Accoltella i passanti a Milano: violenza urbana in escalation

Uno delle centinaia di uomini senza fissa dimora che controllano, ormai da anni, il territorio nei pressi della Stazione Centrale di Milano si è attivato in un’escalation di violenza poco dopo le 17,30 di ieri, lunedì 6 marzo.

Ha infatti compiuto quattro diverse rapine ai danni di passanti in rapida successione e senza vivere emotivamente alcun “raffreddamento”, ma anzi con un coinvolgimento emotivo che lo ha portato ad accelerare la sua azione e a vivere un crescendo di aggressività da noi ancora, se non proprio sconosciuta, quanto meno fino a ora taciuta. Basti pensare al recente accoltellamento di un passante nei pressi della Stazione di Roma Termini da parte di tre rapinatori nordafricani, sempre per cellulare e 20 euro.

La scelta delle vittime e un ricorso alla violenza senza precedenti
La scelta delle vittime è ricaduta sempre su giovani donne e la finalità della rapina sembra essere stata la sottrazione di oggetti di potenziale immediato realizzo economico, come cellulari, piccolissime quantità di denaro contante e abbonamento ai trasporti pubblici.

Teniamo a mente il dato per cui ogni predatore tende a selezionare la propria vittima in funzione della sua vulnerabilità: tanto più gli sembrerà una vittima vulnerabile ed “economica” e tanto più sarà appetibile per l’offender (Gary Becker, Teorie economiche del reato, premio Nobel nel 1992), considerazione che ci sarà di aiuto nel tentativo di capire come poter apparire “vittime antieconomiche”.

Anche il modus operandi di questo aggressore, almeno all’approccio, sembra essere stato il medesimo, vale a dire la minaccia diretta con un coltello che accompagna la richiesta di consegnare degli oggetti di valore. Di vittima in vittima, però, l’offender ha dimostrato sempre meno inibizioni proprio nell’utilizzo di quel coltello ed è questo il dato maggiormente preoccupante:

  • la prima vittima, una ragazza incontrata in un sottopasso, non è stata ferita, forse perché non ha opposto alcuna resistenza alla richiesta di consegna degli oggetti;
  • la seconda vittima, un’altra ragazza incrociata per strada, ha riportato una ferita alla mano e sarà davvero interessante capire se abbia tentato una blanda resistenza oppure semplicemente abbia tardato nella consegna del telefonino;
  • lo stesso si può dire della terza vittima, sempre una giovane donna, a sua volta ferita in modo lieve. Anche in questo caso sarà interessante capire se il suo ferimento sia stato causato da un accenno di reazione oppure se l’offender abbia tratto giovamento dal ferimento della vittima nella seconda rapina e abbia deciso di adeguare il suo modus operandi sin dall’inizio della terza rapina;
  • la quarta rapina, infine, ha visto il ferimento di quattro persone: la 23enne vittima diretta della rapina, il suo fidanzato e altri due uomini intervenuti in loro aiuto, poi ricoverati in codice rosso. In questo caso possiamo rilevare molti dati di grande importanza.

La presenza di un fidanzato non è stato deterrente sufficiente. Non sappiamo se, magari, al momento dell’individuazione della vittima il fidanzato non le fosse accanto o se, invece, l’offender abbia “alzato il tiro” facendosi forza dell’uso del coltello che aveva appena “gustato” e “testato”. Il dato è, però, che trovatosi di fronte a una reazione del fidanzato non ha esitato a infliggere colpi all’addome ed al collo (potenzialmente mortali senza alcun dubbio). Lo stesso dicasi per l’intervento di altri due passanti, anch’essi feriti gravemente.

Le cause
Le cause sono di pronta individuazione, così come sarebbero di pronta soluzione. Anzitutto l’immigrazione incontrollata di una massa enorme di persone provenienti dal sud del pianeta senza aver predisposto nulla per la loro accoglienza e integrazione ha contribuito a riempire l’Italia di disperati. Inoltre, all’interno di questa umanità si è rivelata forte la presenza di soggetti a forte propensione/esperienza criminale e di soggetti coinvolti nell’abuso di alcolici e stupefacenti nonché nel loro commercio. A tacere del fenomeno dell’importazione di vere e proprie “mafie etniche”.

La circostanza fa il paio, poi, con l’assoluta inesistenza di sistemi di controllo sociale, sia preventivi sia repressivi. Da un lato non esistono percorsi di accoglienza e avvio a certezze di residenza, istruzione e lavoro e dall’altro non esiste alcuna repressione immediata sul territorio né pena per chi delinque.

Il sistema-giustizia può dirsi inesistente. Il controllo e presidio del territorio si risolve, laddove possibile, nella presenza di unità delle forze dell’ordine, eventualmente affiancate da forze armate, con l’unica funzione di occupare qualche metro quadrato di piazze e strade cittadine e con l’unico effetto di spostare qualche metro più in là quelle che spesso sono enormi aggregazioni di soggetti alterati e pericolosi. Il fenomeno è ancora più vero se si considerano potenziali hot-spot criminali, quali le stazioni ferroviarie, da sempre infrastrutture critiche del Paese ma anche luoghi di aggregazione criminale come pochi altri. E di certo non si può dire che l’area della stazione centrale non sia, in questo senso, fortemente presidiata.

Ovviamente la responsabilità è solo politica, dato che qualsiasi ipotesi di controllo e/o intervento da parte degli operatori delle forze dell’ordine li esporrebbe a rischi disciplinari e/o addirittura penali che dovrebbero affrontare individualmente: l’approccio teso alla riconquista del territorio e al suo mantenimento in uno stato di ordine deve essere decisione politica e deve in ogni caso garantire la tutela degli operatori, sui quali è davvero tropo facile scaricare responsabilità di eventuali iniziative individuali.

