Acquistare da Terni: luci e ombre

Il comando logistico dell’esercito ha preparato il nuovo listino per le armi obsolete in vendita al Pmal di Terni. Alcune valutazioni lasciano perplessi, la procedura è sempre farraginosa

Il comando logistico dell’esercito ha preparato il nuovo listino con i prezzi delle armi non più in servizio, che possono essere cedute ai collezionisti. Il listino ha validità di un anno solare, dal marzo 2020 al marzo 2021. All’interno del listino ci sono sicuramente alcune voci nuove e interessanti, come per esempio le pistole Steyr 1912 calibro 9 mm Steyr (giova ricordare che l’esercito italiano, allora regio, ne ricevette un certo quantitativo dall’Austria sia come preda bellica nel corso del primo conflitto, sia successivamente come conto danni di guerra), e ci sono come sempre per la gioia dei collezionisti i grandi classici, come i moschetti ’91 in varie versioni (non più il fucile lungo, però), gli Enfield anch’essi in diverse tipologie, i Garand e così via. Scaricando l’allegato in fondo alla pagina, potrete prendere visione di tutto quanto.

Tra gli aspetti sicuramente positivi dell’attuale organizzazione del servizio di cessione delle armi fuori servizio ai collezionisti c’è senz’altro l’ingresso, benvenuto, della tecnologia nella gestione dei rapporti con il comando logistico, per la gestione della pratica: le richieste e le copie dei documenti necessari possono “viaggiare” oggi via posta elettronica tramite l’indirizzo comlog@esercito.difesa.it o, ancor meglio per chi disponesse di posta elettronica certificata, tramite l’indirizzo comlog@postacert.difesa.it.

A fronte di questo balzo in avanti epocale, rispetto ai tempi delle raccomandate cartacee (che possono comunque essere ancora inviate a Comando Logistico dell’Esercito, Stato Maggiore – Ufficio Alienazioni, via Nomentana 274, 00162 Roma, indicando però un valido indirizzo e-mail perché la risposta giungerà comunque attraverso quel mezzo), altre cose appaiono purtroppo non del tutto al passo con i tempi: a partire dalla modalità di comunicazione del listino, che non è riportato (a quanto ci consta) sui siti del ministero della Difesa bensì deve essere richiesto esplicitamente dal collezionista, costituendo tale richiesta l’atto di avvio del procedimento amministrativo. Domanda che, tra l’altro, prima ancora di sapere se nell’elenco c’è qualcosa di interesse, deve essere corredata di copia del porto d’armi, copia della licenza di collezione, copia di un documento di identità. In caso contrario non solo non viene inviato il listino ma, in alcuni casi, non si riceve proprio risposta.

Decisamente non al passo con i tempi sono… i tempi, per l’appunto, di evasione della pratica che, se alcuni anni fa avevano raggiunto meritoriamente il minimo storico di due-tre mesi dalla prima istanza al ritiro (a Terni) delle armi, oggi impegnano nuovamente oltre un anno (se basta…). Una parte del problema può senz’altro risiedere nel fatto che a fronte di un aumento dei prezzi delle armi, il limite economico oltre il quale non si può procedere al pagamento diretto ma bisogna invece ricorrere alla “permuta” è stato abbassato dai precedenti 1.000 a soli 500 euro. Il che significa che, praticamente, a meno di non voler andare a Terni per una sola arma (e scegliendo con attenzione tra le più economiche), tutti devono ricorrere a questa procedura. Ma cosa significa la “permuta”? Semplicemente che il collezionista non acquista direttamente le armi dal Pmal di Terni, bensì le “baratta” con oggetti di pari valore, che vengono indicati dall’amministrazione militare. Quindi al collezionista viene indicato un bene, o un insieme di beni di proprietà o di produzione di una o più aziende private, lui “compra” questi beni dalle aziende e, una volta che questi beni sono stati consegnati al Pmal, può andare a prendere le agognate armi.

