Nuova Zelanda: 6 feriti gravi in 60 secondi!

Il primo ministro neozelandese Jacinda Ardern (in foto) ha riconosciuto che quello perpetrato ad Auckland da un cittadino cingalese è stato un attentato. In relazione al fatto che il suddetto cittadino cingalese, immigrato in Nuova Zelanda nel 2011, fosse sottoposto a sorveglianza speciale perché ritenuto fortemente a rischio di atti terroristici, ha dichiarato che “abbiamo utilizzato ogni mezzo legale e di sorveglianza a nostra disposizione per cercare di proteggere le persone da questo individuo” e che “per legge non potevamo tenerlo in prigione”. Per questo motivo, l’intervento da parte delle forze dell’ordine, che preso atto dell’inizio dell’atto terroristico sono entrate nel supermercato e lo hanno ucciso con colpi d’arma da fuoco, è stato condotto in un tempo brevissimo, pari secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica a soli 60 secondi. Il commissario di polizia si è dichiarato “soddisfatto”, precisando però che “La realtà è che quando si sorveglia qualcuno 24 ore su 24, 7 giorni su 7, non è possibile essere immediatamente accanto a lui in ogni momento. Gli agenti sono intervenuti il più rapidamente possibile e hanno impedito ulteriori feriti in quella che è stata una terribile situazione”.

Proprio apprendere che i tempi di reazione siano stati così rapidi, tuttavia, non può fare a meno di suscitare sgomento in relazione alla gravità, a questo punto assoluta, del bilancio in termini di vittime dell’aggressore: ben sei, a questo punto colpite in ragione di una ogni 10 secondi, utilizzando un semplice coltello, non un’arma da fuoco, che è stato prelevato direttamente dall’assortimento di vendita del supermercato. Ancora una volta il mass stabbing, ovvero l’accoltellamento di massa, giunge alla ribalta delle cronache come metodologia sempre più gradita ai cosiddetti “lupi solitari” del fondamentalismo islamico, ciò che desta maggior raccapriccio è che l’efficacia vulnerante di una semplice lama sembra avvicinarsi, nei tempi di esecuzione, ogni volta di più a quelli di un’arma da fuoco. La domanda da porsi, a questo punto, è quale sarebbe stato l’effettivo bilancio delle vittime se il soggetto non fosse stato un sorvegliato speciale, bensì un “normale” fondamentalista sconosciuto ai servizi di sicurezza e, di conseguenza, se si fossero dovuti attendere i normali tempi di intervento delle forze dell’ordine.

Ancora una volta si evidenza quindi come la discrasia tra i mezzi vulneranti utilizzati negli attentati terroristici faccia sempre meno la differenza, rispetto alla possibilità di preparare meticolosamente l’atto criminoso e, soprattutto, alla possibilità di perpetrarlo in ambienti a elevata densità di popolazione (nonostante le “distanze” della pandemia Covid) con altissima efficacia nell’unità di tempo, utilizzando strumenti di normale diffusione.