La sicurezza parte dai capisquadra

Nell’editoriale di Massimo Vallini sul fascicolo di dicembre si fa il punto sulla sicurezza nella caccia in braccata. La soluzione è insegnare la sicurezza e farla assimilare, non certo abolire la braccata, come qualcuno forse vorrebbe… Gli americani continuano a ripeterlo: Safety first! Anche nei Tsn italiani domina l’atteggiamento rigoristico nel far rispettare le regole che sono alla base della sicurezza nel maneggio delle armi. Nelle discipline “action” e nel Tiro a volo la sicurezza viene inculcata fin dall’inizio. Gli incidenti sono ridotti al minimo, se non a zero.
Invece sono troppi gli incidenti che ancora si verificano durante l’esercizio della caccia. Ancora troppi. E non esistono fatalità: esistono solo comportamenti, magari abituali, potenzialmente pericolosi. Se non hanno cagionato incidenti, ancora, non significa che siano da considerarsi comportamenti sicuri. Ogni volta che partecipo a una braccata ne ho la prova.
Gli incidenti più gravi accadono, in Italia, proprio nel corso della caccia collettiva al cinghiale, così come avviene anche all’estero, sebbene presentino qualche differenza tecnica. È intuitivo che il rischio sia maggiore, rispetto alle altre forme di caccia, a causa del tipo di arma e munizione usate, della concentrazione di molti cacciatori nel medesimo luogo e del fatto che gli ungulati non volano, ma si spostano sul terreno alla stessa altezza degli umani. Non pare vero agli anticaccia e agli animalisti di trovare un così ghiotto e comprensibile argomento da sfruttare: non solo la caccia uccide gli animali, ma uccide persino altri uomini. La conseguenza, estremizzata, non può che essere quello che gli anticaccia desiderano. È uno dei tanti punti deboli sui quali il mondo venatorio può e deve lavorare. Non è nemmeno così difficile. Ho personalmente svolto un corso sulla sicurezza al salone Hit, un paio di anni fa e più recentemente a un nutrito gruppo di capisquadra del Pavese. Altri ne farò e tanti altri se ne possono fare, anche sul campo, praticamente. La sicurezza si deve insegnare, si deve imparare (obbligatoriamente) e mettere in pratica.
Sulla base dei dati disponibili, sarebbe decisivo elaborare una casistica relativa alla più ampia serie di incidenti, al fine di determinarne le cause prevalenti. E predisporre contromisure che incidano direttamente sulle modalità di svolgimento della braccata. Prima che ci pensino altri, in modi che spesso non sono nemmeno calati nella realtà.
Oltre all’atteggiamento attivo, che riguarda il singolo cacciatore e che deve diventare “automatico”, prevalente, c’è anche l’aspetto di sicurezza passiva, a caccia: per esempio, lo studio del territorio, la collocazione delle poste, a seconda del tipo di armi e del tipo di cacciatori. In questo è fondamentale il ruolo del caposquadra. Altane e palchetti hanno utilità e conviene usarli perché, salvo errori marchiani e colpevoli, consentono di ridurre la traiettoria residua dei proiettili: le posizioni leggermente sopraelevate rispetto al terreno circostante, più in generale, garantiscono che le palle sparate, qualora non colpiscano o trapassino la preda, si perdano poi subito nel terreno.
Il campo di tiro, ben definito, spiegato e percepito dal cacciatore, deve essere tale da ridurre il più possibile ogni tipo di rischio: che i proiettili superino crinali secondari, penetrino profondamente nel bosco, rimangano “vaganti”. Deve essere definito anche il settore di tiro, cioè quella porzione di visuale del cacciatore entro cui il tiro sia sicuro, rispetto alla zona di battuta del colpo e rispetto agli altri partecipanti. Qualora ci siano zone di esclusione, devono essere segnalate in modo evidente con bandierine, nastri o verniciature. Sono regole basilari che devono essere considerate primariamente.
Non sono d’accordo con chi ritiene che la caccia di selezione anche al cinghiale sia l’unica soluzione difendibile. Dobbiamo difendere ora e adesso anche la braccata e lavorare attivamente sui cacciatori. A costo di tenere davvero “fuori” quanti non si adeguano, a costo di farci voler male. Mi riferisco alle squadre, agli Atc e anche alle associazioni venatorie. Ne va proprio del futuro della caccia. Perché, poi, non basta, non serve più andare alle trasmissioni televisive cercando di farsi capire. Quand’anche il mondo venatorio trovasse testimonial credibili… e finora non è successo.