Modesta capacità offensiva: occhio alle violazioni

A oltre 20 anni dall’approvazione della legge nr. 526 del 1999 e dalla conseguente emanazione del D.M. n. 362 del 2001, che ha introdotto una dettagliata disciplina per le armi a modesta capacità offensiva, permangono alcune zone d’ombra, specie in virtù del crescente successo di tali dispositivi.

Alla categoria in commento appartengono le armi ad aria o gas compresso con potenza inferiore ai 7,5 joule, eccetto quelle con funzionamento a raffica e quelle “destinate” all’uso di munizionamento “non inerte” (splash impact e similari). Le repliche di armi storiche ad avancarica e a colpo singolo, invece, rientrano in una fattispecie autonoma seppur contigua, in quanto il richiamo alla disciplina in commento è solo parziale, sussistendo delle importanti differenze per esempio con riferimento alla disciplina del porto, per cui l’art. 14 del D.M. citato richiama direttamente le norme in tema di armi comuni da sparo.

Il riferimento del D.M. citato alla “destinazione” è alquanto infelice, in quanto quest’ultima non dipende esclusivamente dalle caratteristiche tecniche e materiali intrinseche dell’utensile ma anche dall’intenzione dell’agente. Non può, infatti, escludersi che un’arma possa essere utilizzata con diverse tipologie di munizionamento. Di conseguenza, sarebbe stato preferibile esplicitare un divieto di utilizzo di determinate munizioni, piuttosto che utilizzare il concetto sfuggente e potenzialmente indeterminato di “destinazione” dell’arma. Ciò premesso, il Legislatore si mostra incline a riconoscere un trattamento di favore per le armi a modesta capacità offensiva rispetto a quelle comuni da sparo, in considerazione della minore pericolosità intrinseca e della tendenziale inidoneità rispetto a lesioni gravi dell’integrità fisica.

Per tale ragione, i dispositivi rientranti in suddetta categoria non sono soggetti a denuncia di detenzione o a limiti di quantità e per l’acquisto è sufficiente la maggiore età. Il porto, inoltre, pur essendo vietato in assoluto nelle pubbliche riunioni e senza giustificato motivo fuori dalla propria abitazione (e dalle pertinenze di essa), non è sottoposto ad autorizzazione di pubblica sicurezza.

In proposito, riveste un ruolo decisivo l’art. 16 del D.M. citato il quale prevede una sanzione amministrativa che copre la violazione delle disposizioni del decreto stesso. Tale norma rappresenta chiara estrinsecazione della logica favorevole che accompagna nella valutazione legislativa la categoria in commento, specie se contrapposta alla “panpenalizzazione” che caratterizza altre tipologie di armi.

Tuttavia, a prescindere dall’ampia lettera di tale norma, la compravendita, il porto e l’utilizzo delle armi a ridotta capacità offensiva non possono essere ritenuti del tutto scevri da rischi penali.

In primis, con riferimento alle trattative svolte a distanza, specie a mezzo internet e/o con operatori esteri, deve raccomandarsi la massima cautela in quanto non sussistendo a livello internazionale uniformità di disciplina è facile imbattersi in armi ad aria o gas compresso in grado di sviluppare potenza superiore ai 7.5 Joule che nel nostro ordinamento rientrano, a tutti gli effetti, nelle armi comuni.

Inoltre, alla vendita per corrispondenza e/o mediante contratto a distanza, per espresso disposto dell’art. 7 comma 5 del D.M. citato, si applica l’art. 17 della legge 110 del 1975 come modificato dall’art. 5 comma 1 lett. f) d.lgs. 104 del 2018, che, salvo le ipotesi escludenti tassativamente previste, commina la pena della reclusione da uno a sei mesi e, congiuntamente, la multa fino ad euro 154.

Sul punto è da precisarsi che ciò che rileva in tale delitto non è la contrattazione in sé ma il momento della consegna, potendosi ammettere delle trattative svolte a distanza, a mezzo telefonico/ telematico o con scambi di missive cartacee, purché l’arma sia consegnata a mano.

A riprova di tali considerazioni, l’art. 17 cit. esclude la sussistenza del delitto nei casi in cui il soggetto privato “provveda al ritiro dell’arma” presso un commerciante o un intermediario di armi munito di regolari licenze. Da ciò, si desume, anche, che il rigore sanzionatorio della norma è dovuto alla considerazione che i rapporti a distanza rappresentano un “pericolo” per l’effettività delle disposizioni previste dal D.M. e, segnatamente, per l’obbligo di identificazione dell’acquirente che deve essere “maggiorenne e munito di valido documento di identità” (art. 7 comma 3 D.M. citato).

Il carattere “ingannevole” dell’art. 16 del D.M. è ancor più evidente riguardo la disciplina sanzionatoria del porto senza giustificato motivo. Infatti, sulla base dell’ampia lettera della norma dovrebbe applicarsi l’illecito amministrativo, con esclusione di rilevanza penale. Tale conclusione, peraltro, sarebbe ragionevole rispetto alla ratio di favore che pervade la normativa e rispettosa dei principi di legalità, proporzionalità ed extrema ratio del diritto penale. Malgrado tali considerazioni, la giurisprudenza prevalente ritiene che le armi a ridotta capacità offensiva rientrino nella categoria di “armi”, latu sensu intesa, cui fa riferimento l’art. 4 legge n. 110 del 1975 e ne consegue che il porto ingiustificato delle stesse integra tale fattispecie incriminatrice (vedasi Cass. pen., Sez. I, 06/02/2015, n. 10328; conf. Cass. pen. Sez. I, 11/05/2006, n. 27783; conf. Cass. pen. Sez. II Sent., 25/10/2016, n. 49325).

È, tuttavia, con riferimento all’utilizzo dei dispositivi in commento che la prassi mostra una copiosa applicazione di norme penali. Infatti, le armi a modesta capacità offensiva per la giurisprudenza prevalente rientrano nell’ampia nozione di cui all’art. 585 c.p. e quindi possono integrare elemento costitutivo o, più di frequente, circostanza aggravante di varie fattispecie incriminatrici.

Si pensi, senza pretesa di esaustività, alle aggravanti dei reati di minaccia o di rapina e al delitto di banda armata. È opinione dello scrivente, tuttavia, che la ridotta capacità offensiva dovrebbe essere presa in considerazione dal giudice, sia ai fini del vaglio di idoneità rispetto ai delitti tentati ex art. 56 c.p., sia per una valutazione in ordine al rispetto del principio di necessaria offensività del reato, tenuto conto, di volta in volta, dei beni giuridici tutelati dalle norme incriminatrici.

In conclusione, da questa breve rassegna dei possibili rischi penali inerenti alla categoria in commento, emerge che, per quanto caratterizzate da una disciplina di favore rispetto alle armi comuni da sparo, anche quelle a modesta capacità offensiva sono da considerarsi “armi” e richiedono particolari accortezze e cautele sia nella fase di acquisto/cessione, sia in quella di porto e utilizzo.