Condannata per omessa custodia… a 95 anni

La vicenda di una povera anziana è il paradigma di un sistema ormai fuori dal tempo, grazie alla colpevole inerzia di Parlamento e ministero dell’Interno

Ha destato sconcerto e riprovazione ormai da alcuni giorni, sui social, la vicenda resa nota da La Repubblica di una signora anziana che, alla bella età di 95 anni, in condizioni di non autosufficienza e in casa di cura, si è vista notificare una condanna per non aver osservato la diligenza di custodia delle armi, non avendo notificato pochi anni prima (allorché era già ammalata) il cambio di domicilio alla questura, dove risultavano denunciate a suo nome due pistole appartenute al marito defunto.

Sulla questione, gli animi si surriscaldano e si dividono: da un lato c’è chi osserva che la normativa in materia di armi è posta a presidio della collettività e, quindi, chiunque detenga armi deve essere consapevole di avere doveri di diligenza che sono superiori rispetto a quelli del normale cittadino; dall’altra c’è chi osserva come lo Stato (e sue ramificazioni) sia molto solerte e impeccabile nell’andare a prendersela con le persone più deboli, non altrettanto quando si tratta di punire i criminali veri.

Al di là delle convinzioni personali, il problema esiste ma riguarda soprattutto la prospettiva di sistema: in altre parole, occorre soffermarsi sul fatto che in Italia, nel XXI secolo (qual è il secolo nel quale ci troviamo), praticamente tutto è ormai informatizzato. Nel momento in cui un cittadino cambia il proprio domicilio, per esempio, oggi è l’anagrafe del Comune in automatico a notificare questa variazione alla motorizzazione civile, la quale invia sempre in automatico il talloncino autoadesivo da applicare sul libretto di circolazione dell’autovettura.

Nel momento in cui, invece, si verifica purtroppo un decesso, è sempre il comune a notificare in automatico l’evento all’Inps, che sospende l’erogazione del trattamento pensionistico senza necessità di notifica da parte degli eredi.

Tutto questo avviene ogni giorno in Italia. Per quanto riguarda la gestione delle armi da fuoco, e dei relativi detentori, invece, siamo ancora fermi al Tulps di mussoliniana memoria: tutto deve essere fatto in modalità manuale, di automatico e soprattutto di informatizzato non c’è nulla. Ma cosa comporta, questo?

Pensando in particolare al decesso di un detentore di armi, appare abbastanza evidente che non è possibile che ancora oggi, arrivati ormai quasi al 2020, la gestione delle armi che erano detenute dal defunto debba ricadere solo ed esclusivamente sulla buona volontà dei parenti, con tempi e modi assai variabili, che possono andare dai pochi giorni a svariati anni. Né d’altronde si può avere la pretesa, o la presunzione, di pensare che congiunti anche non in linea retta siano consapevoli del fatto che lo scomparso detenesse armi.

È un dato di fatto che in questi anni, fomentato anche da un certo associazionismo anti-armi che è evidentemente più preoccupato di far imputare e condannare i singoli detentori piuttosto che prevedere norme di buon senso che abbiano un effettivo impatto sulla sicurezza pubblica, sia il potere legislativo (parlamento) sia il potere esecutivo (ministero dell’Interno) hanno trovato più dilettevole dedicarsi a provvedimenti cervellotici e farraginosi, come la normativa sui caricatori (modificata, è opportuno ricordarlo, 4 volte in 8 anni, senza alcuna differenza in termini di reati per ciascuna delle quattro volte) o sull’utilizzabilità a caccia delle armi “somiglianti” alle armi da guerra, mentre nessuno, appare evidente, si è preoccupato di allineare la normativa in materia di gestione delle armi al tempo attuale nel quale stiamo vivendo, predisponendo così una intercomunicazione tra le pubbliche amministrazioni.

La motivazione di questo ritardo può avere molte spiegazioni. Di certo non c’è quella della “privacy”, visto che in altri ambiti (come quelli citati del trattamento previdenziale, ma non solo) l’intercomunicazione tra le pubbliche amministrazioni c’è e funziona. L’amara considerazione che viene alla mente è che, in particolare in questi ultimi decenni, l’interesse da parte ministeriale e parlamentare nei confronti dei detentori di armi è stato più prettamente orientato all’aspetto repressivo (con l’inasprimento, per esempio, delle pene anche pecuniarie nel caso di fattispecie di reato), mentre poco o nulla è stato fatto dal punto di vista dell’aspetto preventivo. Il quale, però, incidentalmente è quello che maggiormente tutela la collettività.

Tornando all’esempio del defunto, appare di tutta evidenza come sia più utile per la collettività che un commissariato o una stazione carabinieri siano informati in tempi brevissimi del decesso di un detentore di armi, potendosi così prevedere il ritiro delle armi da lui detenute nell’attesa che i parenti decidano in quale modo disporne, anziché limitarsi, sterilmente, a sanzionare l’anziana vedova perché “avrebbe dovuto sapere, avrebbe dovuto fare”. La speranza è che questo stato di cose non si perpetui ancora oggi solo per consentire a qualcuno di esibire a fine anno trionfalistiche statistiche sul numero di armi sequestrate e sul numero di persone denunciate. Sarebbe, oltre che inutile, anche squallido.