La Cassazione sui collari per addestramento

Con sentenza n. 10758 del 19 marzo 2021 (udienza l’11 febbraio), la III sezione penale della Cassazione si è pronunciata sulla disciplina giuridica dei collari per addestramento cani (quelli cioè che possono erogare leggere scosse elettriche o segnali sonori). In particolare, la corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito a una sentenza del tribunale di Siena, il quale aveva irrogato una multa di 2 mila euro a un cittadino, per il reato di maltrattamento di animali (art. 727 cp comma 2), in quanto appunto il suo cane era stato trovato con addosso un collare per addestramento.

La Cassazione ha annullato la sentenza di condanna, senza rinvio, con la considerazione che “L’art. 727 cp, comma 2, punisce, come ipotesi contravvenzionale, “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”. La norma è stata costantemente interpretata da questa Sezione nel senso che l’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale (sez. 3, sentenza n. 21932 del 11/02/2016, Rv 267345; sez. 3, 11/02/2016, Bastianini, Rv 267345; sez. 3, 20/06/2013, Tonolli, Rv 257685; sez. 3, 21/01/2007, Sarto, Rv 236335). Va peraltro osservato che la condotta vietata, oggetto di incriminazione, non è la mera apposizione sull’animale del collare elettronico, ma il suo effettivo utilizzo, nella misura in cui ciò provochi “gravi sofferenze”: evento del reato, da intendersi nell’insorgere nell’animale di patimenti psico-fisici, in assenza dei quali si fuoriesce dal perimetro della tipicità. Nel caso di specie, secondo quanto accertato dal giudice di merito, i carabinieri forestali verificarono che l’imputato stava utilizzando il proprio cane per l’attività venatoria, il quale indossava due collari: uno per il richiamo acustico e uno munito di due elettrodi in grado di dare piccole scosse a distanza grazie a un telecomando, che, nella specie, non venne rinvenuto. A seguito della visita veterinaria, il cane fu trovato in buone condizioni di salute e senza segni cutanei all’altezza del collo, né furono accertate problematiche di udito cagionate, in ipotesi, dagli impulsi sonori. Orbene, la motivazione (della sentenza di primo grado, ndr) è errata laddove ha ravvisato la sussistenza del reato unicamente dal fatto che il cane indossasse il collare elettrico, senza verificare che, tramite il suo concreto utilizzo, siano state cagionate all’animale “gravi sofferenze”. Seguendo l’interpretazione del tribunale, infatti, si trasforma il reato di cui all’art. 727 cp, comma 2, da fattispecie di evento a fattispecie di mera condotta, ciò che confligge con il chiaro dettato normativo, che richiede, per l’integrazione del reato, l’insorgere di gravi sofferenze nell’animale. Nella vicenda in esame, non solo tale accertamento è totalmente mancato, anche considerando che il telecomando con cui azionare a distanza il collare non è stato trovato nella disponibilità dell’imputato, ma emerge un elemento di segno opposto, stante l’accertata assenza sia di cicatrici sul collo del cane, sia di problematiche dell’udito: elementi che, ove presenti, sarebbero stati indicativi non solo del concreto utilizzo del collare ma anche, e soprattutto, delle gravi sofferenze patite dall’animale quale conseguenza di quell’utilizzo”.