Quando è finita, davvero, l’era della polvere nera?

Il fucile Lebel 1886 è stato il primo nato specificamente per una cartuccia di piccolo calibro caricata a polvere infume.

La polvere nera è stata il primo propellente per le armi da fuoco ed è stato l’unico disponibile per secoli, cioè fin dagli albori dei primi “cannoni maneschi” di epoca tardo medioevale fino al XIX secolo. Si suole stabilire il punto d’origine della nuova era, cioè quella delle polveri senza fumo, all’invenzione della cosiddetta “poudre B” del francese Paul Vieille nel 1884, utilizzata a partire dal 1886 nel calibro 8x50R del fucile Lebel. Ed è stata davvero una rivoluzione copernicana, che tutti gli altri Paesi occidentali hanno cercato prontamente di replicare. Ma non tutti sono stati veloci allo stesso modo e, soprattutto, il periodo di transizione tra la polvere nera e la polvere infume è andato avanti molto più a lungo di quanto si creda comunemente: anche oltre un quarto di secolo!

La rincorsa tecnologica
Il momento dell’introduzione delle polveri senza fumo si è innestato, accelerandolo, in un quadro generale di riduzione dei calibri delle armi portatili militari, che era ormai in atto da qualche anno. Così, per esempio, se le prime cartucce progettate per l’impiego nelle conversioni a retrocarica delle vecchie armi ad avancarica, intorno agli anni Sessanta dell’Ottocento, avevano diametri compresi tra i 14 e i 17,5 mm, la nuova generazione di cartucce a bossolo metallico sviluppate tra il 1869-70 e il 1880 erano di calibro compreso tra i 10 e gli 11 mm, con proiettile in piombo nudo o avvolto in carta (calepinato), l’ultima esponente di questa generazione (e ritenuta la migliore tra le cartucce a polvere nera tradizionali) è la 9,5 mm Mauser turca, adottata dall’impero ottomano nel 1887, quindi l’anno successivo all’adozione del Lebel francese a polvere infume, e diventata per questo motivo rapidamente obsoleta, visto che sempre l’impero turco procedette all’adozione di un nuovo modello Mauser, in calibro 7,65 mm a polvere infume, tre soli anni più tardi, nel 1890.

L’approccio da parte di altri Paesi fu in parte differente: l’impero asburgico decise l’adozione di un fucile di nuovo modello e di piccolo calibro, il Mannlicher 1888, che utilizzava munizioni in calibro 8x50R (ma con profilo del bossolo differente rispetto alla munizione francese) e proiettile cilindro-ogivale blindato in ferro dolce, caricato ancora a polvere nera; due soli anni più tardi fu messa a punto una nuova cartuccia (8x52R) intercambiabile con la precedente, caricata però a polvere infume, che fu nuovamente modificata tre soli anni più tardi (1893) tornando al bossolo M88 lungo 50 mm. Un approccio simile fu adottato dalla Gran Bretagna con il .303 British, cartuccia sempre di piccolo calibro e con proiettile mantellato, adottata in servizio nel dicembre 1888 con carica di polvere nera, sostituita da una versione a polvere infume (Cordite) già solo nel 1891. L’Italia affrontò la questione in modo per così dire “ibrido”: nel 1890, allorché già si stavano iniziando gli studi per l’adozione di un fucile di piccolo calibro di moderna generazione (il ’91…), fu tuttavia adottata una cartuccia caricata a balistite per i vecchi Vetterli mod. 70 e 70/87, nella convinzione che, comunque, la transizione completa dalle armi di vecchio tipo a quelle di nuova adozione avrebbe richiesto anni.

In effetti…
L’adozione di cartucce caricate a polvere infume per fucili nati per cartucce a polvere nera richiese, comunque, adattamenti: i propellenti alla nitrocellulosa conferivano una maggior velocità al proiettile, quindi cambiava completamente la traiettoria, di conseguenza fu necessario modificare gli alzi dei fucili. Gli austroungarici predisposero opportune placchette con le nuove graduazioni da fissare sopra le precedenti, gli italiani preferirono sostituire il ritto dell’alzo con un altro, diversamente conformato.

Un fucile Mannlicher 1888-90 con le placchette aggiuntive ai lati dell’alzo, recanti le nuove graduazioni delle distanze per la cartuccia a polvere infume.

Malgrado ciò, allo scoppio del primo conflitto mondiale (quindi un quarto di secolo dopo l’adozione delle prime polveri senza fumo) le armi e soprattutto le cartucce a polvere nera risultavano ancora massicciamente presenti negli arsenali e furono, conseguentemente, assegnate in dotazione, seppur in massima parte ai servizi di seconda linea (ma anche a ridosso della linea del fronte). Parliamo, per esempio, dei fucili austroungarici Werndl 1877e Mannlicher 1886 camerati per la cartuccia 11x58R, in tali casi le munizioni erano quelle prodotte a suo tempo nel periodo di transizione tra polvere nera e polveri infumi, ma si è verificato anche il caso di nuove produzioni eseguite ad hoc, come il lotto di cartucce Vetterli M70 prodotte dall’italiana Leon Beaux nel 1915 per equipaggiare quei moschetti che non avevano ricevuto la sostituzione del ritto d’alzo con quello di nuovo tipo, ancora in distribuzione ad alcuni reparti della guardia di finanza e dei carabinieri. Una volta finito il conflitto, in pratica sulle armi e sulle cartucce a polvere nera calò un oblio quasi completo ma, in realtà, alcuni Paesi mantennero una produzione di munizioni a polvere nera fino alle porte del secondo conflitto mondiale: forse il caso più paradossale in questo senso è rappresentato dall’esercito francese: primo ad adottare una cartuccia infume per il fucile, mantenne in produzione la cartuccia a polvere nera per il revolver regolamentare 1892 fino agli anni Quaranta del XX secolo. Forse è proprio con questo esempio che si può considerare conclusa la vita militare della polvere nera, quantomeno nelle cartucce portatili: perché in effetti con l’artiglieria, per compiti specifici (petardi d’innescamento, carichette di rinforzo, granate per scuola di tiro e così via) si può dire che la polvere nera non sia mai veramente andata in pensione anche negli anni del secondo dopoguerra.