Beretta Ar 70/90

Per oltre vent’anni, gli appassionati italiani hanno potuto soltanto sognarlo. Finalmente, grazie a Nuova jager l’Ar70/90 (demilitarizzato) può essere acquistato. Esemplari in condizioni eccellenti, da ammirare e usare al poligono
Da almeno un paio di anni a questa parte, per gli appassionati di armi Ex ordinanza moderne del nostro esercito italiano, la Nuova jager di Basaluzzo (Al) è ormai una vera “fabbrica dei sogni”: nel volgere di poco più di un biennio, infatti, è riuscita a rendere realtà quello che nei decenni precedenti non era stato possibile neanche sognare, cioè la possibilità di detenere le versioni demilitarizzate delle armi individuali Beretta più famose e iconiche del dopoguerra, cioè (dapprima) il Fal Bm59 e, da poche settimane, l’Ar70/90. Quest’ultimo, come è noto, diversamente dalla precedente versione Ar70, non ha mai avuto una commercializzazione sul mercato commerciale italiano in versione “civilizzata” (salvi, si dice, 5 soli esemplari), quindi è rimasto veramente un sogno proibito. Finché non si è aperta la possibilità, per il noto distributore piemontese, di mettere le mani su 850 esemplari in dismissione da parte di una forza armata dello Stato che, dopo le idonee e doverose operazioni di demilitarizzazione, stanno proprio in questi giorni diffondendosi nelle armerie specializzate. Del totale di esemplari disponibili, circa la metà sarà destinata al mercato interno, mentre la restante metà sarà commercializzata all’estero. Di conseguenza, si tratta di numeri tutto sommato non grandissimi che, non potendosi oggi prevedere se e quando saranno disponibili nuovi lotti, consigliano ai cultori di questa pietra miliare della nostra storia militare di… non starci troppo a pensare sopra! Anche perché il prezzo risulta del tutto abbordabile e ben inferiore a quello della maggior parte dei derivati Ar commerciali, malgrado si stia comunque parlando di armi praticamente nuove d’arsenale, con segni d’usura pressoché assenti. L’Ar 70/90 è, dall’inizio degli anni Novanta del XX secolo (come indica parte del nome), l’arma individuale delle nostre forze armate. Rappresenta l’evoluzione diretta dell’Ar70, la prima arma militare sviluppata dalla Beretta “intorno” al calibro 5,56×45 mm.
È generalmente tramandato che le radici profonde della genesi del primo sistema d’arma Beretta in 5,56 mm risalgano al 1963, allorché fu stipulata una joint venture con la svizzera Sig, alla ricerca di soluzioni progettuali condivise da far, comunque, sfociare in esemplari di serie distinti e separati tra le due aziende. In realtà, si può affermare con cognizione di causa che tale accordo di cooperazione sia anteriore perlomeno di un anno e non esclusivamente focalizzato (almeno al principio) sul 5,56 mm, visto che esiste un prototipo Beretta, denominato Bl 62, in 7,62×51 mm che ricorda abbastanza da vicino, per usare un eufemismo, il Sig 510-4.
Sia come sia, alla fine degli anni Sessanta la Beretta era ormai pronta a proporre sul mercato militare la sua creatura, che fu denominata Ar70. Si trattava di un’arma innovativa, realizzata con ampio ricorso alla tecnologia della lamiera stampata, caratterizzata da un sistema di funzionamento concettualmente e lontanamente paragonabile a quello dell’Ak 47, quindi con otturatore a testina rotante con due alette frontali di chiusura e recupero di gas con pistone a corsa lunga. Era prevista una valvola per la chiusura del sistema di presa gas per poter sparare le bombe da fucile, investite sul tromboncino di volata, su alcuni prototipi iniziali era anche stato previsto un riferimento multiplo di mira solidale alla valvola, come sul Bm59, per il tiro delle bombe Energa, ma quasi immediatamente fu sostituito con un semplice anello di lamiera, senza riferimenti, in quanto proprio in quegli anni stavano cominciando a diffondersi le bombe da fucile di moderna generazione bullet trap che, oltre a non necessitare di una specifica cartuccia propulsiva, generalmente portano i riferimenti di mira applicati sul corpo stesso della bomba (a “perdere”).
