Accensione elettrica per le armi portatili: perché no?

Al di là dell’acciaio inox e dei fusti polimerici, in realtà dal punto di vista tecnologico le armi da fuoco portatili sono, in pratica, le medesime da oltre un secolo. In particolare, parliamo delle cartucce a bossolo metallico e del sistema di accensione delle medesime, che prevede un innesco riempito con una miscela esplosiva particolarmente sensibile agli urti e un percussore, inserito nell’arma, che con la pressione del grilletto urta l’innesco determinando l’accensione della cartuccia.

Perché non progredire? Perché non pensare a una accensione elettrica dell’innesco, comandata da un circuito elettronico integrato nell’arma? In realtà questo sistema esiste già da tempo e c’è chi ha già tentato di introdurlo nel settore delle armi da caccia, ma con pochissimo successo. Vediamo insieme qual è la storia dell’innesco elettrico, quali sono i suoi vantaggi e perché finora non abbia “sfondato” nel settore delle armi da fuoco portatili per impiego militare, venatorio e sportivo.

 

Innesco elettrico? Roba d’epoca…

In realtà i primi inneschi elettrici sono stati sviluppati nel corso degli anni Trenta, ampiamente utilizzati durante la seconda guerra mondiale in particolare dai tedeschi. Nello specifico, gli inneschi elettrici sono stati utilizzati sui calibri delle mitragliere e dei cannoncini automatici installati sugli aerei, dal 13 mm fino al 30 mm. Sono stati fatti esperimenti anche con il 7,92×57, ma la cosa non ha avuto seguito. Lo scopo specifico di questa soluzione era dovuto al fatto che con l’innesco elettrico si azzera il ritardo di accensione rispetto all’accensione a percussione, consentendo di avere un funzionamento molto più affidabile ed efficiente in particolare sulle mitragliatrici sincronizzate che dovevano sparare attraverso il disco dell’elica. Nel dopoguerra, l’innesco elettrico è stato mantenuto su molti dei calibri per cannoncini automatici per impiego aeronautico e terrestre, perché consente un funzionamento più regolare nelle armi a elevata cadenza di fuoco, tipica delle realizzazioni di moderna generazione.

 

Perché non con le armi portatili?

Anche con le armi portatili, l’innesco elettrico è stato sperimentato in più occasioni, con particolare riferimento ai vari calibri senza bossolo messi a punto specialmente negli Stati Uniti, ma non solo, dagli anni Cinquanta ai giorni nostri. Al di là di questo specifico ambito, anche con munizioni convenzionali con bossolo metallico l’accensione elettrica potrebbe avere almeno un paio di importanti pregi: il primo è quello di avere un tempo di accensione pressoché immediato, senza il ritardo dovuto alla “corsa” del percussore; il secondo è quello di consentire l’impiego di uno scatto anche leggerissimo (al limite anche un solo grammo) senza alcun pericolo per la sicurezza d’uso.

 

…e allora perché non ha funzionato?

In realtà sono state principalmente due le aziende produttrici di carabine da caccia, che hanno tentato la via dell’accensione elettrica: l’austriaca Voere, con la sua munizione senza bossolo Ucc, e Remington con il progetto EtronX. Le carabine e le munizioni EtronX sono state commercializzate per un periodo abbastanza limitato, cioè dal 2001 al 2003, per essere poi abbastanza rapidamente accantonate. Le carabine erano basate sulla meccanica Remington 700, nei calibri .22-250, .220 Swift e .243 Winchester. All’interno del calcio c’era il sistema elettronico di gestione dell’accensione, alimentato da una batteria a 9 volt. Sulla coccia dell’impugnatura c’era un interruttore generale a chiave, mentre un secondo interruttore fungeva da sicura manuale e il grilletto aveva la funzione di interruttore di sparo. Perché non ha funzionato?

Innanzi tutto per i costi (che per il cacciatore americano medio sono molto importanti): la carabina costava circa il doppio rispetto a una 700 tradizionale e le munizioni anch’esse avevano un costo molto superiore rispetto alle cartucce di serie. Gli speciali inneschi per la ricarica domestica, addirittura, costavano 5 volte tanto rispetto agli inneschi Boxer normali. In secondo luogo, ci si accorse che in particolare nei climi freddi, l’autonomia della batteria si riduceva in modo considerevole. Ma più di tutto, c’è sempre (e ancor oggi) una ritrosia di fondo del cacciatore medio ad avere una carabina con alimentazione elettrica, nella quale ci si debba preoccupare dello stato di carica della pila e di ricordarsi di non lasciare la batteria all’interno del circuito per lunghi periodi di inattività, pena l’uscita degli acidi con conseguente guasto all’elettronica.

Lo stesso discorso vale per i militari, per i quali l’arma in teoria deve poter essere immagazzinata (con le munizioni) per periodi di tempo potenzialmente indefiniti, mantenendo la possibilità di un impiego immediato senza dover fare affidamento su fonti di alimentazione esterne. L’unica eccezione è per l’appunto quella dei cannoncini automatici di grosso calibro che, essendo montati su aerei o veicoli corazzati, possono sfruttare l’alimentazione elettrica del mezzo.

 

Il Laser primer

Oltre al sistema Ucc, la Voere ha fatto un ulteriore tentativo nel segmento delle accensioni diverse dalla percussione: per le proprie carabine sniper di grosso calibro propone, infatti, uno speciale otturatore che, al posto del percussore, presenta un proiettore laser, in grado di accendere il propellente della cartuccia, per mezzo di un “innesco” costituito da un cilindretto in fibra ottica. Il sistema è offerto come opzione rispetto all’otturatore tradizionale, non risultano al momento adozioni (anche perché, comunque, il laser necessita sempre di una fonte di energia elettrica).