Rivolte in Francia, sotto accusa la legge sull’autodifesa degli agenti di polizia

epaselect epa10718277 Riot police clash with protesters in Nanterre, near Paris, France, 29 June 2023. Violence broke out after police fatally shot a 17-year-old during a traffic stop in Nanterre on 27 June 2023. According to the French interior minister, 31 people were arrested with 2,000 officers being deployed to prevent further violence. EPA/JULIEN MATTIA

Sono giorni di rivolta urbana in tutta la Francia, dopo che un agente di polizia ha sparato, uccidendolo, a un ragazzo di 17 anni di origini algerine, che sorpreso alla guida di un’auto senza patente stava cercando di sfuggire a un posto di blocco. Come al solito, l’analisi da parte dei media oscilla tra la denuncia del fallimento delle politiche di pubblica sicurezza degli ultimi trent’anni e chi parla apertamente (e in modo anche abbastanza scontato…) di “razzismo culturale” da un lato e di “fallimento del multiculturalismo” dall’altro.

Una delle prospettive della vicenda che ci riguarda più da vicino, è quella relativa alle regole per l’uso dell’arma da parte degli agenti di polizia e alla sua “congruità” non solo rispetto alla questione specifica (sembra che non sussistessero i presupposti per la legittima difesa in capo all’agente, che è stato sospeso dal servizio e posto sotto custodia) ma anche, più in generale, rispetto alla crescente incidenza dell’uso delle armi da parte della polizia.

In particolare, sotto i riflettori sarebbe una legge del 2017, approvata dopo una grave aggressione occorsa a due agenti di polizia, che ha esteso le fattispecie nelle quali l’uso delle armi da parte degli operatori sarebbe da considerarsi legittimo. In particolare, tra le fattispecie di giustificazione dell’uso dell’arma vi sarebbe quella secondo la quale si può sparare a chi, in presenza di un posto di blocco, rifiuta di obbedire all’alt (refus d’obtempérer) e rischia di “perpetrare, durante la fuga, attentati alla vita o all’integrità fisica altrui”.

Secondo i detrattori questa norma si sarebbe prestata, negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore, a una interpretazione “estensiva” da parte degli operatori, portando a un aumento generalizzato dei casi nei quali si è aperto il fuoco. In particolare, rispetto a una media di casi nei quali un operatore ha aperto il fuoco contro un veicolo che non si è fermato al posto di blocco di 119 nei cinque anni precedenti la riforma del 2017, nell’anno successivo si è passati a 202, mentre nei quattro anni successivi si è attestata su una media dei 150 casi. Secondo un recente comunicato della portavoce della polizia, nel 2022 si sarebbero verificati 138 casi.

D’altro canto, quasi tutti gli articoli che criticano la norma del 2017 sull’uso legittimo delle armi in presenza di “refus d’obtempérer”, curiosamente evitano di evidenziare che la tendenza a non fermarsi al posto di blocco sembra essere in aumento esponenziale negli ultimi anni: nel 2020 il rapporto dell’Osservatorio interministeriale nazionale sulla sicurezza stradale aveva rilevato un aumento dei casi del 16,5 per cento rispetto all’anno precedente (con 26.589 casi) e dal 2010 al 2019 l’aumento di questo reato sarebbe stato di oltre il 49 per cento.

Ancora una volta, sembra doversi concludere che il dibattito su questioni come le procedure di sicurezza e le relative normative non possa essere oggetto di una analisi distaccata, oggettiva e scevra da partigianerie, bensì debba essere inquinata da considerazioni di tipo prettamente politico-ideologico, che ben poco hanno a che vedere con l’oggettiva situazione nelle strade.