Lo sviluppo specifico dell’Ar70 esula dagli scopi di questo articolo, giova tuttavia ricordare brevemente che, come già fu previsto con la serie Bm59, anche in questo caso la Beretta previde, con lungimiranza, una vera e propria famiglia di armi, costituita da un fucile per la fanteria con calcio fisso (nei primi prototipi in legno, quindi polimerico), da un fucile per reparti speciali (Sc, special corps) con calcio pieghevole in tubolare metallico, da un fucile mitragliatore (Ar70Lm) con canna pesante, maniglione di presa e altri dettagli specifici e da una carabina compatta (Scs), con calcio pieghevole e canna più corta. L’arma era progettata sulle caratteristiche balistiche della cartuccia all’epoca regolamentare americana, cioè la M193 con palla di 55 grani, quindi aveva passo di rigatura di 12 pollici. Utilizzava caricatori da 30 colpi leggermente ricurvi, che potevano essere sostituiti agendo su una lunga leva a bilanciere posteriore (tipo Ak).
Quest’arma si mise già da subito in evidenza per le proprie positive caratteristiche tecniche e operative, tuttavia nacque e fu proposta sul mercato, probabilmente, nel momento sbagliato, quando cioè ancora molti eserciti erano legati a filo doppio al 7,62×51 (tra i quali il nostro, che da appena una decina d’anni aveva iniziato la distribuzione dei Fal Bm59 e aveva ancora una consistente aliquota di armi ben più datate in servizio, come i Garand). Per quanto riguarda le nostre forze armate, l’arma fu venduta, in versione Sc con calcio pieghevole, praticamente solo al San Marco e all’aeronautica militare per l’armamento delle Vam, mentre il “grosso” delle nostre restanti forze armate rimase fedele, forse anche giustamente, al Bm. Occorre considerare, tra l’altro, che sia il San Marco, sia le Vam in realtà non erano mai passati (almeno non in quantità significative) “attraverso” l’adozione del Bm 59 e, per l’armamento dei propri militari, erano ancora legati al Mab calibro 9×19 mm. Arma senz’altro eccellente, ma inidonea a svolgere determinati compiti, specialmente quelli che prevedono tiri d’interdizione a distanze superiori ai 150-200 metri.
Sul finire degli anni Ottanta, anche in previsione di una ipotetica adozione del 5,56×45 mm da parte dell’esercito italiano, la Beretta decise di introdurre una serie di importanti modifiche alla cellula originale dell’arma, sia per risolvere alcune questioni tecniche che erano emerse con l’impiego pratico dell’Ar70, sia per un necessario adeguamento alle più moderne tendenze. Nacque, così, la serie 70/90 che, valutata in via sperimentale dall’esercito nel 1988-89, fu infine adottata ufficialmente e a tutt’oggi equipaggia la maggior parte dei reparti delle nostre forze armate, nelle differenti versioni (si veda l’apposito riquadro in questo stesso articolo). Per la cronaca, gli altri concorrenti, usciti sconfitti dalla competizione per l’adozione, furono il Galil, presentato dalla Bernardelli, e il G41 (versione aggiornata dell’Heckler & Koch 53), presentato dalla Franchi su licenza H&K.
