Sparatoria a New York: quanto sono vulnerabili le nostre città?

Frank James, 62 anni, ha raggiunto la banchina della stazione metropolitana di New York vestendo un gilet ad alta visibilità tipicamente indossato dagli addetti alla metropolitana stessa, messo una maschera antigas, acceso alcuni fumogeni e, una volta che il treno ha raggiunto la banchina e aperto le porte, ha esploso 33 colpi di pistola, ferendo una ventina di persone tra passeggeri a bordo treno e in attesa sulla banchina.
Sembra che l’azione sia stata interrotta dall’inceppamento dell’arma, che ha costretto l’assalitore alla fuga. Sul posto sono stati trovati anche altri dispositivi fumogeni, benzina e tre caricatori della pistola impiegata.
Sembra che James avesse affidato a un canale Youtube gli sfoghi della sua rabbia nei confronti delle istituzioni, delle discriminazioni razziali e concernenti altre cause civili, non nascondendo peraltro problematiche di natura psichica.
Se venissero confermate le motivazioni del gesto ed alla luce delle modalità di esecuzione del piano, è evidente che la sua azione possa essere considerata pacificamente attacco terroristico.

Le vulnerabilità delle nostre città
Il punto di oggi, però, non vuole tendere a tracciare un profilo dell’assalitore, ma a porre interrogativi sulla sicurezza delle città e in particolare, in relazione a quest’evento, del sistema dei trasporti, che resta a pieno titolo obiettivo sensibile propriamente detto.
In criminologia sono da tempo note le cosiddette teorie ecologiche o delle aree criminali, che tendono a dimostrare l’esistenza di una relazione tra struttura dell’ambiente urbano e tassi di criminalità, dando così vita alla criminologia ambientale. In sostanza, si occupano di studiare perché alcuni luoghi diventino hot spot per la commissione di certe tipologie di reato. Di più, arrivano a dare suggerimenti su come lo sviluppo e la progettazione urbanistica dovrebbero considerare anche la prevenzione di determinati crimini e la formazione dei relativi hot spot. In questo senso, zone degradate e prive di presidi monopolizzano immediatamente la nostra immaginazione.
Il settore dei trasporti, dal canto suo, presenta però da sempre enormi criticità legate alla sicurezza di beni e persone che si concentrano nelle stazioni ferroviarie e legate per lo più a fenomeni di micro-criminalità e spaccio, non senza rischi per l’incolumità dei viaggiatori, soprattutto in determinate fasce orarie e presso stazioni collocate in determinate aree urbane.
Il settore dei trasporti, però, è anche target ideale per gli eventi di natura terroristica per una serie di ragioni: è infrastruttura colpendo la quale si creano enormi danni all’intero sistema-città o sistema-Paese e, non ultimo, vede concentrati nello stesso luogo un numero elevatissimo di persone-bersaglio. Al pari del trasporto aereo, infatti, anche quello su rotaia è stato teatro di attacchi perpetrati nei decenni con gli strumenti più disparati: armi da fuoco, ma anche gas, strumenti da taglio e chi più ne ha più ne metta.
Proprio la presenza di moltissime persone rende le stazioni ferroviarie e metropolitane obiettivo ideale per chiunque voglia colpire un numero elevato di vittime in maniera del tutto casuale e ciò a prescindere dalle motivazioni per cui l’assalitore agisce: che sia un ex dipendente frustrato, che nutra rancori verso la società o che sia un fervente jihadista, chiunque voglia colpire utilmente moltissime persone nello stesso luogo e in un arco di tempo brevissimo trova nelle stazioni un target ideale.
Già, proprio il tempo è fattore cruciale in azioni di questo tipo. Quanto tempo ha a disposizione un assalitore prima dell’intervento delle forze di sicurezza? Quante vittime riesce a causare in quel tempo? E chi è deputato a intervenire in contrasto all’azione dell’assalitore?
In definitiva, chi protegge le stazioni? Ovviamente le forze dell’ordine presidiano le principali stazioni ferroviarie tramite la polizia ferroviaria, ma cosa ne è di stazioni ferroviarie minori e rete metropolitana? In sostanza, quanto è capillare la protezione? E chi protegge i treni, che in quanto luoghi confinati e ristretti presentano difficoltà tanto di prevenzione quanto di gestione di eventuali attacchi?
In Italia l’art 133 del Tulps prevede che le aziende possano adibire alla protezione del patrimonio guardie particolari giurate alle loro dirette dipendenze. In ottica di sicurezza sussidiaria, poi, il Decreto Min.Int. 154/2009 ha espressamente previsto la possibilità che le guardie particolari giurate svolgano servizi di sicurezza sussidiaria nell’ambito dei porti, delle stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, delle stazioni delle ferrovie metropolitane e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, nonché nell’ambito delle linee di trasporto urbano.
Dunque, pubblico e privato sono sulla carta coinvolti. Ma qual è la reale situazione?
La forza pubblica evidentemente non ha la possibilità di presidiare capillarmente le stazioni. La sicurezza privata invece si. Ma quanto se ne fa ricorso? Troppo poco.
Le aziende dei trasporti possono assumere guardie giurate ai sensi dell’art 133 Tulps. E ben potrebbero, in alternativa, acquistare servizi di sicurezza privata da istituti di vigilanza ex art. 144 Tulps.
Purtroppo, però, lo scarso numero di guardie in cui ci imbattiamo in stazioni e a bordo treno ci fa capire che, ahinoi, la sicurezza viene ancora e nonostante tutto percepita nelle aziende come un costo e non come un asset strategico.
Perché non vincolare le licenze alla garanzia di proteggere cose e persone tramite l’impiego di un numero sufficiente di addetti alla sicurezza? Perché non imporre l’impiego di addetti alla sicurezza anche nei piazzali antistanti e le zone adiacenti le stazioni? Ovviamente si tratta solo di suggestioni.
La storia recentissima ci sta insegnando che i pilastri giuridici su cui si fonda il nostro ordinamento possono essere modificati, anche in fretta e furia, laddove c’è interesse.
Garantire una maggiore sicurezza dei trasporti, in questo senso, concorrerebbe non poco a garantire una maggiore sicurezza in generale delle nostre città e, non ultimo, a garantire una maggiore percezione del livello di sicurezza da parte dei cittadini, che contribuirebbe a sua volta a evitare ulteriori scollamenti dalle istituzioni.