Vetterli 70/87/16, il ripiego per la Grande Guerra

È l'ultima evoluzione del nostro primo fucile di ordinanza a cartuccia metallica, realizzato frettolosamente per la mobilitazione della prima guerra mondiale. L'abbiamo testato con reali cartucce militari

Foto Renzo Molteni

Con l’adozione del fucile modello 1891 calibro 6,5×52, il nostro esercito fu dotato di una delle armi più moderne ed efficienti tra tutte quelle distribuite agli eserciti europei nell’ultimo scorcio del XIX secolo. Semplice e robusta, economica da produrre, quest’arma non aveva niente da invidiare ai tanto celebrati Mauser e Mannlicher né in fatto di precisione, né in fatto di affidabilità.
La cartuccia, in particolare, era un concentrato di innovazioni: innanzi tutto il calibro, decisamente piccolo per l’epoca, poi il bossolo, con il corpo cilindrico e il fondello senza orlo sporgente (rimless). Insomma, la grande prova della prima guerra mondiale vide, se non altro, l’esercito italiano con un’arma all’altezza della situazione.
Il problema che si palesò dopo il 24 maggio 1915, data dell’ingresso in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa (Gran Bretagna, Russia, Francia), non fu quindi di qualità, bensì di quantità: semplicemente, non esisteva sul territorio nazionale un numero sufficiente dei nuovi fucili per fare fronte alle esigenze di un esercito in fase di mobilitazione generale. Naturalmente, gli arsenali cominciarono una produzione "a tappe forzate", ma anche così ci si rese presto conto che non esisteva la possibilità di equipaggiare ogni singolo soldato con un ’91. Per questo motivo, fu studiata la possibilità di convertire una parte degli obsolescenti fucili Vetterli 70/87 (distribuiti, comunque, alla milizia territoriale) al nuovo calibro 6,5 mm, in modo da poter avere armi in calibro standard con tempi più rapidi rispetto a quelli richiesti dalla costruzione ex novo di un fucile.
La nuova versione del Vetterli fu adottata nel 1916 e fu denominata, pertanto, modello 70/87/16. Oltre al fucile per la fanteria, furono trasformate anche imprecisate quantità di moschetti per truppe speciali e per carabinieri. Questi ultimi, fra l’altro, non erano stati convertiti a ripetizione a partire dal 1887 (allorché fu adottato il serbatoio a scatola tipo Vitali), quindi assunsero la denominazione di moschetto 70/16. Gli unici moschetti a non essere convertiti, quindi, furono quelli per cavalleria: è possibile, però, che per le necessità dei reparti fossero già disponibili sufficienti quantitativi di moschetti 1891.