Le modifiche più importanti rispetto al progetto originario sono molteplici: quella che balza agli occhi per prima è la conformazione completamente differente dell’upper receiver, che non ha più una struttura con sezione grosso modo rettangolare (in realtà è un rettangolo con una nervatura superiore, ma lasciateci fare una semplificazione concettuale…), bensì ha assunto una sezione a forma di esagono irregolare (in pratica, un rettangolo sul quale è sovrapposto un trapezio). La differenza non è semplicemente estetica, ma soprattutto pratica, in quanto è stata radicalmente modificata la struttura delle guide di scorrimento dell’otturatore: nell’Ar70 i supporti delle guide erano imbutiti nella lamiera della carcassa, nel 70/90 sono una struttura a parte, molto più robusta e massiccia, che è poi unita alla carcassa mediante ribattini. Inoltre, sulla sommità della carcassa è stato previsto un maniglione (tipo M16) amovibile e sostituibile con un attacco a sgancio rapido porta ottica di puntamento. L’Ar70 originale aveva una predisposizione per l’ottica sulla sommità della carcassa, ma non era previsto alcun maniglione.
Per quanto riguarda il lower receiver, vincolato all’upper per mezzo di due spine passanti (tipo Ar), è stato modificato… tutto, nel senso che si è passati da un caricatore di tipo originale, con aggancio tipo Ak, a un caricatore tipo Ar 15 (a norme Stanag), con duplice dispositivo di sgancio, costituito da un pulsante circolare sul lato destro e da una leva rettangolare sul lato sinistro. L’azienda gardonese ha, parallelamente, iniziato la produzione in proprio dei caricatori a norma Nato, in acciaio. Nuovo anche il ponticello del grilletto, più squadrato e robusto ma, soprattutto, apribile (con la punta di una cartuccia o con l’utensile multiplo in dotazione) e ribaltabile verso il basso, lungo l’impugnatura, allo scopo di consentire l’accesso al grilletto anche indossando guanti invernali. Nuovo il profilo dell’impugnatura a pistola, cava internamente e dotata di uno sportello con chiusura a molla per contenere il kit di pulizia. Nuovo, soprattutto, il sistema di scatto, ovviamente a cane interno, tra i più sofisticati della categoria, visto che prevede come dotazione standard quattro posizioni: sicura, colpo singolo, raffica di tre colpi, raffica libera. Il gruppo di scatto è stato concepito secondo criteri di modularità, consentendo di avere, in alternativa a questa configurazione, il classico selettore a tre posizioni (sicura, colpo singolo, raffica libera), oppure colpo singolo e raffica di 3 colpi, oppure solo colpo singolo. Anche in questo caso, come per lo sgancio del caricatore, è stato previsto fin dall’inizio un comando del selettore ambidestro.
Per quanto riguarda i fornimenti, la versione standard di fanteria (cioè il lotto acquistato da Nuova jager) è dotata di un calcio polimerico di colore nero, in Nylon e fibra di vetro, fisso, con maglietta metallica porta cinghia sul lato sinistro, alla quale corrisponde un anello sullo stesso lato del gruppo valvola di presa gas. Le versioni Sc e Scp sono invece dotate di un calcio metallico ripiegabile sul lato destro, esteticamente paragonabile, alla lontana, ai calci pieghevoli dell’Fn Fal. L’astina è anch’essa polimerica, piuttosto corta, tale cioè da arrivare poco oltre la metà della canna e del cilindro della presa di gas. Il calcio pieghevole e l’astina sono generalmente considerati gli elementi più tipici e caratterizzanti la serie 70/90 rispetto alla serie 70, in realtà è opportuno precisare che entrambi questi elementi erano già stati studiati “in vigenza” della serie 70 e offerti sul mercato a partire dal 1983, in sostituzione dei primi tipi. I modelli Ar e Sc sono dotati di serie di un bipiede ripiegabile, praticamente erede di quello del Bm59 ma notevolmente modernizzato, sia in termini di robustezza delle zampe, sia prevedendo che la ganascia di fissaggio alla canna sia apribile direttamente dal soldato (quindi amovibile), ma con una opportuna leva di sicurezza per scongiurare sganci involontari.
