Storia di uno scippatore indiano (e di uno Stato che non c’è)

C’è ovviamente chi, in modo anche abbastanza semplicistico, demagogico e superficiale, sentenzia “hanno fatto bene”. E chi, in modo altrettanto rigoristico e forse altrettanto superficiale, ovviamente ripete come un mantra “la violenza non è mai la soluzione”. La realtà, forse, è un po’ più complessa e articolata di così.

Stiamo parlando di quanto è accaduto a Roma pochi giorni fa e, nello specifico, del pestaggio al quale è stato sottoposto l’indiano Arshdeep Singh, 36enne irregolare senza fissa dimora. Il “trattamento” è stato impartito all’indiano da parte di un gruppo di cittadini, che lo hanno sorpreso a scippare un’anziana di 90 anni, buttandola a terra e trascinandola per sottrarle una catenina. L’operazione sembra sia stata condotta per procurarsi il denaro necessario all’acquisto di stupefacenti.

La scena è stata, ovviamente, ripresa con i telefonini da alcuni abitanti del palazzi circostanti, che l’hanno poi condivisa prontamente, rendendola, come si dice in questi casi, “virale”. Adesso le forze dell’ordine stanno cercando di identificare gli aggressori dell’indiano, per denunciarli, agevolati nel compito dal fatto che buona parte degli autori del pestaggio sarebbero già noti alle forze dell’ordine. Anche l’indiano stesso ha annunciato di volerli denunciare, rispettando quel copione che, da qualche settimana, viene agevolmente riassunto con “il mondo al contrario”.

Lo scopo di questo articolo non è quello di “parteggiare” per l’uno o per l’altro, giustificare lo scippatore o chi lo abbia picchiato. Lo scopo è quello di analizzare, in modo se possibile freddo, quanto è accaduto, per evidenziare le criticità della situazione.

Intanto, come accennato, la prima analisi degli autori del pestaggio evidenzia che almeno una parte di essi fosse costituita da pregiudicati (con particolare riferimento allo spaccio di droga). C’è chi, per esempio, afferma quindi che non si sia trattato di una iniziativa spontanea di cittadini esasperati dalla microcriminalità e dall’impunità di ladri e scippatori, bensì che si sia trattato di una iniziativa di “punizione” da parte di elementi della criminalità organizzata, nei confronti di un “lupo solitario” che si è reso colpevole di aver tentato un reato senza “chiedere permesso” in un territorio che non gli appartiene. In questo momento non vi sono elementi né per confermare, né per smentire questa ricostruzione. Una spiegazione “intermedia” potrebbe consistere nel fatto che anche per “semplici” pregiudicati, esiste un codice morale secondo il quale prendersela con una anziana è un atto esecrabile. E di certo un gruppo di pregiudicati è meno avvezzo al galateo e al bon ton di un cittadino incensurato…

