Massari, la pistola e i femminicidi

Il tragico omicidio perpetrato a Savona dall’ex marito nei confronti della moglie, evidenzia l’ipocrisia di chi propone restrizioni in materia di armi legalmente detenute come panacea contro la piaga del femminicidio

La fuga di Domenico “Mimmo” Massari, 54 anni, dopo aver ucciso la moglie Deborah Ballesio a Savona, è finita dopo alcune ore di latitanza: si è infatti consegnato spontaneamente al carcere di Sanremo, portando con sé l’arma del delitto. Una pistola che l’uomo, dopo aver scontato una pena detentiva per stalking proprio nei confronti dell’ex moglie, mai e poi mai secondo le vigenti leggi avrebbe potuto detenere legalmente. Eppure, evidentemente, leggi o non leggi, regole o non regole, l’arma è riuscita a procurarsela in qualche modo, e ne ha drammaticamente fatto uso: oltre ad aver ucciso la moglie con diversi colpi sparati a breve distanza, ha ferito anche altre due donne, per fortuna in modo non grave.

Il dolore per quanto accaduto (un vero e proprio assassinio annunciato, secondo quanto riferito dai conoscenti della moglie) non può esimerci dal fare alcune considerazioni, proprio perché fatti di questo genere possano non ripetersi più.

La prima considerazione che viene alla mente è relativa alla bagarre che si scatenò in occasione dell’approvazione del decreto legislativo 104 del 2018, allorché le anime belle dei disarmisti “senza se e senza ma” si stracciarono le vesti perché nel provvedimento in esame non era previsto l’obbligo di avvisare i conviventi maggiorenni in caso di richiesta di rilascio o rinnovo del porto d’armi, millantando che un’autocertificazione sarebbe stata la panacea di tutti i mali contro il femminicidio. Purtroppo, quanto appena accaduto dimostra inoppugnabilmente che no, una autocertificazione non impedisce a un pazzo di procurarsi un’arma e che non c’è bisogno neanche di avere il porto d’armi, per procurarsi un’arma. Chissà, può anche darsi che la “gioventù ai margini della legalità” raccontata dai media in queste ore, lo abbia agevolato nel disporre delle “conoscenze” giuste per procurarsi un’arma illegale. Che, comunque, sta di fatto non vi sia particolare difficoltà a trovare sul “mercato”.

Secondo l’inchiesta sui femminicidi in Italia pubblicata sul sito dell’Istat, l’arma da fuoco (legalmente o illegalmente detenuta) viene utilizzata solo nel 12,8 per cento dei casi: a farla da padrone in questo tipo di efferati delitti è il coltello, con il 40,2 per cento dei casi, seguito dallo strangolamento (18 per cento), dall’uso di oggetti contundenti (martello, bastone eccetera). I restanti casi prevedono nel 9 per cento degli eventi l’omicidio tramite contatto fisico (pugni, calci eccetera) e nel 3,3 per cento dei casi un liquido infiammabile. Resta un 1,2 per cento dei casi commessi con altre metodologie.

Sempre secondo l’Istat, ben il 21,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni hanno subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner, ma solo il 15 per cento di esse si è rivolto alle forze dell’ordine (il 4,5 per cento a un avvocato, l’1,5 per cento a un centro anti violenza). Ancora, Tra quelle che hanno chiesto aiuto alle istituzioni preposte, solo il 48,3 per cento ha poi denunciato, il 9,2 per cento ha fatto un esposto, il 5,3 per cento ha chiesto l’ammonimento e il 3,3 per cento si è costituita parte civile. Il restante 40,4 per cento non ha dato alcun seguito alla cosa.

Proprio in queste settimane, dopo il via libera da parte della Camera dei deputati, è al vaglio del Senato il cosiddetto “codice rosso”, un pacchetto di misure anti-violenza incentrato sul contrasto al fenomeno del femminicidio. La commissione giustizia del Senato ha dato il proprio placet lo scorso 9 luglio, il 22 approderà in aula: tra le misure in via di approvazione, l’apposizione del braccialetto elettronico per gli uomini che hanno ricevuto un ordine di allontanamento e un divieto di avvicinamento alla donna che li ha denunciati (in caso di violazione, la pena è fino a 2 anni); la possibilità di applicare il codice antimafia ai reati di maltrattamento, con la sorveglianza speciale e l’obbligo di dimora in altro comune per l’uomo violento; l’aggravamento delle pene per i reati di violenza carnale, atti sessuali con minori, stalking, maltrattamenti contro famigliari o conviventi.

Quindi, il fenomeno del femminicidio e, più in generale, dello stalking è molto più articolato e complesso di quanto i disarmisti d’accatto di casa nostra vorrebbero far credere. Di certo c’è, come peraltro avevamo già osservato a suo tempo, che pensare di contrastare questa vera e propria piaga sociale con una autocertificazione alla quale sottoporre i richiedenti un porto d’armi è un vero e proprio insulto rivolto alle vittime di mariti e compagni “orchi”. Il pacchetto di misure al vaglio del Senato potrà effettivamente avere una sua efficacia nel prevenire il ripetersi di questi disgraziati atti della follia, di certo però c’è che la prima e più importante misura preventiva è che le donne denuncino, denuncino subito e non pongano in mezzo alcuna remora: perché un uomo che ti picchia o ti minaccia, non è un uomo che ti ama.