dei fucili e moschetti italiani al calibro tedesco 7,92×57 (o 8×57, per comodità).
In ordine cronologico, il primo è un comunicato del 22 dicembre del 1944, nel quale il ministero dà l’incarico alla succursale Krieghoff di Eichfeld, in Turingia, di iniziare la trasformazione delle armi. Le aspettative sono a dir poco impegnative: la disponibilità immediata di armi italiane catturate è di 30 mila esemplari, con un’ulteriore aliquota di 40 mila circa in pronta reperibilità e ulteriori 50 mila in corso di rastrellamento nell’Italia repubblichina.
Nella comunicazione del 12 gennaio del 1945, il comando delle forze terrestri chiede alla Krieghoff di aumentare la produzione dai 500 esemplari al giorno a 1.000 al giorno, per un obiettivo stimato di 10 mila armi nella prima metà di gennaio e 15 mila per la seconda metà. Quindi, nel corso del mese di gennaio 1945, la Krieghoff stava effettivamente cominciando la trasformazione delle armi italiane al calibro tedesco, e questo dato è confortato dal registro del Waffenamt con i dati aggiornati sulla trasformazione delle armi in questione (situazione al 1° marzo 1945), che per il mese di gennaio dà conto della effettiva realizzazione di 3.100 esemplari.
Per quanto riguarda il “dove”, inizialmente è stata senz’altro la fabbrica di Eichfeld a provvedere al lavoro, fermo restando che ci risulta da altre fonti che siano stati coinvolti nella trasformazione anche opifici siti a Kufstein (Austria) e Vipiteno, vicino a Bolzano (che, in quei mesi, non era più Italia, in quanto le province di Trento, Bolzano e Belluno erano state incorporate nel Reich germanico con il nome di “Alpenvorland”). Proprio a Vipiteno (Sterzing in lingua tedesca), secondo un rapporto del 1° dicembre 1944, era previsto che confluissero (nella caserma “Gondar”, per essere precisi) i macchinari che furono dell’Armaguerra di Cremona, mentre a Mühlbach (vicino a Bressanone) era previsto l’approntamento di una ulteriore filiale della Krieghoff. Forse, con il procedere delle settimane si è deciso di unificare le due cose, mettendo i macchinari dell’Armaguerra sotto il controllo della Krieghoff in quel di Vipiteno e procedendo con la trasformazione di fucili e moschetti ex italiani (vicino all’area di approvvigionamento, quindi). Tornando al documento del 12 gennaio, si chiarisce esplicitamente che le prime 35-40 mila armi in corso di trasformazione saranno a colpo singolo (einzellader), con mire fisse tarate a 200 metri (standvisier 200 m heraus). Nel frattempo, si cercherà parallelamente di mettere a punto i prototipi con funzionamento a ripetizione (mehrlader) idonei al caricamento con le lastrine tipo Mauser.
Si dà inoltre per la prima volta conto del fatto che anche in Italia si sta provvedendo a organizzare la trasformazione di armi italiane al calibro tedesco: interessate tre aziende, senza rendere noto il nome delle stesse.
Il progetto sul quale stanno lavorando le aziende italiane, sotto il controllo del gruppo di armate “C”, prevede il funzionamento a ripetizione, con l’utilizzo delle lastrine originali del ’91, opportunamente modificate.
Nel documento si precisa che l’idea è quella di fornire una dotazione di 15 lastrine modificate per ciascuna arma, ma che ben difficilmente questo traguardo potrà essere realisticamente raggiunto.
Al 20 gennaio 1945 sono stati approntati quattro prototipi di fucili 41 modificati a ripetizione dalla Krieghoff (con alimentazione tramite piastrine tipo Mauser), e un moschetto 38 modificato a ripetizione “a Brescia” con lastrine Carcano adattate, che dovranno essere messi al più presto a disposizione delle truppe per la sperimentazione. Tre giorni dopo, cioè il 23 gennaio, il comando sottopone alla scuola di fanteria di Döberitz le armi in questione, chiedendo ai soldati addetti alle prove di chiarire se i due sistemi di alimentazione diano sufficienti garanzie di affidabilità e, in particolare per il secondo, se il serbatoio aperto inferiormente possa costituire un problema e se, in caso di danneggiamento o smarrimento delle lastrine, sia eventualmente possibile sostituirle in qualche modo.
Il 12 febbraio 1945, i militari della scuola di fanteria provano a fuoco le armi, e compilano quindi il dovuto rapporto, che viene inviato al comando il 24 febbraio 1945. Il primo elemento emerso dalla prova, è stato che gli organi di mira non erano affatto “giusti” per la distanza teorica di azzeramento a 200 metri, palesando a tale distanza uno scostamento tra punto mirato e punto di impatto compreso tra i 60 e i 90 centimetri!
Dopo aver sistemato questo problema direttamente sul campo, sono state eseguite prove di rosata a 100 metri, con accurate misurazioni dell’altezza, larghezza e diametro delle rosate.
