Affrontare un Tso: tutti i rischi degli operatori

La nostra società sta vivendo momenti di cambiamento radicale e velocissimo, che riguarda ovviamente anche gli scenari di intervento delle forze di polizia. Nuovi scenari e nuovi rischi che si sommano e sovrappongono a quelli di sempre.

Parallelamente, anche le dotazioni e la formazione specifica degli operatori si arricchiscono di sempre nuove conoscenze e sempre nuovi strumenti, affinché l’approccio all’intervento sia sempre più adeguato, nella massima efficacia della sua riuscita e nella massima tutela degli agenti. Non a caso, si parla ormai ovunque del criterio di proporzionalità come del rapporto tra il “grado di forza” che gli operatori devono impiegare nel vincere la resistenza di soggetti pericolosi da un lato e, appunto, la pericolosità di questi dall’altro.

Esistono, però, alcuni ambiti in cui la tutela del soggetto nei confronti del quale intervengono deve essere massima, poiché questo rappresenta tanto la minaccia quanto la prima potenziale vittima della sua stessa azione: un esempio su tutti Aso (Accertamento sanitario obbligatorio) e Tso (Trattamento sanitario obbligatorio).

 

Aso e Tso

Si tratta delle procedure sanitarie che vengono applicate ad una persona nel caso in cui ve ne sia la necessità clinica a tutela della sua salute ed il destinatario rifiuti di sottoporvisi.

In particolare, si tratta di provvedimenti adottati dal sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria locale, che impongono coattivamente, rispettivamente:

  • la visita da parte di un medico, al fine di valutare lo stato della persona e le scelte da adottare di conseguenza;
  • il ricovero del soggetto malato, in una struttura ospedaliera o in altro luogo di cura, al fine di consentire l’applicazione di idonee terapie.

In Italia è disciplinato dalla Legge n. 180 del 1978 (e recepito dalla successiva Legge n. 833/78, istitutiva del servizio sanitario nazionale) che prevede, quanto alla procedura, che gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono appunto disposti con provvedimento del sindaco su proposta motivata di un medico e che, nel caso in cui sia stata disposta la degenza ospedaliera, come spesso accade, il provvedimento in questione venga notificato entro 48 ore dal ricovero al giudice tutelare, che con proprio decreto procede a convalidare o non convalidare il provvedimento.

I ruoli dei protagonisti di questi procedimenti sono ovviamente vincolati dato che, affinché i sanitari possano somministrare le cure necessarie, gli unici soggetti titolati a forzare la volontà del destinatario delle cure sono gli operatori degli Enti e Amministrazioni con funzioni di polizia: nella maggior parte dei casi polizie Locali, polizia di Stato e carabinieri.

È così che gli operatori di polizia si trovano a dover gestire situazioni in cui è necessario vincere la resistenza, spesso violenta e incontrollata, di pazienti frequentemente affetti da disturbi psichiatrici, anche se in chi resiste non c’è volontà cosciente di far male (spesso nemmeno consapevolezza) e ovviamente nella necessità di fornire massima tutela al soggetto come ai sanitari che devono intervenire.

 

Nuove forme di disturbi mentali

La platea di persone potenzialmente interessate da Tso è sempre più vasta ed eterogenea. Se, infatti, fino a pochi decenni fa era rappresentata da persone con problemi psichici il più delle volte risalenti e noti, almeno ai famigliari, poiché radicati nel soggetto, oggi si è arricchita di un numero impressionante di persone che, senza mai essere state considerate malate, manifestano problemi psichiatrici dovuti, tra l’altro, al dilagante uso di sostanze stupefacenti.

La stessa definizione di “disturbo mentale” è, peraltro, di difficile composizione. Nel manuale psichiatrico Dsm i disturbi mentali sono concettualizzati come sindromi (sindrome clinica) o modelli comportamentali o psicologici clinicamente significativi (disturbo di personalità) che, pur presentandosi in ogni individuo con una loro unicità, sono qualificati da:

  • disagio (per es. uno/più sintomi);
  • disabilità (per es. compromissione in una o più aree importanti del funzionamento);
  • aumento significativo del rischio (per es. morte, dolore psichico/fisico o importante limitazione delle libertà).

