Violazioni igieniche e contributive tra i motivi per rigetto del porto d’armi?

Del tutto inedite le motivazioni con le quali, tra le altre, la prefettura di Caserta ha giustificato il mancato rinnovo del porto di pistola per difesa personale in capo al titolare di alcuni supermercati della zona, al quale veniva regolarmente rinnovato dal 1996. Oltre, infatti, a contestare la mancanza del “dimostrato bisogno” di girare armato, tra i motivi addotti dall’Ufficio territoriale del governo ricadrebbe il fatto che il cittadino sarebbe stato gravato da alcuni precedenti penali, segnatamente due decreti penali di condanna per mancato versamento dei contributi previdenziali e violazione delle norme igieniche all’interno di un esercizio commerciale.

Il cittadino ha adito il Tar che, con sentenza n. 07909/2021 pubblicata lo scorso 9 dicembre, ha respinto il ricorso, concentrandosi in particolare sul fatto che sarebbe priva di sostanza l’eccezione sollevata dal ricorrente secondo la quale la prefettura non avrebbe svolto una sufficiente attività istruttoria e soprattutto motivazionale sul mutamento (asserito insussistente dal cittadino) delle condizioni che fino a quel momento avevano pacificamente garantito il rinnovo annuale del porto d’armi per difesa personale: i giudici hanno eccepito infatti che “L’art. 42 del R.D. n. 773/1931 non prevede affatto, come appare ventilare il ricorrente, l’aggravio motivazionale nel caso di mancato rinnovo del titolo, in quanto la medesima disposizione pone in capo al richiedente la necessità di provare, ai fini di ogni rilascio della licenza per porto di pistola per uso difesa personale, l’esistenza del “dimostrato bisogno”, rappresentando il rilascio del porto d’armi di cui all’art. 42 del T.U.L.P.S. una assoluta eccezione alla regola generale per cui la protezione dell’incolumità dei cittadini è demandata alle forze dell’ordine, e non essendo a tal fine sufficiente la buona condotta dell’istante o l’assenza in capo al medesimo di condanne o condotte che ne inficino l’affidabilità, ma presupponendosi la dimostrata ed attuale sussistenza di una eccezionale esigenza di difesa personale. Tale prova grava dunque, sul privato che richiede il porto d’armi, che ogni volta che insta per il rinnovo deve dimostrare l’attualità delle esigenze di difesa personale, non essendo sufficienti a tal fine la mera appartenenza ad una categoria professionale o lo svolgimento di una determinata attività economica o la presenza di rilevanti somme di denaro. In definitiva, il precedente rilascio del titolo di porto d’armi, come deroga al divieto di portare armi, non genera né diritti, né legittimi affidamenti sul rinnovo in perpetuo, ma soggiace a un controllo assiduo e continuo, assai penetrante, che si dispiega normalmente proprio all’atto del periodico rinnovo. Tale controllo non solo si estende all’uso (o non abuso) del titolo, al permanere attuale di tutti i requisiti ed alla persistenza delle condizioni che avevano condotto all’autorizzazione, ma consente anche all’autorità competente di condurre – nonostante i precedenti rinnovi – una riconsiderazione discrezionale sulla stessa opportunità del permanere del titolo autorizzatorio, e ciò eventualmente anche alla luce di mutati indirizzi in materia di sicurezza pubblica. In altri termini, l’autorità di pubblica sicurezza può legittimamente denegare il rinnovo del porto d’arma non solo per la sopravvenuta carenza dei presupposti e dei requisiti di legge, ma anche per un legittimo ripensamento, per una nuova discrezionale valutazione della convenienza e opportunità della scelta originariamente compiuta, anche alla luce di mutati indirizzi di gestione degli interessi generali di settore”.

Più nello specifico, nella valutazione del rischio di rapina in capo al ricorrente a motivo della movimentazione di ingenti somme di denaro e considerando che nei supermercati in oggetto si erano già verificate rapine, il Tar ha replicato che “applicando i menzionati principi all’odierna fattispecie, con riferimento alle circostanze dedotte dal ricorrente a sostegno della propria istanza, ovverosia la professione svolta dal medesimo che, a suo giudizio, lo esporrebbe al rischio di furti e/o rapine trovandosi regolarmente a circolare con ingenti somme di contante provenienti dalle attività cui è addetto, il Collegio rileva che la predetta circostanza non rende illegittimo l’impugnato diniego, in quanto il ricorrente si è limitato ad illustrare la propria professione e i rischi potenziali della stessa senza, tuttavia, dare atto che nello svolgimento di questa sia intervenuto qualche episodio che lo abbia concretamente esposto al paventato pericolo durante i suoi spostamenti con ingenti somme di contante. Invero, nel particolare caso in questione, risulta ragionevole e adeguata anche quella parte della motivazione del provvedimento (ampiamente discrezionale) di diniego impugnato, in cui i fatti delittuosi denunciati dal ricorrente che avevano riguardato le diverse sedi dei supermercati alla cui gestione collaborava non sono stati reputati sintomatici di una situazione di concreto pericolo in cui versasse il richiedente la licenza in ragione delle mansioni rivestite. Si tratta, infatti, di episodi criminosi consumati all’interno dei locali in cui si svolgeva l’attività commerciale e non riguardanti la movimentazione del denaro contante cui il ricorrente era stato specificamente preposto dall’amministratore della società. Correttamente, la resistente amministrazione non ha ritenuto possibile inferire dalle elencate denunce una situazione di pericolo perdurante ovvero in qualche modo indicativa di incombenti aggressioni criminali che, in ogni caso, preludessero a scenari dissimili dalla posizione di altri cittadini che, a vario titolo, operano e vivono nell’ordinario contesto civile dell’area metropolitana considerata”.

Sul punto delle motivazioni di inaffidabilità del ricorrente per le denunce relative ai contributi previdenziali e per le norme igieniche, il collegio ha tuttavia evitato di esprimersi, valutando che “il carattere dirimente dell’ostacolo all’accoglimento dell’istanza di rinnovo, costituito dalla mancata dimostrazione della necessità del porto d’armi per difesa personale, consente di soprassedere sui rilievi all’uopo sollevati. Trova, infatti, applicazione il consolidato orientamento della giurisprudenza per cui l’accertamento dell’inattaccabilità anche solo di una ragione addotta dall’Amministrazione vale a sorreggere autonomamente il provvedimento, divenendo inammissibili per carenza di interesse le doglianze fatte valere avverso le restanti ragioni”.