L’arma peggiore, dal punto di vista della precisione, è risultata quella modificata in Italia, cosa peraltro prevedibile visto che era anche quella con la canna più corta e la tacca di mira più striminzita. A 100 metri, è stata evidenziata una rosata di 22,3×12,7 centimetri e un diametro di 22,5 cm. Per quanto riguarda i fucili 41, due di essi sono stati giudicati deludenti, mentre gli altri due hanno conseguito risultati giudicati “migliori”.
Non si tratta, comunque, di una bocciatura completa.
Per quanto riguarda l’affidabilità, i quattro fucili modificati per le lastrine tedesche tipo Mauser 98 (deutsche Ladestreifen) hanno esibito un funzionamento regolare, mentre il moschetto funzionante con le lastrine italiane modificate è stato vittima di una vera Waterloo: “Il sistema di alimentazione con lastrine italiane richiede particolare competenza. Il tiratore deve infatti assicurarsi che i fianchi della lastrina non siano troppo piegati né verso l’interno, né verso l’esterno. Il telaio deve assicurare la perfetta ritenzione delle cartucce, in caso contrario la prima e l’ultima cartuccia scivolano dalla posizione e interferiscono con il caricamento in velocità. Le cartucce centrali sono trattenute saldamente dalle nervature laterali, mentre le due cartucce esterne sono trattenute dalla delicata ripiegatura dei labbri, che non ha dimostrato sufficiente affidabilità. Quindi, anche se le lastrine possono essere ottenute modificando quelle italiane, disponibili in quantità, sarebbe preferibile realizzarle di nuova produzione, con una qualità paragonabile alle lastrine per il modello 88”.
Anche sul sistema di caduta inferiore della lastrina, tipica del sistema Mannlicher, il giudizio è impietoso. Colpo di grazia, ce n’è anche per gli organi di mira: “Le mire sono molto grossolane, si consiglia di applicare una tacca di mira a “U” e un mirino a lama protetto da tunnel come sulla carabina K43”.
Il giudizio riassuntivo non lascia spazio alle interpretazioni: “I fucili possono essere utilizzati come ripiego, mentre i moschetti non sembrano rispondere alle necessità. In particolare per questi ultimi, in considerazione della scarsa precisione di tiro e dei problemi connessi alle lastrine, si sconsiglia l’operazione di conversione di calibro. Al contrario, si suggerisce di utilizzare le armi italiane direttamente con le munizioni italiane (quando disponibili) per compiti di seconda linea”. Dall’esame degli esemplari superstiti, per quanto riguarda i fucili monocolpo approntati dalla Krieghoff, si è osservata la trasformazione di un buon numero di fucili 41, ma anche di fucili 38 e moschetti cavalleria e qualche Ts.
Per i fucili 41, la modifica consisteva in pratica nella riforatura e ri-rigatura nella canna, nell’installazione di un mirino più alto, nell’asportazione dell’aletta mobile dell’alzo (bastava la tacca fissa da combattimento), nell’adattamento della faccia dell’otturatore e nell’occlusione dell’apertura del serbatoio con un tacco di legno.
La matricola originale dell’arma veniva cancellata con una serie di punzonature e veniva impressa una nuova matricola, sia sulla canna (o sulla base dell’alzo), sia sulla culatta, con prefisso “H” (talvolta, più raramente, “K”).
Altri marchi tipici sono l’indicazione del calibro (7/9) sul bordino posteriore della canna, il logo del produttore (HK in tondo) sulla sommità della carcassa, e l’aquila con svastica attestante la prova a fuoco di sicurezza, su un lato della canna.
Per i fucili 38 e i moschetti, stessa procedura e stessa matricolazione ma, in più, veniva aggiunto un traversino di rinforzo tipo 98k nel calcio, in corrispondenza della vite anteriore di unione della meccanica alla cassa.
Per quanto riguarda i fucili 41 modificati con serbatoio fisso da alimentarsi con piastrine tipo Mauser 98, i prototipi usati per le prove sono al momento dispersi, ma ne sono noti altri (riscontrate per certo le matricole QG1209 e QH2122) che presentano il serbatoio modificato con un elevatore di tipo tradizionale con molla a spirale, e il ponte posteriore di culatta fresato per l’appoggio delle piastrine tipo Mauser. Quindi, è possibile che siano stati approntati ulteriori prototipi per ulteriori prove, proprio come indicato dalla scuola di fanteria.
La vox populi dice che di questa tipologia di fucili siano stati realizzati in tutto poco più di 200 esemplari, caratterizzati (almeno in base agli esemplari ispezionati) dal mantenimento della matricola originale italiana, con l’aggiunta dei banchi di prova civili del Reich (aquila/N), più il marchio del banco di prova di Ferlach (il che confermerebbe che la trasformazione sia avvenuta in un punto produttivo della Krieghoff in territorio austriaco), più l’indicazione numerica “3 45” che potrebbe indicare il mese di marzo 1945. Da quanto si legge nel rapporto del 24 febbraio, sembra che per quanto riguarda i moschetti italiani funzionanti con lastrine tipo Carcano modificate, le cose siano finite ancor prima di cominciare. Ma le cose stanno veramente così? In realtà no.
