Cominciamo dal principio: cos’è un’arma bianca? O meglio: cos’è un’arma bianca per la legge italiana? La definizione di “arma” è fornita sia dall’articolo 30 del Tulps (r.d. 18 giugno 1931, n. 773), sia in modo praticamente identico dall’articolo 585 del codice penale: sono armi
“quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona”. Quindi, per scendere più nel concreto, sono armi bianche le spade, le sciabole, i pugnali, le baionette, le lance, le alabarde, dotate di punta acuminata e/o di filo tagliente, nate per l’impiego militare o, comunque, per un utilizzo operativo reale. Non sono armi bianche tutti gli altri oggetti
concepiti per altro scopo: i coltelli da cucina, le roncole, i machete, le accette e così via. Tutti questi oggetti sono considerati “strumenti atti a offendere”. Possono uccidere anch’essi? Certo che sì (ed è per questo che è abbastanza sciocco che oggi, nel XXI secolo, ancora si faccia una distinzione tra le armi bianche e gli strumenti atti a offendere), ma godono di una diversa disciplina giuridica. Allo stesso modo, ci sono anche oggetti che “sembrano” un’arma bianca ma in realtà non lo sono: è il classico caso delle sciabole da ufficiale prodotte negli ultimi anni, che risultano sprovviste di filo e di punta e che, quindi, lo stesso ministero della Difesa (di concerto con il ministero dell’Interno) ha riconosciuto essere del tutto escluse dalla normativa in materia di armi bianche (per leggere il testo del provvedimento,
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