Essere contrari alla caccia non è un crimine, né qualcosa per cui il mondo venatorio si possa indignare, è un'opinione personale che noi cacciatori dobbiamo rispettare, a patto che i nostri diritti non siano minacciati. Se a esprimere questa opinione, però, è un conduttore televisivo, in una trasmissione priva di contraddittorio e, per di più, a spese del servizio pubblico, c'è più di una nota stonata. È il caso, ormai ben noto, del conduttore di Rai 1 Flavio Insinna, che, commentando una domanda durante la puntata del 27 dicembre a L'Eredità, si è sentito in dovere di esprimere il suo parere, ovviamente negativo, sull'attività venatoria. Non si tratta di libertà di pensiero o di opinione, Insinna è libero di pensarla come meglio crede, ma non di esprimere le sue personali convinzioni su un canale del servizio pubblico, soprattutto se tali convinzioni ledono in qualche modo la dignità di una categoria, in questo caso il mondo venatorio. Su un solo punto dell'exploit di Insinna mi sento di concordare: la caccia non è uno sport. La caccia è molto di più, è un modo di interpretare il proprio rapporto con la natura, di sentirsi e di essere parte attiva nella gestione e nella conservazione dell'habitat e della fauna, concetti chiaramente estranei agli ecologisti da salotto, del tutto ignari della realtà delle zone rurali. Il Cacciatore è cacciatore tutto l'anno, non soltanto quando ha il fucile in mano, ma anche partecipando alle opere di conservazione e riqualificazione ambientale, ai ripopolamenti, ai censimenti, ai servizi anti incendio, all'allenamento dei cani e quando mette in pratica una serie pressoché infinita di piccoli e grandi interventi quotidiani, tutti volti a una gestione ambientale corretta e consapevole.