Quali armi si denunciano? Una sentenza sibillina della Cassazione

Con sentenza n. 22341 del 7 aprile 2021, la I sezione penale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal procuratore generale presso la corte d’appello di Firenze, contro la sentenza di assoluzione emessa dal tribunale del capoluogo toscano nei confronti di un cittadino che deteneva due balestre “senza averne fatto denuncia all’autorità competente”. Le motivazioni del ricorso sono abbastanza singolari, atteso che secondo il procuratore generale nella sentenza del tribunale di Firenze si era incorsi in erronea applicazione della legge penale “con riferimento all’art. 38, primo comma, r.d. 18 giugno 1931, n. 773, perché il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che, a seguito delle modifiche introdotte nel citato articolo dal d.lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, è fatto obbligo di denuncia anche al detentore di parte di arma, sicché la norma incriminatrice sanziona anche la detenzione di arma non da fuoco, come la balestra”. La suprema corte ha rigettato come inammissibile il ricorso, considerando correttamente che “in tema di reati concernenti le armi, deve escludersi che la balestra possa classificarsi tra le armi proprie, per la ragione che tale strumento, di difficile porto e di ardua maneggevolezza, incompatibile con le esigenze ed i costumi del vivere moderno, non ha più da tempo, quale destinazione naturale, quella di recare offesa agli esseri umani, ma piuttosto funzioni ornamentali, di collezione o, talora, sportive; ne consegue che non vi è obbligo di denuncia, e il porto, fuori dell’abitazione e sue pertinenze, al pari di quello delle relative frecce, se ingiustificato è punito non ai sensi dell’art. 699 cod. pen., ma dell’art. 4, secondo comma, legge 18 aprile 1975 n. 110 (Sez. 1, n. 4331 del 11/02/1997, Bassetti, Rv. 207435). Nel caso di specie, pertanto, il Tribunale ha correttamente evidenziato che non vi era obbligo per (omissis) di denunciare la detenzione delle due balestre, non potendo considerarsi le stesse arma da fuoco, né parti di essa”.

Doverose considerazioni
Da questa sentenza scaturiscono alcune doverose considerazioni, alcune relative allo specifico caso in esame, altre di carattere più generale, legate ad alcune considerazioni “accessorie” svolte dalla Cassazione in conclusione di sentenza. Per quanto riguarda il caso specifico, è semplicemente terrificante che si debba giungere in Cassazione a dirimere una questione relativa alla disciplina giuridica di uno strumento, sul quale già nell’ormai lontano 1995 la polizia di Stato aveva emanato una specifica circolare che aveva tolto ogni eventuale residuo dubbio al riguardo, con il conforto di un parere della commissione consultiva centrale per il controllo delle armi (la quale, è opportuno ricordarlo, secondo l’articolo 6 della legge 110/75 aveva competenza su tutto quanto concernente “le questioni di carattere generale e normativo relativo alle armi e alle misure di sicurezza per quanto concerne la fabbricazione, la riparazione, il deposito, la custodia, il commercio, l’importazione, l’esportazione, la detenzione, la raccolta, la collezione, il trasporto e l’uso delle armi”. La Cassazione stessa, nel motivare la sentenza, ha citato un precedente della stessa corte risalente al 1997! È agghiacciante inoltre che a proporre ricorso in Cassazione sia stata l’accusa, dopo una sentenza (corretta e potremmo definirla persino elementare) di assoluzione del tribunale di merito. È agghiacciante anche che per giungere alla sentenza di inammissibilità del ricorso in Cassazione sia stato necessario attendere 8 (otto) anni dalla sentenza di merito (che risale infatti al 2013). Questo in pratica significa che anche sulle cose più basilari afferenti la normativa in materia di armi, un magistrato può montare un processo sul nulla e tenere inchiodato alla sbarra di un tribunale un cittadino per un decennio abbondante (considerando anche i tempi necessari per arrivare alla sentenza di primo ed eventualmente secondo grado).

Per quanto riguarda le considerazioni di carattere più generale, è senza dubbio interessante leggere quali siano state le considerazioni conclusive svolte dai giudici: “Nel provvedimento impugnato, infatti, si rileva come il legislatore con l’art. 38, primo comma, Tulps abbia previsto l’obbligo di denunciare la detenzione solo delle armi da fuoco elencate nell’art. 1 bis d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 527, introdotto dall’art. 2, comma 1, d.lgs. 26 ottobre 2010, n. 204 e modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 agosto 2018, n. 104, tra le quali non rientra la balestra”. Questa considerazione dei giudici potrebbe in effetti portare quindi a dedurre che le modifiche apportate all’articolo 38 Tulps dal decreto legislativo 204 e in particolare il riferimento al decreto legislativo n. 527 del 1992, abbiano determinato il venir meno dell’obbligo di denuncia per tutte le armi proprie non previste dal decreto legislativo medesimo, quindi tutte quelle non da fuoco e quelle antiche. In realtà a nostro avviso il riferimento dell’articolo 38 Tulps al decreto legislativo 527/92 si riferisce specificamente alle parti d’arma e le armi da denunciare sono quelle previste dall’articolo 30 del Tulps, tra le quali tuttavia, la balestra non figura.

 

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Balestra