Nella trasformazione si cercò, ovviamente, di conservare il maggior numero delle parti originali del Vetterli, sostituendo o adattando soltanto le componenti direttamente interessate dall’alimentazione della cartuccia. Rimasero invariate, quindi, le dimensioni esterne della culatta, della calciatura e della canna. L’otturatore mantenne le due arcaiche alette posteriori di bloccaggio, che si vanno a impegnare in corrispondenti sedi praticate all’interno del ponte posteriore di culatta. Solo il cilindro fu assottigliato e modificato, in modo da accogliere il fondello della nuova cartuccia, sensibilmente più piccolo di quello della 10,35 mm.
La cartuccia del ’91, però, è anche leggermente più lunga di quella del Vetterli (77 mm contro 62), quindi si rese necessario allungare l’azione, asportando materiale in corrispondenza dell’estremità inferiore della finestra di espulsione. In conseguenza di ciò, fu allungata anche la corsa dell’otturatore, quindi fu aggiunta una prolunga alla guida posteriore del cilindro. Questa guida era stata applicata alle armi in occasione della loro trasformazione a ripetizione, a partire dal 1887, per sostenere l’otturatore in fase di apertura e obbligarlo a compiere un movimento rettilineo, in modo da garantire l’assenza di rilevanti oscillazioni laterali e, quindi, un minimo di affidabilità nell’ alimentazione.
La vecchia scatola serbatoio fissa tipo Vitali fu sostituita da un’altra, più lunga e stretta, concettualmente identica a quella applicata sulle armi modello 1891. In queste ultime, però, la scatola incorporava anche il ponticello del grilletto, mentre nei Vetterli si mantenne il guardamano originale (probabilmente per la maggior distanza del grilletto dal serbatoio rispetto al ’91)
Ai lati della scatola, quindi, furono applicati due tasselli in legno, per otturare le feritoie nella cassa dovute al maggior ingombro laterale del serbatoio del Vetterli. Il sistema originale era anche dotato di una ghiera, avvolta intorno al ponte posteriore di culatta, che aveva la funzione di impedire o consentire (a scelta del tiratore) il prelievo delle cartucce dal serbatoio: è il cosiddetto cut-off. Questo "interruttore" era molto in voga presso gli eserciti europei (ne era dotato anche l’Enfield, fino alla prima guerra mondiale), perché la dottrina imperante all’epoca prescriveva di eseguire i tiri sulla distanza alimentando l’arma a colpo singolo, conservando così il serbatoio pieno per il combattimento ravvicinato. ​Con la trasformazione, però, si è pensato bene di abbandonare questa opzione, quindi ruotando il nottolino di comando del cut-off non si ottiene alcun effetto.
Alcune delle armi che abbiamo avuto modo di osservare avevano il serbatoio Vitali vincolato alla cassa, invece che all’azione (i fucili erano, in tal caso, denominati "tipo P"). Per questo, ai lati del legno sono presenti due sedi nella cassa per altrettanti traversini in acciaio. In alcuni casi, con la trasformazione al 6,5 mm i fori che accoglievano i traversini sono stati opportunamente mascherati con tasselli, in altri è stata lasciata la coppia di ghiere filettate, annegate nel legno, sulle quali si fissavano i due vitoni.
La canna, ovviamente, è stata alesata, asportando la vecchia rigatura: all’interno del tubo è stata forzata una nuova canna, di diametro opportuno, camerata e rigata per il calibro 6,5 mm. Le mire sono quelle tipiche delle armi lunghe militari del XIX secolo: mirino fisso, a lama, e alzo a tangente. Quest’ultimo, nella versione in calibro 10,35 mm era tarato fino a 1.600 metri. Con il cambiamento di calibro, però, ricevette una nuova graduazione, da 600 a 2.000 metri (come per il ’91 lungo) e uno spostamento in avanti (verso il fulcro di rotazione) della tacca di mira, per tenere conto della maggior tensione di traiettoria della 6,5 mm. L’alzo del ’91, però, ha anche una tacca di combattimento (che si scopre ribaltando completamente in avanti l’alzo) tarata sui 300 metri, che sul Vetterli 70/87/16 non si riscontra. Considerando che la maggior parte degli scontri avveniva, al massimo, sui 3-400 metri, si può immaginare quali problemi dovessero incontrare i nostri fanti nel dirigere il tiro con precisione.
Essendo rimaste invariate le dimensioni esterne della canna, la baionetta originale del Vetterli può essere installata perfettamente anche su questa variante. In ogni caso, l’eccessiva lunghezza della sciabola originale (la sola lama misura 520 mm), di stampo prettamente ottocentesco, risultava notevolmente di impaccio nei corpo a corpo delle trincee carsiche. Per questo motivo, le baionette destinate ai fucili trasformati furono tagliate e nuovamente appuntite, in modo da avere una lunghezza di lama di 240 mm. La parte anteriore non venne buttata, ma fu riciclata per la costruzione di un pugnale, assegnato ai reparti d’assalto (i celeberrimi arditi). In un secondo momento, ci si rese conto che il ricciolo di guardia della baionetta era solo un impiccio, quindi oltre al taglio della lama si cominciò ad asportare anche il ricciolo, lasciando soltanto la parte diritta più vicina al tallone della lama.
Accanto a questo modello di baionetta, di larga diffusione, furono realizzati anche limitati quantitativi di baionette regolamentari del ’91, dotate però di anello e spacco sul cappuccio adatti alle dimensioni della canna e dell’attacco del Vetterli. Alcune di queste baionette hanno il manico realizzato in fusione di bronzo, per velocizzarne ed economizzarne la fabbricazione. I test di sparo sono stati eseguiti sulla distanza di 200 metri, in appoggio anteriore, presso il Tiro a segno nazionale di Rovereto (Tn).