Il reato?
Forse conviene anche parlare del reato in sé, che ha dato l’avvio a tutta la vicenda. Il furto con strappo di per sé sarebbe disciplinato dall’articolo 624bis del codice penale: nel caso di specie, il reato sarebbe stato aggravato senza dubbio da una delle circostanze indicate dall’articolo 61 del codice penale (l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa), quindi la pena prevista sarebbe da cinque a dieci anni di reclusione e della multa da 1.000 a 2.500 euro. Essendoci stato anche un trascinamento dell’anziana signora, tuttavia, il reato contestato non è quello di tentato furto con strappo, bensì di tentata rapina. La rapina è disciplinata dall’articolo 628 del codice penale e prevede una detenzione da 3 a 10 anni e una multa da 5 a 20 mila euro. Quindi, paradossalmente, questo reato già prevede una pena minima inferiore a quella del furto con strappo aggravato. Il paradosso è dovuto al fatto che, con la riforma della normativa sulla legittima difesa del 2019, si è intervenuti sul furto con strappo e sul furto in abitazione, aggravandone le pene, ma non su quello di rapina. In pratica, oggi dal punto di vista della pena detentiva conviene rapinare un’anziana piuttosto che scipparla!
Con questa pena edittale (ma anche solo con la pena per il furto con strappo non aggravato, che è comunque da 4 a 7 anni di reclusione) opererebbe comunque la possibilità, per il magistrato, di disporre la custodia cautelare in carcere in attesa del giudizio, atteso il fatto che, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, essendo l’autore un senza fissa dimora, massimo sarebbe il pericolo di fuga (ma anche di reiterazione del reato, giacché comunque non sembra che l’indiano abbia mezzi onesti con i quali sostentarsi). Questo, però, sempre in teoria. Perché d’altro canto l’articolo 275 del codice di procedura penale ci dice che la custodia cautelare in carcere non può essere disposta “se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni”. Considerando che si sta parlando di un delitto “tentato” (perché la catenina alla fine non è riuscito a rapinarla), rispetto alle pene edittali che abbiamo indicato, già vi sarebbe uno sconto tra un terzo e due terzi della pena prevista (art. 56 codice penale); l’indiano inoltre, risulta incensurato, poi bisogna considerare le attenuanti generiche (che non si rifiutano a nessuno…), bisogna considerare che siamo in Italia, bisogna considerare che in fondo è tanto ‘nu bravo guaglione, visto si è poi scusato con la signora, poi sicuramente anche lui tiene famiglia, e poi insomma bisogna anche un po’ essere accoglienti, e poi magari anche bisogna capire la sua situazione, eccetera. Insomma, è lecito presumere che per un caso del genere nessun giudice, proprio nessuno, disporrebbe una pena di tre anni o più. Quindi, molto banalmente, il giudice non ha potuto far altro che rimetterlo in libertà (con il solo divieto di soggiorno a Roma, e il divieto di lasciare l’Italia perché si è in pendenza di procedimento penale) e altrettanto prontamente il buon Singh si è reso irreperibile.

Quindi?
Alla fine, quindi, anche nel caso prevedibile di una condanna, l’indiano (che, è appena il caso di ricordarlo, neanche dovrebbe trovarsi nel nostro Paese, visto che è irregolare) non farà un giorno di galera (perché, vista l’entità modesta della pena detentiva, anche nel caso in cui tornasse a rendersi reperibile, potrà sfruttare la sospensione condizionale o l’affidamento in prova ai servizi sociali), essendo senza fissa dimora e nullatenente non pagherà un euro della pena pecuniaria eventualmente prevista e neanche pagherà un euro alla vittima, nell’improbabile caso che quest’ultima si costituisca parte civile. La pena, non potendo essere applicata, non esplicherà né la sua componente retributiva-afflittiva, né tantomeno la sua componente rieducativa. In sostanza: farsi beffe delle norme sull’immigrazione, rapinare e scippare, in Italia, non comporta di fatto alcuna conseguenza per l’autore del reato.

Per i “picchiatori” la cosa è più complessa: non sono (verosimilmente) senza fissa dimora, quindi i rigori della legge molto probabilmente avranno maggior agio nel raggiungerli. E qualora risultassero intestatari di qualche bene (una macchina, una casa…) potranno essere costretti coattivamente a risarcire l’indiano. Il quale, a questo punto, potrebbe concludere tutta la faccenda, più ricco di come l’ha cominciata e senza neanche dover versare a un “compro oro” la famosa catenina dell’anziana.

Il ragionamento fin qui espresso è quello risultante dall’attuale normativa penale e processuale penale. Così com’è, tuttavia, evidenzia un aspetto fondamentale: quello secondo il quale, nei confronti di determinati reati di “microcriminalità” (che è “micro” solo per chi vive nei salotti buoni, non per chi vive sul territorio nelle zone critiche) lo Stato è, di fatto, assente.

Anche perché buttare per terra e trascinare un’anziana di 90 anni non è uno scherzo: è un atto che può avere conseguenze, per una persona di quell’età, letali. Solo per un caso, l’anziana non ha avuto fratture o altre conseguenze gravi.

A questo punto non ci si può meravigliare (e non è una giustificazione, bensì la mera constatazione di uno stato di fatto) se il “vuoto” dello Stato viene riempito da altri. Che possono essere singoli cittadini o gruppi estemporanei di cittadini esasperati o, peggio, elementi della criminalità organizzata, capaci di imporre una “pax mafiosa” là dove forze dell’ordine, magistratura, ministeri e Parlamento non riescono ad arrivare. Quale delle due ipotesi sia più inquietante non è facile dirlo. Di certo c’è che così non può andare avanti.