Per quanto riguarda la canna, è cromata internamente e ha una rigatura di nuovo tipo, sempre a sei principi ma con passo di 1:7 pollici, per stabilizzare correttamente la cartuccia d’ordinanza Ss109 con palla di 62 grani; al di là di questo aspetto, c’è un’altra differenza rispetto alla canna dell’Ar70, molto più importante, che rappresenta l’interfaccia di montaggio sulla carcassa: nell’Ar70, la canna si avvitava “a maschio” sulla barrel extension solidale alla carcassa, mentre nell’Ar70/90 la canna non presenta filettatura, bensì una flangia; durante il montaggio dell’arma, si innesta la canna sulla barrel extension solidale alla carcassa finché la flangia non appoggia correttamente, poi si avvita una apposita boccola filettata e il gioco è fatto. Con questo sistema, è possibile sostituire la canna non direttamente sul campo, però già a livello di armeria di reparto, senza particolari problemi di head space. Per garantire il corretto orientamento della canna (quindi del gruppo presa gas, quindi del mirino), è presente un apposito tassello che combacia con una sede sulla flangia e una sede nell’imbocco della barrel extension.
Il sistema di funzionamento è sempre a recupero di gas con pistone a corsa lunga; diversamente (per esempio) dall’Ak, nel quale il pistone è solidale al portaotturatore, qui il pistone è invece un componente a parte, che si innesta sul portaotturatore e vi è vincolato tramite la manetta di armamento. Quest’ultima si inserisce a scatto e può essere rimossa, per lo smontaggio ordinario, grazie a un ritegno elastico posto appena dietro, che può essere azionato con la punta di una cartuccia o il solito utensile multiplo. Rispetto alla manetta dell’Ar70, perfettamente orizzontale, quella del 70/90 risulta inclinata verso l’alto, per agevolare la manovra di armamento con la mano sinistra, se si brandisce l’arma con la destra sull’impugnatura a pistola. Come sull’Ar70, la manetta di armamento scorre parzialmente in una scanalatura sul castello, alle spalle della finestra di espulsione; per proteggere tale scanalatura dall’ingresso di corpi estranei e/o sporcizia, sull’Ar70 era previsto uno sportellino basculante verso l’alto, riportato pari pari solo sulla primissima versione del 70/90, per essere sostituito quasi subito da un coperchio scorrevole in senso orizzontale, sospinto da una propria molla. Quindi, quando la manetta di armamento, nel proprio moto retrogrado, spinge sul coperchio, questo scorre all’indietro, per ritornare automaticamente in avanti quando l’otturatore va in chiusura. In questo modo, la scanalatura è sempre protetta.
Il pistone della presa di gas svolge anche l’importante funzione di guida della molla di recupero, quindi l’Ar70/90 è del tipo “front drive”, nel senso che la molla di recupero è posta anteriormente. Considerando che su una moderna arma militare è obbligatorio prevedere (anche) il calcio pieghevole, sulle motivazioni logiche di questa scelta c’è poco da aggiungere. Il gruppo presa di gas è concettualmente simile a quello dell’Ar70, la valvola di esclusione per il lancio di granate è conformata nello stesso modo, qui però in più e stato previsto anche un selettore, azionabile comodamente a mano, che consente due modalità di funzionamento automatico: standard e per condizioni critiche (climi particolarmente ostili, arma molto sporca eccetera). Le due posizioni sono contrassegnate dalle lettere “O” (open, in bianco) e “C” (closed, in rosso). A prova di stupido, insomma.
Qualche parola meritano anche gli organi di mira: il mirino è a palo, protetto da alette, regolabile in elevazione agendo su di esso con l’attrezzo multiplo; posteriormente è presente una diottra a “L”, ribaltando la quale si espongono alternativamente riferimenti esatti per il tiro a 250 e 400 metri. La diottra è regolabile in derivazione, a click, agendo sulla ghiera posta sul lato destro con l’utensile multiplo o con un cacciavite. Il maniglione di trasporto è cavo nella parte inferiore, consentendo quindi la collimazione degli organi di mira standard senza alcuna interferenza. Inoltre, sulla sommità del maniglione è presente un complesso tacca-mirino per il tiro istintivo a distanza ravvicinata, con riferimenti luminescenti.