Siamo riusciti ad approvvigionarci di un limitato quantitativo di cartucce originali militari, di produzione relativamente recente (Smi 1966). Questo, pensavamo, ci avrebbe consentito di ottenere esattamente le caratteristiche di traiettoria e raggruppamento originariamente previste in fase di realizzazione dell’arma, soprattutto considerando che la rigatura era in eccellenti condizioni, tali da far sospettare che non avesse mai sparato un colpo.
In realtà, le cose sono andate un po’ diversamente dal previsto. A dire la verità, la vetustà dell’arma e il tipo di chiusura a tenoni posteriori hanno causato un po’ di nervosismo, quindi ci siamo "infagottati" con occhiali da tiro (che è sempre buona norma indossare, insieme alle cuffie) e un elmetto anti infortunio. L’inserimento del primo caricatore ha causato un po’ di perplessità, perché per qualche misteriosa ragione in occasione della trasformazione non erano stati rimossi i labbri del precedente serbatoio Vitali. In conseguenza di ciò, il caricatore non era trattenuto soltanto dal dente che, come nel ’91, impegna il rilievo centrale sulla costola della piastrina, ma anche dai labbri superiori.
Una volta inserito, quindi, il pacchetto caricatore, è risultato impossibile estrarlo senza camerare le cartucce una per una (nel ’91, è sufficiente spingere leggermente sul caricatore e premere il pulsante di sgancio, presente anche sul nostro Vetterli). Negli altri esemplari esaminati, i labbri erano stati coscienziosamente tolti, quindi non si capisce perché proprio in questo esemplare si sia ritenuto di mantenerli.
Mandato in chiusura l’otturatore, abbiamo abbassato il manubrio e ci siamo preparati al tiro. Lo scatto non è risultato particolarmente lungo, con un secondo tempo di circa 3.000 grammi. L’esplosione della cartuccia è stata salutata da un tonfo sordo e da una spinta dolce e progressiva sulla spalla. Il bossolo è stato estratto senza alcuno sforzo ed è risultato praticamente nuovo e privo di deformazioni, quasi non fosse stato sparato.
Il bersaglio, in compenso, è risultato perfettamente intonso. Dopo una breve consultazione con i presenti e altri due-tre colpi di prova, abbiamo realizzato che, nonostante fossimo stati pessimisti mirando alla base del bersaglio, i colpi finivano comunque alti. Per riuscire a "cogliere" la targa, si è reso necessario mirare al centro del bonetto sotto i bersagli. Una volta attinto il bersaglio, però, un’altra sorpresa: i proiettili arrivavano, è vero, però assolutamente di traverso, lasciando fori fustellati di forma rettangolare. Insomma, se avessimo tirato con una canna liscia, il risultato non sarebbe potuto essere peggiore. Le rigature erano assolutamente intonse, quindi non si può imputare il risultato alla consunzione dell’anima. Il vivo di volata non presentava deformazioni. Anche i proiettili, però, erano assolutamente originali e conformi, nel diametro (.268 pollici verificati) e nel peso, a quelli impiegati nel 1916, quindi non si può sostenere che sia colpa di palle sottocalibrate o dal profilo anomalo. L’unica spiegazione che, a questo punto, rimane in piedi è che, in questo specifico esemplare, la rigatura sia stata eseguita con un passo errato, tale da non imprimere una rotazione giroscopica corretta. Non siamo in grado di sapere se e quanti altri Vetterli 70/87/16 siano affetti da questa "patologia", anche perché abbiamo ricevuto testimonianze di collezionisti che, con altri esemplari di quest’arma, sono riusciti a ottenere risultati balistici paragonabili a quelli ottenibili con un normale fucile 1891. È anche possibile che, essendo queste armi destinate tendenzialmente a reparti di seconda linea, le operazioni di trasformazione siano state condotte in modo un poco approssimativo, come d’altronde confermato dalla mancata rimozione dei labbri del serbatoio Vitali. Le testimonianze dei lettori potranno sicuramente contribuire a fare piena luce su questo aspetto.
Un’arma figlia della guerra e della fretta: così si potrebbe riassumere l’ultimo capitolo dell’evoluzione del primo fucile a cartuccia metallica adottato dall’esercito italiano.
Il Vetterli 70/87/16, tuttavia, non esaurì la propria vita operativa con la conclusione del conflitto: rimase in servizio insieme al ‘91, infatti, fino alla seconda guerra mondiale, sia in mano ai soldati "metropolitani" sia, soprattutto, in mano ai reparti indigeni di stanza in Africa orientale italiana. Una vita operativa certamente lunga, ben più di quanto fosse lecito attendersi da quest’arma di ripiego concepita al risparmio, che merita comunque di avere un posto di diritto nelle collezioni di Ex ordinanza italiane.

​L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – ottobre 2002
Produttore: arsenali militari di Terni, Roma, Torre Annunziata, Brescia, Torino
Modello: Vetterli 70/87/16
Tipo: carabina a ripetizione ordinaria
Calibro: 6,5×52
Funzionamento: otturatore girevole scorrevole
Alimentazione: serbatoio fisso, caricatore a pacchetto tipo Mannlicher
Numero colpi: sei
Mire: mirino fisso a lama, alzo regolabile in elevazione da 600 a 2.000 metri
Lunghezza canna: 862 mm
Lunghezza totale: 1.350 mm
Peso: 4.100 grammi
Numero del catalogo nazionale: 11.142 (arma da caccia)