Legittima difesa: ricarica sì o ricarica no?

La ricarica domestica delle cartucce è una attività innanzi tutto divertente e consente a chi la pratica di entrare a conoscenza di moltissime dinamiche della balistica che il mero “utilizzatore” delle munizioni magari potrebbe non arrivare a comprendere. È una attività economicamente vantaggiosa, nel senso che consente un deciso risparmio rispetto all’acquisto delle cartucce finite, specialmente se i bossoli sono di recupero; consente, infine, di ottenere doti di costanza e precisione intrinseca superiori rispetto ai caricamenti commerciali, specialmente nei calibri per carabina.

Con queste premesse non sorprende che siano in molti a ritenere che quella della cartuccia ricaricata possa essere un’ottima scelta anche nell’impiego dell’arma per difesa personale. Il che in certi casi è vero, ma in altri può comportare alcuni rischi e criticità.

Intanto… essere capaci
Occorre innanzi tutto ricordare che la ricarica non è una attività che si possa improvvisare. Ovvio che qualsiasi ricaricatore sia partito dalla sua “prima” cartuccia, ma è altrettanto ovvio che il suddetto ricaricatore probabilmente avrà avuto necessità di un minimo di affinamento delle proprie capacità prima di ottenere i risultati desiderati, specialmente in termini di affidabilità di alimentazione. Rispetto alla cartuccia commerciale, la cartuccia ricaricata talvolta presenta anomalie, spanciature, disassamenti che possono determinare impuntamenti in fase di alimentazione o incomplete chiusure, specie in armi con camere di scoppio con tolleranze piuttosto ristrette. Ovvio che tutto questo si possa rimediare (magari con l’uso del Factory crimp), è solo un esempio per dire che prima di potersi permettere di affidare la propria vita a una cartuccia ricaricata, bisogna essere quantomeno abbastanza esperti di ricarica e dotarsi di tutti gli strumenti corretti, che oltre al Factory crimp possono prevedere anche un tampone falsa camera (ammunition gauge) per testare dimensionalmente ogni singola cartuccia assemblata. Tra i pregi della ricarica c’è indubbiamente la possibilità di verificare personalmente e individualmente l’idoneità all’uso di tutte le componenti, a partire dal bossolo che si può, per esempio, accertare presenti il foro di vampa (anomalia oggi rarissima, ma può capitare). Ovviamente vale anche il discorso contrario, nel senso che un assemblaggio disattento delle cartucce può dar luogo ad assemblaggi senza la polvere, il che ovviamente se è sempre un problema quando si procede con il tiro, in un frangente di difesa personale può avere esiti disastrosi.

La questione legale
Occorre premettere che, per quanto riguarda l’ordinamento giuridico italiano, non c’è alcun divieto esplicito di utilizzare munizioni ricaricate per la difesa personale (né tantomeno per la caccia, né per il Tiro a segno, ovviamente). Tuttavia, questo non significa che non vi siano alcune accortezze da considerare. Se, infatti, un legale detentore di armi è ben difficile che possa essere esposto a rilievi di qualsivoglia natura se decide di assemblarsi da sé una cartuccia non letale da utilizzare come primo colpo con una palla in gomma spinta da una carica ridotta di polvere (con tutti i limiti del caso, s’intende), è altrettanto evidente che se nel corso dell’inevitabile procedimento penale volto ad appurare le responsabilità in caso di ferimento o decesso di un aggressore, ci si trovasse di fronte il pubblico ministero “sbagliato”, l’uso di cartucce ricaricate che esprimano una energia cinetica, o una lesività, superiore rispetto ai caricamenti commerciali potrebbe anche portare a rilievi tra il fantasioso e il surreale, come l’ipotesi di “sproporzione” tra la difesa e l’offesa, fermo restando che per fortuna questa ipotesi risulta grandemente ridimensionata, quantomeno nella difesa domiciliare, dagli aggiornamenti legislativi che l’articolo 52 del codice penale ha subìto prima nel 2006 e poi nel 2019, nei quali è stata introdotta e ribadita la presunzione di proporzionalità (a prescindere dal mezzo impiegato) nel momento in cui l’aggredito si trovi nella propria abitazione costretto a difendere “la propria o l’altrui incolumità” o “i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione”, con l’aggiunta (2019) della fattispecie che “agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”.

 

L’articolo completo su Armi e Tiro di settembre 2020