Femminicidi a Carpiano e Aci Trezza, con armi illegali: quindi?

Lei si chiamava Vanessa Zappalà, aveva 26 anni ed è morta ad Aci Trezza, nel Catanese, sotto i colpi della pistola del suo ex (il cui nome non pubblicheremo) che non aveva accettato la fine della loro relazione. Una pistola che lui non avrebbe potuto avere legalmente, visto che lei lo aveva denunciato, sembra più volte, per stalking, ed era stato sottoposto agli arresti domiciliari nei mesi precedenti nonché destinatario di un provvedimento di divieto di avvicinamento alla ragazza. Che, a questo punto, è servito solo come tragica beffa, risultando del tutto inutile a fermare il furore omicida di una mente malata. E di poca consolazione può essere il sapere che poi l’autore del gesto abbia scelto di porre fine anche ai propri giorni.

A poche ore di distanza, a Carpiano, alle porte di Milano, un 70enne ha ucciso la moglie di 41 anni e la figlia di 15, per dissidi famigliari aggravati da difficoltà economiche e una probabile depressione, anche in questo caso utilizzando un revolver che non avrebbe potuto detenere, in quanto già noto alle forze dell’ordine per precedenti penali risalenti nel tempo, tra l’altro anche specifici (porto abusivo d’armi). E anche in questo caso, l’autore dell’efferato gesto si è tolto poi la vita.

Due tragedie che hanno lasciato attonite le rispettive comunità ma, anche, alle quali le autorità preposte non sembrano essere in grado di proporre efficaci contraltari per evitarne il ripetersi: si è parlato dell’efficacia parziale delle cosiddette norme del “codice rosso”, recentemente aggiunte all’ordinamento giuridico proprio per fornire maggiori tutele alle donne vittime di persecuzioni da parte dei compagni o ex compagni; si è parlato del fatto che, in particolare per la vicenda di Carpiano, le criticità famigliari fossero “sconosciute” ai servizi sociali o a eventuali specialisti. Si è parlato di un po’ di tutto, e in definitiva un po’ di niente.

Grande assente nell’arsenale (è il caso di dirlo) dei commentatori, qualificati o meno, la consueta e stucchevole diatriba su quanto sia “facile” ottenere legalmente un’arma. Perché le armi in entrambi i casi, non erano legali proprio per niente. Peccato, niente tacca sulla scrivania, stavolta. Come, è il caso di ricordarlo, è accaduto pochi anni or sono con la sfortunata Deborah Ballesio, il cui marito, pregiudicato e fresco uscito di carcere, non ha certo faticato per trovare l’arma utilizzata per uccidere la sua ex moglie.

Risulta, quindi, evidente un problema di prospettiva: coloro i quali pensano (più precisamente, pretendono di convincere gli altri) che risolvere il problema dei femminicidi consista banalmente nell’obbligare i titolari di porto di fucile per Tiro a volo, ad andare al poligono una volta al mese od ogni tre mesi o una volta all’anno, evidentemente non hanno compreso (o fa loro comodo far finta di non aver compreso) che il problema non è lo strumento, bensì lo è l’attore protagonista di questa tragedia, ovvero l’autore dell’insano gesto.

È difficile, in Italia, trovare illegalmente una pistola? A quanto pare, la risposta più evidente dopo questi fatti è un deciso “no”. A coloro i quali pretenderebbero di scaricare anche in questo caso la responsabilità sul furto delle armi ai legali detentori, è appena il caso di ricordare le migliaia, ma meglio sarebbe dire decine di migliaia, di pistole che sono rimaste nelle soffitte e nelle cantine degli italiani dopo il secondo conflitto mondiale (ancor oggi perfettamente efficienti e letali), per non parlare di tutto il materiale che quotidianamente, e senza dare nell’occhio, passa le frontiere del nostro Paese, proveniente dagli arsenali dell’Ex Jugoslavia e dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia e che risulta nella disponibilità non solo della criminalità comune, ma anche di quella cosiddetta “microcriminalità” che di “micro”, in molti casi, ha solo il nome.

Quindi? Quando il 100 per cento dei femminicidi sarà perpetrato con armi illegali o con strumenti che non siano armi da fuoco (come, a tutt’oggi, già accade nella maggior parte dei casi), si sarà forse raggiunto un qualche risultato utile? I morti per armi illegali, sono meno morti degli altri? Per qualcuno, sembra di sì. 

Non sarà allora, a questo punto, il caso e il momento di soffermarsi sul fenomeno del femminicidio in sé, più che sugli strumenti utilizzati per perpetrarlo? Non sarà, forse, che quando un uomo (o anche una donna) decide di uccidere il partner o ex partner e poi uccidersi, ha già fatto un passo irreversibile che difficilmente troverà ostacolo nell’indisponibilità di una pistola legale? O nella necessità di “comunicare” all’ex partner che si stanno facendo le pratiche per prendere il porto d’armi (altra buffonata colossale proposta in questi anni come panacea di tutti i mali)? Ce lo ricordiamo il caso di Filippone? In attesa di prendere il porto di fucile per Tiro a volo, ha precipitato nel vuoto moglie e prole!

Il problema fondamentale è che prendersela con le armi legalmente detenute è facile: non altrettanto facile è compenetrare efficacemente un problema complesso, che ha innanzi tutto a che vedere ancora oggi con l’idea che il partner sia una “proprietà” e un “oggetto” che non può allontanarsi dal padrone a meno che non sia il padrone a “gettarlo”; ma ha, anche, a che vedere con servizi sociali e presìdi per l’identificazione del disagio mentale e sociale che risultano sempre in maggior affanno nella società contemporanea, distanti rispetto al moderno concetto di famiglia che risulta sempre più un buco nero impenetrabile, all’interno del quale (come in ogni buco nero che si rispetti) non solo non riesce a filtrare alcuna luce, ma neanche si riescono a cogliere i segnali premonitori prima che accada l’irreparabile. Trovare una soluzione è semplice? Ovviamente no. Specialmente se si cerca la soluzione facile da dare in pasto, demagogicamente, al popolino per far bella figura alle prossime elezioni. Ma le due tragedie di questo scorcio di fine agosto dovrebbero, finalmente, insegnare che non è il mezzo ciò su cui si debba concentrarsi, bensì come riuscire a far emergere allo scoperto in tempo utile il potenziale artefice, e tutelare adeguatamente le potenziali vittime, prima che diventino vittime e basta. Smettiamola di perdere tempo. E di raccontare balle.