In una società caratterizzata da una forte spinta all’individualismo e all’isolamento, oltre che interessata da un massiccio uso di stupefacenti e psico-farmaci (il cui uso incontrollato produce gli stessi effetti di disturbo e dipendenza), ecco che il profilo del paziente nei confronti del quale si interviene cambia nuovamente e si fa sempre più variegato come, in definitiva, diventano al limite del prevedibile lo scenario di intervento e le reazioni del soggetto.

 

Ruolo e rischi degli operatori di polizia

La particolarità e la delicatezza dell’intervento di polizia nella gestione del Tso sono evidenti, dunque, perché in questi casi più che in altri, pur nella criticità operativa, è prioritaria l’esigenza di tutela del soggetto nei cui confronti si interviene che, sebbene potenzialmente pericoloso per sé, per i presenti, per i sanitari che devono eseguire la misura e per gli operanti, è tuttavia una persona dichiaratamente malata, tanto che l’obiettivo ultimo della procedura di Tso è proprio la sua cura.

Le circostanze in cui la polizia opererà sono quindi imprevedibili come è imprevedibile la reazione del soggetto a Tso: si lascerà condurre alle cure o vi si opporrà in modo incontrollato? Vivrà l’eccezionalità del momento come il culmine di una disperazione che favorirà il tentativo di gesti estremi? Oppure, addirittura, l’intervento avviene già in un momento di crisi così acuta tale per cui vi è già grave pericolo per il paziente o altre persone? Già, perché non va dimenticato che nella prassi la richiesta e la concessione di Tso avvengono proprio a causa di un momento di impossibilità di gestione della quotidianità del paziente e della sua cura, ragion per cui è pressoché fisiologica una reazione incontrollata da parte sua.

Allo stesso modo, anche una volta che la polizia sarà stata in grado di contenere il primo sfogo aggressivo del paziente, esiste un elevata probabilità che lo stesso torni improvvisamente a tentare di sottrarsi, magari in un momento in cui valuti di avere maggiori probabilità. Il trasporto in ambulanza, per esempio, rappresenta un ulteriore momento critico: non mancano, infatti, i casi in cui il paziente, una volta a bordo, provi a vincere la resistenza dei soli sanitari o, eventualmente, dell’unico operatore che dovesse essere salito a bordo e reagisca nuovamente con inaspettata aggressività. Ma anche la sorveglianza una volta giunti alla struttura, per tutto il tempo necessario alla presa in carico da parte dei dipartimenti di psichiatria e salute mentale (spesso ore), rappresenta una criticità notevole.

Spesso, inoltre, i destinatari di Tso devono essere raggiunti presso l’abitazione, all’interno della quale molte volte si barricano, opponendosi alla misura.

Inoltre, in questo momento storico la stragrande maggioranza dei Tso colpisce cittadini italiani. Nel momento in cui crescerà la fetta di popolazione proveniente dall’estero interessata da queste misure si moltiplicheranno anche i problemi di comunicazione.

 

Le aggressioni agli agenti durante i Tso

Da nord a sud la cronaca riferisce praticamente ogni giorno di agenti aggrediti durante l’esecuzione di Tso.

Calci, pugni, morsi, ma anche sputi e lancio di materiale biologico di qualunque tipo, oltre al lancio di oggetti e all’uso di coltelli e, più in generale, di qualunque oggetto sia a portata di mano del paziente.

Praticamente mai, invece, si riscontra il ricorso ad armi proprie in generale e in particolare ad armi da fuoco legittimamente detenute. Non mancano i casi in cui nell’abitazione del malato siano presenti armi, spesso vecchi fucili da caccia, ma in nessun caso sono state utilizzate dal soggetto contro sanitari e agenti, a riprova del fatto che l’aggressività del paziente è tesa a sottrarsi alle cure, figlia dell’incapacità di autodeterminarsi, ma mai volontà precisa e preordinata di far del male agli operanti.

Date queste premesse, come si diceva, durante il loro intervento molte volte gli operatori si ritrovano a dover gestire anche altre persone conviventi, il più delle volte parenti, che possono rappresentare un ulteriore problema. Se, infatti, in qualche caso, i parenti fungono da filtro negoziatore con il paziente, in altri rappresentano un ulteriore elemento da dover considerare e gestire e, in altri ancora, una vera e propria resistenza da vincere, rendendo lo scenario ancora più complesso. Non ultimo, anche la presenza di animali domestici può rappresentare una criticità difficile da gestire.

