Imparare dal futuro

La carabina Chiappa firearms 1892 Wildlands take down calibro .44 magnum porta la tradizione del lever action nel XXI secolo. 

Con la gamma Wildlands, Chiappa porta la carabina lever action nella caccia del XXI secolo: canna lunga 16,5 pollici, superfici con trattamento Cerakote, nuovi organi di mira ad alta visibilità con l’opzione red dot

Chiappa firearms ha una consolidata esperienza nella produzione di repliche dei modelli storici delle carabine Lever action, è stato quindi possibile modernizzarle senza particolari problemi in quanto in azienda esisteva già un cospicuo know-how specifico. Va anche detto che non si tratta del primo esempio di attualizzazione della meccanica lever action da parte dell’azienda di Azzano Mella (Bs), viste le serie Alaskan e Ridge runner. La serie Wildlands si articola su due modelli principali: il 1886, replica dell’omonimo modello Winchester, con telaio di grandi dimensioni e in calibro .45-70, e il 1892, anch’esso derivato dall’omonimo Winchester, dimensionato però per il calibro .44 magnum, che è l’oggetto della nostra prova. È da notare (prima che i puristi si offendano) che la cameratura in .44 magnum non era prevista originariamente nel Winchester 1892 dell’epoca (mentre lo era il .45-70 nel modello 1886), in quanto il calibro ha debuttato diversi anni più tardi, ma è altrettanto evidente che con gli attuali acciai e gli attuali trattamenti termici è possibile gestire in tutta tranquillità anche questo calibro, che ha pressioni di esercizio superiori rispetto ai calibri del XIX secolo (in primis .44-40) ma anche una indubbia efficacia sui selvatici della taglia del cinghiale. La scelta del calibro è, quindi, da considerarsi del tutto azzeccata, anche se magari non rispettosa dell’aspetto storico. Le varianti della 1892 Wildlands sono tre: una è quella forse più tradizionale nel look, con calcio in noce massello, carcassa tartarugata e canna brunita; la seconda ha invece canna e carcassa con trattamento Cerakote dark gray e calciatura in legno laminato; la terza, oggetto della nostra prova, è la sottovariante Take down della precedente, cioè sempre con trattamento Cerakote e calcio laminato ma, in più, rapidamente smontabile in due sottoinsiemi (calcio-carcassa e canna-serbatoio) molto pratici da trasportare. Comune denominatore della serie è la canna relativamente corta, cioè 16,5 pollici (419 mm), con volata filettata per l’installazione di eventuali moderatori di suono (dove consentiti) o rompifiamma, serbatoio tubolare lungo fino a due terzi della canna, calcio a mezza pistola e, soprattutto, organi di mira modernizzati. La canna della versione in prova è a due ordini, cioè parte in culatta con profilo ottagonale e diventa tonda a circa metà lunghezza.

La meccanica è quella tipica delle armi Winchester dal modello 1886 in avanti, scaturita dall’incontro tra l’azienda e quel genio assoluto di John Moses Browning. L’otturatore scorre orizzontalmente nella carcassa, ed è bloccato stabilmente in chiusura da un chiavistello a scorrimento verticale che impegna, mediante due rebbi, la parte posteriore dell’otturatore medesimo. Manovrando la leva di sottoguardia si determina innanzi tutto l’abbassamento di questo chiavistello e, quindi, il trascinamento all’indietro dell’otturatore, ormai libero, che estrae ed espelle il bossolo e arma il cane esterno. Riaccompagnando la leva in posizione di riposo, si camera la cartuccia che nel frattempo è stata estratta dal serbatoio tubolare e sollevata dalla cucchiaia di alimentazione e, nel tratto finale del movimento, si ripristina il blocco da parte del chiavistello. Tutto ciò in modo perfettamente fluido e tanto velocemente quanto lo consentano i riflessi del tiratore. Perpetuando lo spirito dell’arma originale, non sono previste sicure manuali, a parte la monta di sicurezza sul cane.

