La Serbia inizia il giro di vite sui legali detentori. Ma…

Paese che vai, usanza che trovi, dice il vecchio adagio. In realtà, quando si parla di possesso legale di armi, la risposta da parte della politica sembra più o meno la stessa a tutte le latitudini, cioè improntata a una evidente demagogia. È il caso della Serbia che, nel volgere di poche ore, ha dovuto purtroppo fronteggiare due gravissimi fatti di sangue: uno in una scuola di Belgrado, nella quale un ragazzino di soli 13 anni ha aperto il fuoco con un’arma legalmente detenuta, sottratta al padre, uccidendo otto alunni e un collaboratore scolastico, l’altro nei villaggi di Smederevo e Mladenovac, nella Serbia centrale, dove un ventenne ha aperto il fuoco con un’arma automatica illegale uccidendo otto persone (si è poi scoperto essere in possesso anche di alcune bombe a mano).

La risposta da parte del presidente serbo Aleksandar Vucic è stata di annunciare un vero e proprio “disarmo” della Serbia, da un lato inasprendo le normative sulla verifica dei requisiti psicofisici da parte dei legali detentori e sulle procedure di rilascio delle licenze, dall’altro inasprendo le pene previste per il possesso illegale di armi. Per favorire la consegna delle armi illegali, il presidente ha anche proposto un “periodo finestra” di un mese (la cui decorrenza è partita da ieri) nel quale sia possibile, per i proprietari, consegnare le armi alle autorità senza alcuna conseguenza penale e senza domande sulla provenienza. Per quanto riguarda, invece, il possesso legale di armi, secondo le intenzioni del presidente Vucic le nuove misure di controllo e verifica nei confronti dei legali detentori dovrebbero avere, per così dire, un effetto “dissuasivo” tale da portare il totale delle armi detenute, dalle attuali circa 760 mila, a un massimo di 30-40 mila. È stato anche annunciato il rafforzamento degli organici di polizia, al fine di riuscire ad avere almeno un agente per ogni istituto scolastico del Paese.

La Serbia risulta essere al terzo posto mondiale per numero di armi pro capite, dopo gli Stati Uniti e lo Yemen (Small arms survey 2018), con una incidenza di 39 persone armate ogni 100 abitanti. Confrontando, tuttavia, le stime sulle armi legalmente detenute (appunto, pari a circa 760 mila) con la popolazione complessiva del Paese (6,8 milioni) appare evidente che la stima relativa al numero di cittadini armati sia, in realtà, composta prevalentemente proprio da armi illegalmente detenute e non registrate, provenienti dai conflitti dell’area balcanica degli anni Novanta. In effetti, secondo gli analisti che si sono espressi proprio in queste ore, all’indomani delle stragi, la normativa relativa alla concessione di licenze per l’acquisto e il possesso legale di armi in Serbia non è particolarmente lassista. Ancora una volta, quindi, la decisione non è dettata da ragioni di pubblica sicurezza, bensì squisitamente politico-demagogiche, andando a colpire una categoria di cittadini (quelli legalmente armati) allo scopo di realizzare un risultato di tipo propagandistico, laddove invece il pericolo evidente è rappresentato dall’elevato numero di armi illegali circolanti nell’area.