Riccardo Badino, operatore di lunghissimo corso e istruttore della polizia locale di Genova, con i colleghi del Polo di formazione del Comando è stato prima tra gli strenui sostenitori della necessità di adottare protocolli specifici, che ora divulga presso i colleghi più giovani.

 

L’esperienza di Genova

Proprio a Genova le amministrazioni coinvolte nella gestione del fenomeno si sono determinate a mettere mano al grave problema dei ferimenti degli operatori di polizia durante i Tso, in particolare dopo la morte di un operatore di polizia.

«È così. Nel 2008 il sovrintendente della Polizia di Stato Daniele Macciantelli è morto per la ferita riportata durante l’intervento presso un’abitazione nella quale un giovane con disturbi psichici minacciava di morte i propri genitori con un coltello dalla lama di 26 cm., lo stesso che ha rivolto contro il poliziotto uccidendolo.

È così che Regione Liguria, Prefettura e Comune di Genova hanno formalizzato un Protocollo d’intesa affinché si avallassero procedure operative già consolidatesi nel tempo, che contiene anche novità di carattere tecnico, quali:

  • l’esplicito riferimento alla dotazione, per i casi di maggior complessità, dei “…basilari strumenti di difesa personale: corpetto protettivo, guanti anti-taglio e cuscino paracolpi”;
  • l’istituzione di un gruppo tecnico composto da rappresentanti delle istituzioni, Asl e Polizia Municipale, al fine di codificare tre distinti livelli di intervento in presenza dei quali sia conseguente l’istituzionalizzazione di tre diverse modalità di intervento;
  • l’organizzazione di appositi moduli di formazione congiunta per gli operatori di Polizia Locale, forze dell’ordine e personale sanitario».

Tra l’altro, partendo dal presupposto che l’art. 15 del D.Lgs. 81/08 (Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro), prevede “l’eliminazione dei rischi o la loro riduzione alla fonte” e benché rispetto alla tipologia di rischi coinvolti per gli agenti nel T.S.O. non esistano misure certamente efficaci, l’esperienza di Genova ha evidenziato la necessità di:

  • intervenire presso gli operatori sull’informazione, formazione e addestramento;
  • adottare procedure di intervento emanate tramite Ordini di servizio interni;
  • dotare il personale operante, di strumenti di autotutela, denominati “Presidi tattici difensivi”;
  • costruire un sistema di continuo monitoraggio interno alla struttura che suggerisca eventuali modifiche del caso alle procedure in uso.

Il Tso, dunque, è un intervento davvero peculiare per le forze di Polizia, che merita protocolli, formazione e dotazioni che dipendono da una valutazione dei rischi assolutamente specifica.

 

Le dotazioni

Quali sono gli strumenti indispensabili nella gestione di un Tso?

«Le dotazioni di cui necessitano gli operatori debbano iniziare dalle opportune protezioni passive. Un’idonea protezione, infatti, consente di approcciare con modalità soft situazioni hard, partendo dal livello più basso della scala di uso della forza, proprio contando sul fatto di essere, nel frattempo, ben protetti. In presenza di un soggetto malato, infatti, è doveroso limitare al massimo qualsiasi uso della forza, benché legittima. E quindi prima di tutto cuscini e indumenti anti-taglio».

In base alla vostra esperienza, quali caratteristiche devono avere i cuscini contenitivi?

«Anzitutto il cuscino consente di muoversi nell’ambiente in sicurezza, propria e del paziente, perché da un lato protegge gli operatori e dall’altro consente una eventuale prima coercizione del soggetto, limitandone le possibilità di movimento, nella massima tutela possibile. Proprio riguardo ai cuscini contenitivi in materiale anti-taglio, l’esperienza ha insegnato come, per esempio, gli stessi debbano presentare zone morbide tanto nel lato rivolto al paziente quanto in quello rivolto verso l’operatore, dato che è all’ordine del giorno l’ipotesi di incontrare resistenza e dover subire una spinta di ritorno del cuscino verso di sé. Cinghie con gommapiuma e strati di materiale anti-taglio sono quindi indispensabili.