Il serbatoio tubolare si rifornisce tramite un portello a scatto sul lato destro della carcassa e ha una capacità di 5 cartucce. Nella versione take down, sull’estremità anteriore del serbatoio c’è una levetta articolata: dopo aver aperto l’otturatore, ruotando questa leva si provoca la rotazione di tutto il tubo serbatoio che si svita dal proprio alloggiamento nella carcassa, finché non sia possibile sfilarlo in avanti. A quel punto si afferra l’astina in legno e si imprime una rotazione alla canna, che si disgiunge anch’essa dalla carcassa alla quale era vincolata per mezzo di un innesto a vite interrotta. L’operazione richiede veramente pochi secondi ma consente di “spezzare” letteralmente in due la carabina, riducendola a due insiemi poco più lunghi di 40 centimetri, che possono quindi essere comodamente collocati, per esempio, all’interno di uno zaino ma anche, al limite, in un tascone di una giacca.

La calciatura è a mezza pistola, le carabine Winchester a leva in realtà si immaginano sempre con una calciatura dritta all’inglese ma, in realtà, la calciatura a mezza pistola era un allestimento previsto già nel XIX secolo, consente una presa più salda da parte della mano forte ma, soprattutto, consente una sagomatura curvilinea del maniglione della leva (che invece con la calciatura all’inglese è dritta) che risulta ancor più pronta nella gestione in velocità. L’astina, vista di profilo, può sembrare identica a quelle d’epoca, in realtà è molto più corposa in larghezza (specialmente alla base, avendo un profilo rastremato), consentendo una presa veramente eccellente alla mano debole, nonostante non presenti zigrinature (come peraltro neanche l’impugnatura del calcio). Il materiale è un legno laminato che stratifica diverse sfumature di grigio, che si abbinano in modo decisamente convincente e accattivante con la finitura Cerakote della carcassa e della canna. Quest’ultima a sua volta realizza un ottimo contrasto con la brunitura nera lucida di otturatore, cane, sportello di caricamento, grilletto e altre minuterie.

Gli organi di mira sono uno degli aspetti che risultano maggiormente modernizzati rispetto all’impianto originario dell’epoca. E meno male, perché anche se la tipica tacca Buckhorn delle

lever action Winchester è un caposaldo ancora oggi, non si può negare che esista anche “altro” per agevolare il puntamento istintivo e il tiro di stoccata, che sono la ragion d’essere di un’arma per la caccia al cinghiale in battuta. Il mirino, così, è a lama con inserto ad alta visibilità di colore rosso, la tacca di mira originale è stata sostituita con una diottra regolabile in elevazione e anche in derivazione, facendo scorrere lateralmente la piastrina a coda di rondine sulla quale è innestata (per quantificare lo spostamento sono presenti alcune linee stadia sul supporto). Tutta la diottra risulta fissata su una slitta Picatinny ancorata alla canna, che consente sia il montaggio di un eventuale Red dot, capace di rendere ancora più spedita la collimazione istintiva, sia al limite anche di un cannocchiale di puntamento a ingrandimenti, magari del tipo a lunga focale (cioè per intendersi dello stesso tipo che si utilizza con i revolver). Certo, si potrebbe anche usare un’ottica convenzionale per carabina magari con un attacco aggettante all’indietro (cantilever), ma bisogna ricordare che quest’arma espelle i bossoli in verticale, quindi non è possibile collocare “tubi” o altri impacci sopra l’otturatore.