È un dato di fatto, in effetti, che di questi moschetti modificati esista un congruo quantitativo di esemplari in giro per il mondo: circa 10 mila cavalleria, e poco più di 25 mila (in base alle matricole finora trovate) Ts. Queste armi sono state cedute nel dopoguerra a Paesi mediorientali, per essere poi dismesse e cedute sul mercato civile a partire dagli anni Novanta del XX secolo.
I cavalleria hanno matricola solo numerica da 1 a 9999, mentre per quanto riguarda i Ts, esistono due gruppi distinti: un primo gruppo ha matricola solo numerica compresa tra 1 e 9999, un secondo gruppo ha matricola con prefisso Ra e Rb, da Ra0001 a Ra0999, da Ra90001 a Ra99999 e da Rb1 a Rb5365 (numero più alto finora riscontrato).
Il punto è che alcuni dei moschetti Ts con matricola solo numerica non hanno caratteristiche esattamente identiche a quelle dei moschetti delle serie matricolari Ra e Rb: innanzitutto, i moschetti solo numerici in questione hanno un mirino di foggia differente, più squadrato e alto (per una taratura teorica sui 100 metri), mentre nei moschetti con prefisso letterale, è invece la tacca di mira a risultare abbassata (fresata) rispetto al consueto.
I moschetti della serie numerica sono dotati, spesso, di canne di ricambio di moschetti Ts in 6,5 o 7,35 prodotte tra il 1938 e il 1943, riutilizzate mantenendo i marchi originali del produttore, mentre nei moschetti Ra e Rb sono usate più spesso canne di ’91 lunghi o di fucili 38 adattate e tornite, o canne realizzate (apparentemente) ex novo. Ma soprattutto i moschetti Ts “numerici” hanno spesso il punzone 4°Ut in ovale impresso sulla culatta, punzone che manca nei moschetti serie Ra e Rb e su tutti i cavalleria. Questi ultimi, a loro volta, hanno caratteristiche simili a quelle dei moschetti Ts delle serie Ra e Rb, nei dettagli appena evidenziati. In tutte queste armi, inoltre, la matricola è ripetuta a penna elettrica sulla carcassa, mentre tale operazione non risulta essere stata eseguita sui moschetti dotati del punzone 4° Ut. Osservando il solito registro Waffenamt, risulta che nel mese di febbraio 1945 sono stati trasformati in 8×57 complessivamente 12.320 esemplari di ‘91, ma c’è un richiamo nella pagina al fatto che 4.500 di essi sono stati trasformati in Italia. Cioè a Brescia. Ma noi sappiamo che a Brescia si facevano solo le trasformazioni a ripetizione con lastrine italiane modificate, non quelle monocolpo o a ripetizione con lastrine tipo Mauser. Dunque? Forse la soluzione è più semplice di quanto sembri a prima vista: mentre il prototipo veniva inviato a Berlino e si attendeva il giudizio della scuola di fanteria, semplicemente all’occupante germanico deve essere sembrato logico mandare comunque avanti la produzione, visto il bisogno disperato di armi.
Dal momento che il rapporto della scuola di fanteria è del 24 febbraio, è ben possibile che il documento sia stato messo fisicamente a conoscenza dell’autorità preposta a “fermare le macchine” a Brescia anche ben oltre l’inizio di marzo. Quindi, ecco perché al 1° marzo risultano essere state prodotte 4.500 armi!
Una volta accertato che queste armi non servivano a nulla, semplicemente la produzione sarà stata fermata, e le armi medesime non saranno state mai ritirate, restando giacenti nei magazzini.
Nel dopoguerra, è possibile che le aziende in questione abbiano cercato di “smaltire” queste armi sul mercato internazionale, o che sia stato lo stesso governo italiano a promuoverne la cessione, magari in conto danni di guerra: ecco, allora, che a fronte di un quantitativo richiesto di, poniamo il caso, 30 mila esemplari, si sia integrato il quantitativo esistente con ulteriori pezzi modificati ad hoc assemblando le parti d’arma giacenti a magazzino.
È significativo, in questo, che il blocco matricolare Ra dei moschetti in 8×57 altro non sia che la naturale prosecuzione (cioè da 90 mila in avanti, e da 1 a 999) di un blocco matricolare che la Fna di Brescia aveva utilizzato nel 1943 per i suoi moschetti 38 Ts, in 6,5 mm (iniziato con Ra1001).
Quindi, è possibile che sia stata la Fna a fare il lavoro dei Ts, mentre per i cavalleria si pensa che sia stata la Franchi a trasformarli: comunque un’azienda diversa dalla Fna, se non altro perché i vitoni trasversali di irrobustimento sono diversi nella forma. È un fatto, poi, che i Ts hanno anche il dente di ritegno dell’otturatore fresato obliquamente per consentirne il reinserimento senza dover premere il grilletto, caratteristica che già era presente nei moschetti Fna in 6,5 mm della serie “Ra1001” e che nei cavalleria manca.


L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – ottobre 2014