Il sistema della permuta è ormai in vigore da diversi anni, al di là del fatto che l’amministrazione può avere ragioni del tutto valide per ricorrere a questo sistema (per esempio per fare in modo che i soldi dei collezionisti non finiscano dispersi chissà dove nel calderone dell’erario, ma possano essere utilizzati per mantenere in attività il Pmal), è un fatto che purtroppo la gestione del dialogo tra collezionista, comando logistico, aziende e viceversa non sembra brillare sempre per rapidità ed efficienza, tanto che in alcuni casi si è verificato, per esempio, che tra il momento in cui erano stati identificati determinati beni e il momento in cui il collezionista è stato finalmente autorizzato al pagamento… i beni in questione erano già usciti di produzione, sostituiti da modelli più moderni. Fermo restando che si pongono anche ben precisi problemi di tutela dei collezionisti: volendo fare gli avvocati del diavolo, che cosa può accadere nel momento in cui un utente “compra” determinati beni da una azienda privata e quest’ultima dichiara fallimento prima della consegna al Pmal? È ovvio che auspichiamo che una situazione del genere non si verifichi mai… ma nel caso?

Anche su alcuni dei prezzi fissati nel listino, alcuni collezionisti ci hanno manifestato più di una perplessità. Il primo fatto curioso è che non si capisce come mai (ma ci sarà senz’altro una spiegazione logica) alcune armi abbiano un prezzo, diciamo così, “millesimato”: emblematico il moschetto ’91 Ts in 6,5 mm con attacco baionetta dritto che costa 657,24 euro, perché evidentemente 658 o addirittura 660 non si poteva fare. Il che renderà senz’altro semplice far quadrare i conti poi con le aziende per la “permuta”…

Le valutazioni in sé in alcuni casi sembrano parametrate ai valori di mercato che si riscontrano in armeria, in altri casi sono addirittura superiori rispetto ai valori delle armerie, emblematico in questo senso è il valore attribuito al fucile 91/38 in calibro 6,5 mm che viene proposto a 553,02 euro (fondamentali anche in questo caso, evidentemente, i due centesimi), quando nelle armerie la stessa tipologia d’arma si trova tra i 300 e i 350 euro al massimo. Sia ben chiaro che noi non siamo assolutamente favorevoli a che lo Stato si depauperi di un valore svendendolo per pochi centesimi: ma se si considera il fattore tutt’altro che secondario che nella procedura per l’acquisto delle armi dall’amministrazione non è possibile né vedere, né quindi di conseguenza scegliere le armi stesse prima del ritiro, appare obiettivamente una sperequazione abbastanza incomprensibile in rapporto a quanto offrono le armerie e specialmente penalizzante per la stessa amministrazione che, in pratica, pone in vendita armi che ben pochi sceglieranno di acquistare. Ma lo scopo di tutta l’operazione è quindi di venderle, le armi, o di non venderle? Allo stesso modo non si comprende il criterio sotteso all’attribuzione di un valore di 750 euro per il fucile Garand T1, prodotto in relativamente pochi esemplari, quando il T2, ben più diffuso e del quale verosimilmente saranno disponibili nei magazzini migliaia di esemplari, si è attribuito un prezzo di 200 euro superiore.

Il bilancio complessivo, come abbiamo anticipato in apertura di questo articolo, è fatto di luci e ombre. Per sgombrare il campo dalle ombre, tutto sommato potrebbe anche non essere necessario chissà cosa: le armi che il Pmal vende sono cimeli storici che non hanno subìto rimaneggiamenti da parte dei commercianti, quindi per molti appassionati sono senz’altro appetibili. Ciò premesso, molta della buona volontà dei collezionisti viene messa a dura prova da una farraginosità del procedimento di cessione che rende abbastanza difficile da giustificare una quotazione delle armi corrispondente in pratica a ciò che si trova nelle armerie, quando non addirittura superiore e non di poco. Parlando di snellimenti burocratici, non sarebbe male trovare un giorno sul sito dell’esercito una pagina dedicata alle cessioni delle armi obsolete, dalla quale gli utenti possano visionare direttamente il listino e ottenere con facilità tutti i recapiti per attivare la procedura d’acquisto. La stessa amministrazione, in questo modo, potrebbe sfrondarsi di molte richieste fatte semplicemente per curiosità dagli appassionati che, una volta preso atto dei prezzi, decidono poi di non dar corso alla cosa.