Gli esemplari ricevuti dalla Nuova jager, che abbiamo potuto esaminare dal vivo, sono in condizioni di conservazione semplicemente strepitose, tanto da far pensare che siano stati impiegati per giuramenti, parate e poco altro. La finitura superficiale è integra al 99,9 per cento, la canna è nuova di zecca (che tra l’altro, essendo cromata internamente, c’è il caso che duri anche più del proprietario…), l’otturatore non ha segni soverchi di scorrimento. Insomma, sono armi Ex ordinanza, ma “nuove”. Uno dei principali timori degli appassionati, ovviamente, è che la procedura di demilitarizzazione abbia comportato lavorazioni antiestetiche come fresature, saldature in zone visibili dell’arma. In questo caso, occorre sottolineare come le operazioni siano state estremamente rispettose dell’estetica, che è rimasta pressoché inalterata. Per quanto riguarda il tromboncino, questo è stato assottigliato nel diametro ed è stata allargata e modificata la fresatura entro la quale dovrebbe trovarsi la molla di ritegno della bomba, per impedirne l’impiego appunto con le bombe da fucile; ovviamente è stato fresato il portaotturatore asportando la propaggine che aziona la leva di consenso della raffica. La modifica più sostanziale è stata apportata al gruppo di scatto, eliminando la leva di consenso raffica, sostituendo il relativo perno (che è anche quello del grilletto) con uno di maggior diametro, eliminando tutte le componenti del contatore della raffica limitata e occludendo anche tutti i relativi fori di montaggio nel carter interno. Il selettore è stato anch’esso modificato, riempiendo con saldatura le sedi per il funzionamento a raffica e introducendo anche un piccolo spinotto interno che impedisce di ruotarlo oltre la posizione del colpo singolo (ma anche limando quello spinotto, l’arma non può comunque sparare a raffica in modo assoluto). Di tutto ciò, l’unica cosa visibile all’esterno è il perno del grilletto di maggior diametro (ma bisogna sapere come fosse prima…), nient’altro.

La prova completa su Armi e Tiro di febbraio 2018
Scheda tecnica
Produttore: Beretta
Distributore: Nuova jager, via Vecchia Novi 21, 15060 Basaluzzo (Al), tel. 0143.48.99.69, fax 0143.48.97.07, nuovajager.it
Modello: Ar 70/90
Tipo: carabina semiautomatica demilitarizzata
Calibro: 5,56×45 mm
Funzionamento: a recupero di gas con pistone a corsa lunga e otturatore rotante
Alimentazione: caricatori bifilari a presentazione alternata tipo Stanag
Numero colpi: 5 (possibilità di dotare l’arma di caricatori fino a 29 colpi)
Canna: lunga 450 mm, anima cromata, rigatura a 6 principi con passo di 1:7”
Lunghezza totale: 998 mm
Scatto: diretto, peso di sgancio 2.500 grammi circa
Percussione: cane interno
Sicura: manuale ambidestra sul castello
Mire: mirino a palo regolabile in elevazione, diottra a “L” regolabile in derivazione, linea di mira da combattimento sul maniglione con riferimenti luminescenti; possibilità di installazione di ottiche di puntamento rimuovendo il maniglione
Materiali: carcassa in lamiera stampata, canna e otturatore in acciaio al carbonio
Finiture: trattamento Bruniton, anima della canna e pistone cromati
Peso: 4.730 grammi (3.990 senza caricatore, bipiede, maniglia)
Qualifica: arma sportiva
Dotazione di serie: cinghia, baionetta, attrezzo multiplo
Prezzo: 1.150 euro, Iva inclusa