Rwm: il grande inganno della “riconversione”

La sospensione della vendita di armi dell’azienda sarda Rwm all’Arabia Saudita ha tacitato le coscienze dei benpensanti, ma la famosa “riconversione” al momento non esiste e per molte famiglie l’alternativa vera sarà… la fame

Non accenna a trovare soluzione la vicenda, che si annuncia drammatica per 160 famiglie di Sardegna, relativa all’azienda Rwm di Domusnovas, specializzata nella produzione di munizionamento di medio e grosso calibro per la difesa. Come è noto, l’azienda si è trovata suo malgrado coinvolta in una vera e propria campagna mediatica a causa della vendita (regolarmente autorizzata secondo la legge 185/90) dei suoi prodotti a Paesi come l’Arabia Saudita. Da qui, lo scatenarsi di un movimento d’opinione volto alla “riconversione” in senso pacifico degli impianti, che ha culminato con il provvedimento da parte del governo, la scorsa estate, di interrompere la vendita delle munizioni Rwm all’Arabia Saudita (che risultava essere tra i principali acquirenti). Per il momento, l’unica riconversione che appare all’orizzonte è quella che porterà 160 lavoratori dell’azienda dallo status di dipendenti allo status di disoccupati (tra l’altro, con forti incognite anche sulla possibilità di accesso agli ammortizzatori sociali, visto che molte assunzioni erano a tempo determinato e, quindi, semplicemente non saranno rinnovate).

Un incontro promosso il 4 ottobre scorso al ministero degli Esteri per cercare una soluzione alla crisi, non ha peraltro a oggi dato alcun tipo di riscontro da parte della politica nazionale, come peraltro sottolineato dall’assessore all’industria della Regione Sardegna, Anita Pili: “Per governare è necessario essere seri e esercitare la sovranità con responsabilità. Non mi pare che il governo nazionale lo stia facendo. A quasi un mese dall’incontro al ministero degli Esteri per la crisi Rwm, non sono arrivate risposte. I nostri lavoratori vivono una situazione di precarietà dovuta a scelte del governo che non hanno costruito, sino ad oggi, alternative tali da consentire il reimpiego di donne e uomini della nostra Sardegna. Il populismo fa male, soprattutto a chi, in quelle promesse, ripone le aspettative di una vita. La giunta regionale non smetterà di essere al fianco dei lavoratori e continuerà a chiedere condizioni di pari dignità per la comunità sarda”.

La decisione di sospendere le vendite all’Arabia Saudita, in assenza di qualsivoglia alternativa concreta per il reimpiego dei lavoratori (in una delle zone, tra l’altro, più povere della Sardegna), è stata a suo tempo commentata anche dal vescovo di Iglesias, Giovanni Paolo Zetta, che ha amaramente constatato: “In questo modo non vince lo Stato, che pensa di aver risolto il conflitto costituzionale con un intervento vago e con modalità che sanno di atteggiamento pilatesco. Non vince il Comitato per la riconversione Rwm, perché il loro progetto rimane incompiuto nella sola rivendicazione, finora teorica, di una riconversione. Non vince un certo tipo di pacifismo ideologico, perché la pace resta lontana e purtroppo laggiù si continuerà a morire. A perdere, in questo braccio di ferro, unicamente e malamente sono le maestranze in odore di licenziamento, senza neppure il conforto, per molti, degli ammortizzatori sociali”.

I sindacati Filctem Cgil e Femca-Cisl hanno pubblicato a tal proposito tre giorni fa un comunicato congiunto, nel quale hanno espresso la propria preoccupazione: “È trascorso un tempo abbastanza ragionevole dall’incontro istituzionale in assessorato dell’Industria alla presenza anche dell’assessore del Lavoro del 18 settembre scorso, relativo al futuro dello stabilimento Rwm Italia di Domusnovas. Gli annunci, le promesse e le rassicurazioni del giorno, non hanno avuto alcun seguito. A oggi non possiamo che far notare un aspetto gravissimo: 130 Lavoratori dell’intero sito produttivo sono a casa senza lavoro e senza una realistica prospettiva futura. L’impegno annunciato sia dell’assessore del Lavoro sia dell’assessore dell’Industria per trovare una soluzione pare evaporato. Dall’incontro tecnico svoltosi il 25 settembre in Regione tra l’Azienda e gli enti preposti non abbiamo nessuna notizia, tantomeno conosciamo gli esiti della riunione del 4 ottobre scorso al ministero degli esteri. Non sappiamo ancora quali siano le intenzioni del Governo in merito a una vicenda che riguarda l’intero scenario della Difesa Nazionale. L’amministrazione regionale, dopo l’annunciato impegno non ha prodotto alcun atto concreto. Fino a oggi tutto quello che sappiamo è quanto si legge sugli organi di informazione e stringati comunicati stampa. L’unica certezza, ad oggi, è quella che 130 lavoratori sono a casa senza lavoro e che tutte quelle persone che hanno promosso facili soluzioni e facili riconversioni sono tutte sparite. Sarebbe opportuno che ognuno, per il ruolo che ricopre e la competenza assegnata, si assumesse le proprie responsabilità. In questo momento c’è ben poco da gioire, anzi la preoccupazione continua a salire dato che, in mancanza di altre risposte, si corre il rischio che il numero dei lavoratori rimasti senza lavoro sia sempre maggiore. Chiediamo fin da ora l’apertura di un tavolo con l’assessorato del Lavoro e dell’Industria per affrontare sia il futuro del sito produttivo sia per trovare strumenti finalizzati a sostenere il lavoro di quei lavoratori già espulsi. Riteniamo che l’attesa sia finita, è tempo di risposte concrete, in assenza delle quali metteremo in atto la mobilitazione nella forma che riterremo più opportuna”.

Il tema della pace, dei diritti umani e dell’industria bellica è ovviamente un tema importante e complesso. Ciò che purtroppo sembra apparire è che, tuttavia, ancora una volta la politica sia risultata sensibile alle istanze di chi propugna la pace con soluzioni ritenute “facili”, cercando quindi la soluzione con la massima visibilità al minor prezzo, cioè quella della demagogia non supportata da soluzioni concrete per creare una effettiva alternativa industriale che consenta di mantenere (o, magari, incrementare) le prospettive occupazionali per la popolazione locale. In pratica, è un pacifismo sulla pelle degli italiani, ancora una volta.

E ancora una volta non si può fare a meno di osservare come la scelta di proibire, vietare o tassare sia la scelta preferita dall’attuale classe politica, senza tuttavia domandarsi (apparentemente) cosa accada dopo alle persone le cui vite vengono spazzate via con un semplice tratto di penna.