A Genova, per esempio, abbiamo progettato e fatto realizzare per questo impiego cuscini ad hoc, per forma e dimensioni, partendo dalla base di un modello in commercio che era dedicato al training con i bastoni… Per fortuna oggi si riesce ad avere un rapporto diretto anche con i produttori di materiali, creando scambio di informazioni tra utilizzatori e produttori e riuscendo così a realizzare prodotti davvero su misura per le proprie esigenze».

Quali sono le protezioni individuali previste?

Anzitutto abbiamo escluso l’utilizzo di protezioni antiproiettile, proprio perché la casistica non evidenzia rischi di questo genere ed i corpetti comunque limitano notevolmente i movimenti, anche considerando che spesso si lavora in tanti all’interno di abitazioni dagli spazi ristretti. Utilizziamo dunque guanti anti-taglio rigorosamente a norma Cee. All’atto della scelta, infatti, occorre valutare attentamente le varie proposte del mercato, perché anche in questo ambito le caratteristiche promesse dai produttori vanno sempre raffrontate alle specifiche esigenze dell’operatore. E poi, intere maglie anti-taglio per proteggere busto, arti e collo, associati a corpetti anti-penetrazione, perché oltre ai fendenti dobbiamo tenere nella massima considerazione il rischio di essere aggrediti con strumenti da punta, siano essi coltelli o strumenti improvvisati. È importante considerare, inoltre, che i corpetti anti-penetrazione proteggono anche dai traumi derivanti da impatto derivante da oggetti percuotenti, o anche semplicemente da colpi di pugno. In altre parole, proteggono da affondi di strumenti appuntiti come da pugni e bastonate».

Il Taser può rappresentare un valido supporto?

«A mio parere no. Si tratta di strumenti efficacissimi e di indubbia utilità una volta che le intenzioni siano manifeste e criminali, ma incontrano il limite di una dubbia utilizzabilità nei confronti di pazienti psichiatrici (che ben possono presentare anche altre patologie critiche) così come, sotto il profilo operativo, richiedono comunque una condotta “attiva” dell’operante, con tutto ciò che comporta. Non sono in grado di proteggere gli agenti, però, in caso di aggressione inaspettata. Non dimentichiamo. Infatti, che l’intervento nell’ambito di un Tso:

  • avviene nei confronti di un soggetto malato e non di un criminale, pertanto l’approccio, salvo che il soggetto dia già in escandescenze, è doverosamente negoziale;
  • anzi, proprio la norma prevede espressamente che gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato, di fatto lasciando la coercizione fisica assolutamente quale extrema ratio e ovviamente solo con il fine ultimo di potergli garantire le cure o di tutelare l’incolumità del personale sanitario che deve procedervi;
  • un paziente psichiatrico (sono tali anche i tossicodipendenti) può cambiare approccio repentinamente e avere accessi di aggressività inaspettati, trasformando in pochi attimi un intervento attento ma sereno in uno scenario conflittuale. Ebbene, in questi casi il solo strumento in grado di proteggere gli agenti dai primi momenti di un’aggressione violenta e improvvisa, che gli stessi non potranno che subire almeno inizialmente, è rappresentato da adeguate protezioni anti-taglio.

Oltre alle protezioni anti-taglio ed anti-penetrazione, quale altro strumento è determinante?

«Una volta protetti gli operatori, gli strumenti fondamentali sono quelli coercitivi, in grado cioè di limitare la libertà di movimento del soggetto per contenerne l’aggressività. Primo fra tutti ovviamente le manette, che però devono essere a fascia e molto grandi, perché è capitato numerose volte di non riuscire ad avvicinare tra loro i polsi di persone enormemente sovrappeso (cosidetti “grandi obesi”), o ancora di trovarsi in presenza di polsi così grossi da non riuscire a contenerli nella manetta. Ancora una volta va ricordato che i soggetti in questione spesso soffrono di diverse e numerose patologie. Anche lo spray capsicum in molti casi si è dimostrato funzionale alla distrazione del paziente per il tempo necessario a contenerne fisicamente l’azione.

A Genova, inoltre, abbiamo per primi in Italia adottato la sperimentazione di Bolawrap, utilissimo per contenere a distanza un soggetto senza doverci interagire fisicamente, in particolar modo negli spazi aperti, perché in corridoi stretti potrebbe non trovare gli spazi necessari al suo impiego».

Dunque, protezioni adeguate e tanta formazione.