Questione di occhio

Nel “setup” di una semiauto per la difesa personale, le mire hanno un ruolo fondamentale. Per questo sono disponibili numerose soluzioni aftermarket.

In tempi di pistole “optic ready”, esistono comunque numerose soluzioni all’avanguardia anche in tema di mire convenzionali per il tiro tattico e la difesa personale

Per molti anni la pistola semiautomatica per difesa personale era per antonomasia un’arma compatta, anzi proprio piccola, massimo in 7,65 mm, con organi di mira striminziti, anzi quasi inesistenti. Negli ultimi anni si è invece assistito alla diffusione di pistole semiautomatiche con caricatori bifilari, full size o compatte ma comunque con dimensioni importanti, in calibri dal 9×21 al .45 acp. Gli organi di mira si sono evoluti anch’essi di conseguenza, assumendo dimensioni più consone al tiro anche istintivo, in particolare è cresciuta l’altezza del mirino, il suo profilo si è fatto più squadrato come più squadrato si è fatto il contorno della finestra a “U” sulla tacca di mira. La cosa interessante è che in questi anni si è nuovamente assistito a una miniaturizzazione delle armi prettamente destinate alla difesa personale, con la comparsa per esempio delle varie monofilari con fusto polimerico (come la Glock 43 o 43X), ma le mire non si sono ridimensionate di conseguenza, restando di dimensioni pressoché full size. Giustamente, perché il presupposto per un piazzamento del colpo, per di più in condizioni di elevato stress, è disporre di organi di mira che siano ben acquisibili e ben sfruttabili.

Ancora al volgere del XX secolo sulle armi per difesa personale avevano mire piuttosto minimaliste per evitare l’impigliamento negli abiti ma, anche nel caso di organi tutto sommato ben dimensionati, il limite era costituito dal fatto che l’acquisibilità non era significativamente superiore a quella di una “normale” pistola per il tiro informale, il massimo concesso era al limite la presenza di riferimenti bianchi per il tiro istintivo. Questi ultimi potevano essere del tipo 3-dot (un punto sul mirino, due ai lati della tacca) o del tipo Von Stavenhagen (un punto sul mirino, una barretta alla base della “U” della tacca), il secondo oggi quasi completamente sparito (anche Beretta che lo aveva lungamente impiegato è passata ai 3-dot). A partire dagli anni Ottanta, hanno cominciato a diffondersi le prime tacche di mira al trizio, nelle quali ciò all’interno di tacca e mirino sono presenti microscopiche ampolle in polimero trasparente contenenti un isotopo radioattivo che risulta luminescente nell’oscurità. Queste tacche sono talvolta offerte, oggi, anche dagli stessi produttori delle pistole (con sovrapprezzo) oppure acquistabili come aftermarket. La versione più economica delle mire al trizio, invalsa nell’uso da qualche anno, è quella in cui tacca e mirino presentano dot trattati con una speciale vernice che si “carica” anche con un solo secondo di esposizione a una luce forte (il sole o una torcia), rilasciando poi l’energia luminosa lentamente sotto forma di luminescenza, che si scarica nel volgere di una o due ore (le mire al trizio si mantengono invece inalterate per anni). Un esempio è il sistema Superluminova utilizzato da Beretta. In altri casi, si preferisce integrare sul solo mirino o su tacca e mirino speciali inserti in fibra ottica, che consentono una buona luminosità durante il puntamento anche con luce abbastanza fioca.

Il problema del trizio, oltre all’elevato costo, è che in condizioni di luce bassa, ma non inesistente, non brilla proprio per niente. Per contro, se la luce ambientale è troppo fioca, le mire in fibra ottica presentano il medesimo problema. Per questo motivo, alcuni produttori di mire custom hanno iniziato a integrare il trizio e la fibra ottica, come per esempio Truglo con il modello Tfx, in modo da garantire la luminosità in qualsiasi circostanza di luce, dal sole pieno all’assoluta oscurità. Altra tendenza emersa soprattutto in questi anni è quella del pensionamento dei profili tipo Novak (con la tacca marcatamente rastremata nella parte anteriore, come un triangolo rettangolo con il cateto maggiore appoggiato sul carrello) a favore di tacche perfettamente squadrate nella parte anteriore, al fine di consentire lo scarrellamento d’emergenza anche con una sola mano, facendo contrastare la tacca contro la cintura dei pantaloni, lo spigolo di un tavolo o un altro appoggio di circostanza. Ovviamente la sfida tra i produttori di mire custom è quella di integrare il maggior numero di funzioni nella medesima tacca di mira, quindi per esempio con fibra ottica e frontale squadrato, magari anche regolabile micrometricamente in altezza e derivazione. Per contro, più aumentano le funzioni integrate, più aumenta l’ingombro complessivo della tacca (ma anche del mirino), con evidenti contropartite in termini di impigliamento, specialmente se si parla di porto occulto sotto gli abiti civili. Nella difesa abitativa, questo fattore può assumere una importanza inferiore ma neanche tanto, perché nella concitazione ci possono comunque essere incagli con la mobilia, le lenzuola del letto, gli abiti eccetera.

Esistono, infine, progetti ancor più estremi, nei quali il concetto di tacca e mirino viene stravolto, sempre allo scopo di favorire la massima istintività di puntamento a discapito anche della massima precisione: è il caso del Meprolight Ft bullseye, nel quale un unico complesso installato nella parte posteriore dell’arma funge sia da tacca, sia da mirino, con riferimenti al trizio e in fibra. Ma si comincia ad andare verso la fantascienza…

L’articolo completo su Armi e Tiro di gennaio 2020