Non vi è più, poi, alcuna certezza della pena. L’intervento delle forze dell’ordine non può concretamente portare ad alcuna forma di repressione giudiziale delle condotte. Il sistema processuale non garantisce la celebrazione dei processi, o quanto meno non la garantisce certo in tempi utili all’effettività della pena, complici prescrizioni che nella quotidianità, lungi dal proteggere il cittadino da una sorte processuale incerta, si risolvono solo nell’impunità di un gran numero di criminali a causa dell’incapacità degli organi di giustizia di celebrare i processi in tempi umanamente ragionevoli.

Non vi è spazio nelle carceri, né alternativa efficace e sicura per gli autori di reato davvero vittima di patologie psichiatriche. Se pure vi fossero un’adeguata prevenzione e repressione sulle strade e se pure vi fosse un sistema processuale efficiente, risulterebbe ancora inadeguato il sistema di esecuzione della pena. Le carceri scoppiano, manifestando tra l’altro una percentuale paurosa di detenuti stranieri; gli autori di reato “psichiatrici” aumentano a dismisura e le misure alternative al carcere che garantiscano rispetto della persona ma anche tutela della collettività da quei soggetti pericolosi (Rems in primis) davvero non consentono sonni tranquilli. Insomma, tutto da rifare.

Cosa si può fare
Le città sono una giungla e l’essere umano il più tremendo dei predatori. Occorre realizzare anzitutto che le nostre città non sono sempre e comunque luoghi nei quali si possa transitare e intrattenersi senza badare costantemente alla propria esposizione a rischio aggressione. A prescindere da quali ne siano le cause attuali, il dato ha sempre accompagnato l’evoluzione dell’uomo, così come di ogni altra specie: noi siamo i discendenti di quegli ominidi che, uscendo dalla caverna, si guardavano attentamente intorno… gli altri non hanno lasciato progenie!

Situational awareness. Quindi mantenere un buon livello di attenzione sull’ambiente circostante e comprendere ciò che accade intorno a noi aiuta a prevenire la vittimizzazione perché consente di avere più spazio e tempo per adeguare i propri comportamenti, come cambiare percorso, prendere una distanza maggiore dai soggetti che si stanno per incrociare lungo la strada, darsi alla fuga preventivamente, in estrema ipotesi prepararsi allo scontro e così via. È evidente che per mantenere una buona percezione dell’ambiente intorno a noi è importante non avere i nostri sensi impegnati in altro, soprattutto non avere lo sguardo fisso su smartphone e l’udito impegnato da musica ad alto volume nelle orecchie.

Essere una vittima antieconomica. Tra l’altro, mantenere viva la propria attenzione sull’ambiente circostante è già da solo un atteggiamento che riduce la probabilità di essere selezionato come vittima appetibile, perché i predatori riconoscono intuitivamente come la disattenzione sia una tra le principali cause di vulnerabilità. E questo dato è assolutamente confermato non solo riguardo a reati violenti, ma anche semplicemente nei borseggi, per esempio, sui mezzi di trasporto: una persona attenta a cosa accade intorno a lei è automaticamente una preda difficile.

Lo smartphone in mano, poi, così come orologi o altri accessori di gran valore portati in modo vistoso, rappresenta un’attrattiva immediatamente raggiungibile proprio perché esposta: non dimentichiamo, inoltre, che molti smartphone sono oggetti davvero costosi e che possono rendere un buon guadagno anche se svenduti.

La borsa non vale la vita. Tenere a mente che, oggi più che mai, anche nelle nostre città si aggirano soggetti per i quali la vita di un essere umano può valere anche meno di 20 euro. Ne discende che, nel caso in cui ci si imbatta in uno di questi predatori e ci venga richiesta la consegna di beni materiali, metterli prontamente nelle mani del rapinatore potrebbe essere sufficiente a ridurre il rischio di essere aggrediti fisicamente. Il coltello, infatti, è e resta uno strumento in grado di fare scempio anche nelle mani di persone prive di chissà quale preparazione tecnica, ma dotate di determinazione, crudeltà e zero inibizioni, anche a causa dell’alterazione da alcool o stupefacenti che quasi sempre caratterizza questa categoria criminale.

Essere pronti a fight or flight. Se non è possibile evitare di incrociare chi avremo quanto meno etichettato come “potenziale minaccia”, o se le intenzioni dell’offender vanno oltre l’impossessamento dei nostri oggetti, diventa importante essere in condizione di mettere in atto una risposta “fuga”, laddove possibile concretamente, o “lotta”: si tratta di due risposte ugualmente sensate secondo natura, poiché entrambe ci vedono impegnati in un’azione tesa alla sopravvivenza. Ovviamente anche l’ipotesi “fight” si deve tradurre in un tentativo di sopravvivere a un primo manifesto attacco diretto alla nostra persona e deve tendere alla conquista di una fuga sicura. È chiaro che la reale possibilità di sopravvivere a un attacco di coltello richiede una preparazione fuori dal comune, non tanto e solo per intensità dell’azione che ci viene richiesta, ma anche di avere appreso approcci e gestualità davvero realistici: in questo senso, essere privi di preparazione aumenta il rischio tanto quanto seguire le istruzioni di fantomatici corsi che radicano solo false certezze circa fantasiose possibilità di disarmo ed altre amenità, che non fanno altro che aumentare la probabilità di farsi davvero del male, con buona pace della coscienza della fitta popolazione di “istruttori” che propongono in rete la panacea per ogni male…

Insomma, quanto meno relativamente alla nostra incolumità individuale, è meglio imparare a essere security manager di noi stessi, valutando probabilità e impatto di eventuali eventi criminosi in nostro danno, oltre che gestori in prima persona della crisi nella quale eventualmente potremo essere coinvolti.