Portare il coltello: si può?

Uno degli strumenti più antichi dell’uomo, è soggetto oggi a una disciplina giuridica che rende quantomeno problematico portarlo addosso, specialmente per difesa personale

Il coltello è, probabilmente, lo strumento più antico nella storia dell’uomo e proprio la capacità di realizzare strumenti come il coltello (di selce scheggiata, inizialmente) ha contraddistinto secondo i paleontologi la prima significativa differenza tra i primati (cioè le scimmie) e le prime forme di ominidi, che avrebbero poi portato con il trascorrere dei millenni all’homo sapiens. Il coltello è anche uno degli strumenti ai quali, magari, si pensa più di frequente quando ci si trova a riflettere su quale strumento per una eventuale autodifesa si possa scegliere da portare con sé. La legge italiana, tuttavia, sull’argomento è piuttosto rigorosa e lascia ben pochi spazi a chi intenda portare sempre addosso uno strumento come il coltello, anche (non solo) per l’ipotesi di difesa personale.
Una prima differenziazione di base che la legge opera è tra gli strumenti da punta o da taglio atti a offendere e le armi. La definizione di “arma” è quella fornita dall’articolo 30 del Testo unico per le leggi di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773), il quale chiarisce che armi sono “quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona”, definizione peraltro ripresa pedissequamente, per quanto riguarda gli effetti della legge penale, dagli articoli 585 e 704 del codice penale. Quindi, la legge effettua una prima distinzione tra le armi, cioè quegli oggetti che vengono appositamente concepiti per l’offesa alla persona, come la spada, la sciabola, l’alabarda, la baionetta, il pugnale e quanto altro possa venirvi in mente, da quelle che hanno una differente destinazione originaria, come può essere la falce, il coltello da cucina, la mannaia del macellaio eccetera. Ovviamente, a fronte di determinate casistiche che sono del tutto pacifiche e incontrovertibili, esistono numerose “zone grigie”, come quella del coltello a scatto (la cosiddetta “molletta”), che per molti anni è stato pacificamente considerato dalla giurisprudenza come un’arma propria, pur non avendo il doppio filo, laddove invece una recente sentenza della Cassazione ha argomentato trattarsi di un semplice strumento atto a offendere (sentenza n. 8.032 emessa dalla I sezione penale della Cassazione il 5 febbraio 2019).
Ma qual è la differenza tra arma e strumento atto a offendere? Be’, le differenze sono molteplici: l’arma può essere acquistata solo con un idoneo titolo di polizia (porto d’armi, nulla osta), lo strumento atto a offendere è di libera vendita; l’arma deve essere denunciata, lo strumento invece no; l’arma (bianca), infine, non può mai essere portata fuori dalla propria abitazione (quella da fuoco sì, disponendo dell’apposito porto d’armi, ma per quella bianca non c’è una apposita licenza salvo il caso di scuola del porto di bastone animato, che non risulta rilasciato da decenni), mentre lo strumento atto a offendere (per quanto qui d’interesse “da punta e da taglio”, ma non solo) può essere portato, però con “giustificato motivo”, secondo quanto dispone il secondo comma dell’articolo 4 della legge 110/75. Sul “giustificato motivo” si apre un universo di interpretazioni, sentenze e assurdità giurisprudenziali: se è vero (come è vero) che dovrebbe essere pacifico che sia giustificato il motivo di chi porta nel baule un coltello da sub mentre con tutta l’attrezzatura si sta recando al mare, se è pacifico che sia giustificato portare con sé un coltello da funghi quando si sta andando a funghi, ciò non toglie che nel tempo si siano succedute sentenze a dir poco incredibili (e indegne) su questo specifico argomento.
Sono ancora oggi in tanti a ricordare, in una sorta di memoria storica collettiva, che ci sono coltelli che “non si possono portare” (cioè, in realtà, si possono portare solo con giustificato motivo) e coltelli che invece “si possono portare” perché “tanto sono sotto le quattro dita”, alludendo con ciò alla lunghezza della lama misurata, è il caso di dirlo, a spanne. Da dove arriva questa “leggenda”? Dall’articolo 80 del regolamento di esecuzione al Tulps (r.d. 6 maggio 1940, n. 635), secondo il quale tra gli strumenti atti a offendere che non possono portarsi fuori di casa senza giustificato motivo sono esclusi i coltelli e le forbici con lama non eccedente in lunghezza i quattro centimetri (e non “dita”… che poi le dita di chi? Della “gelida manina” della Bohème o di quella di Shrek?) e, inoltre, non sono da considerarsi strumenti atti a offendere “a) i coltelli acuminati o con apice tagliente, la cui lama, pur eccedendo i quattro centimetri di lunghezza, non superi i centimetri sei, purché il manico non ecceda in lunghezza centimetri otto e, in spessore, millimetri nove per una sola lama e millimetri tre in più per ogni lama affiancata; b) i coltelli e le forbici non acuminati o con apice non tagliente, la cui lama, pur eccedendo i quattro centimetri, non superi i dieci centimetri di lunghezza”. Tutto a posto, quindi? In realtà no, perché l’articolo 80 in questione fa riferimento agli strumenti atti a offendere citati nei primi due commi dell’articolo 42 del Tulps, i quali commi però sono stati abrogati a favore dell’articolo 4 della legge 110/75. Ne consegue che, secondo una giurisprudenza piuttosto costante, risulta implicitamente abrogato anche l’articolo 80 reg. Tulps (perché ancora “punta” a commi non più esistenti) e, di conseguenza, anche i coltelli di misura inferiore rispetto ai fatidici 4 centimetri di lama necessitano del giustificato motivo. Solo una recente sentenza (Cassazione penale, sezione I, 5 marzo 2014, n. 18.338) ha ritenuto che il coltellino multiuso con lama di 5 centimetri (quindi al di sotto del limite previsto dall’articolo 80) non necessitasse del giustificato motivo, ma che rientrasse tra gli strumenti non considerati “espressamente da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona”, come indicato sempre dal secondo comma dell’articolo 4 della legge 110/75.
Dopo l’indigesta zuppa in salsa pseudo-leguleia, occorre fare il punto e le conclusioni non lasciano molto spazio: per portare addosso un coltello occorre il giustificato motivo, e “giustificare” il giustificato motivo (perdonate il bisticcio) con esigenze di difesa personale, anche in situazioni di evidente rischio, è pressoché impossibile. Anche se i coltelli sono “sotto le quattro dita” è necessario il giustificato motivo, ma anche nel caso in cui trovaste un giudice che riconosce tuttora la validità dell’articolo 80 del regolamento al Tulps, lo stesso giudice potrebbe concludere che il porto di quel micro-coltellino fosse comunque vietato “per le circostanze di tempo e di luogo”, che potevano far pensare a un utilizzo per l’offesa alla persona. L’importante è quantomeno esserne informati, quindi come si dice oggi sui social… “sapevatelo”…