Abbiamo sempre subìto il fascino delle carabine a leva, senza peraltro scandalizzarci per le sempre più diffuse reinterpretazioni venatorie in chiave moderna che, anzi, dimostrano l’adattabilità e la versatilità di un progetto capace di attraversare tre secoli senza apparire ridicolo (anzi, tutt’altro). La prima cosa che abbiamo voluto fare è stato trastullarci con la “funzione” take down, per verificare che fosse sufficientemente fluida ed elementare da consentire lo smontaggio e il rimontaggio direttamente sul terreno di caccia. Possiamo confermare che non vi sono resistenze strane da parte delle componenti e che far combaciare gli elementi è veramente… elementare, perdonate il gioco di parole! Le uniche due accortezze, peraltro abbastanza ovvie, sono che quando si comincia lo smontaggio l’otturatore deve essere almeno parzialmente aperto (altrimenti l’estrattore impegna la coda della culatta della canna e si possono verificare danni) e il serbatoio deve essere completamente privo di cartucce, consentendo così la piena distensione della molla.

Per quanto riguarda le prime manipolazioni in bianco, l’arma è molto maneggevole grazie alla lunghezza contenuta (meno di 90 centrimetri), nello stesso tempo però la canna a due ordini, che nella parte ottagonale vanta un deciso spessore, garantisce un assetto piuttosto appruato, che aiuta a contrastare il rilevamento. La diottra è sufficientemente “aperta” da consentire un tiro istintivo in velocità, “trovando” subito il puntino luminoso del mirino, per contro è anche sufficientemente stretta da garantire, comunque, un tiro mirato efficace fino al limite dei 50 metri. E proprio sulla distanza dei 50 metri abbiamo voluto metterla alla prova, utilizzando una cartuccia assolutamente classica, cioè la Sjsp di Fiocchi del peso di 240 grani. Le rilevazioni cronografiche hanno evidenziato una velocità alla bocca coerente con il dato dichiarato di fabbrica (quest’ultimo è pari a 445 metri al secondo a 2,5 metri dalla volata, ma presumibilmente in canna manometrica di 250 mm, quindi è logico che in canna più lunga la velocità possa essere più elevata), la vampa di bocca è presente ma non in misura così eclatante, né tantomeno abbaglia nella penombra del nostro tunnel. L’aspetto che ci ha lasciati più positivamente impressionati è stato l’assoluta linearità del rinculo, senza il benché minimo accenno di rilevamento o torsione in senso verticale. L’arma arretra, ma senza sbacchettare ed è quindi pronta in una frazione di secondo con il colpo successivo. Con un minimo, ma veramente un minimo di allenamento è possibile sparare i cinque colpi l’uno dopo l’altro mantenendo la collimazione verso un ipotetico cinghiale, in special modo se si ha l’accortezza di utilizzare un red dot. Il contraccolpo sulla spalla è inferiore rispetto alle aspettative, e questo nonostante il calciolo in gomma non abbia uno spessore così rilevante. Malgrado ciò, ci siamo divertiti a bruciare via un paio di scatole da 50 colpi in pochi minuti, senza avvertire particolare disagio né sul momento, né a sera. L’inserimento delle cartucce nel serbatoio è agevole, specialmente se si adotta la malizia di inserire il colpo lasciando che il fondello tenga aperto lo sportello, così da agevolare l’inserimento del colpo successivo. Solo con la quinta cartuccia si darà, a quel punto, il colpo di dito che fa scattare in chiusura il portello. La fluidità della manovra di riarmo è assoluta, in effetti probabilmente il trattamento Cerakote agevola lo scorrimento, minimizzando l’attrito. È un’arma veramente “svelta”, un vero peperino, facile però da dominare nel tiro. In appoggio anteriore, tre colpi tirati in rapida successione sono finiti in un triangolo di 35 millimetri a 50 metri con la diottra in dotazione, obiettivamente un risultato di tutto rispetto.

La prova completa su Armi e Tiro di maggio 2020

Produttore: Chiappa firearms srl, via Milano 2, 25020 Azzano Mella (Bs), tel. 030.97.49.065, fax 030.97.49.232, chiappafirearms.com

Modello: 1892 Wildlands Take down

Calibro: .44 magnum

Funzionamento: ripetizione manuale a leva

Alimentazione: serbatoio tubolare

Numero colpi: 5+1

Canna: a due ordini, lunga 419 mm, filettatura di volata per il montaggio di accessori

Lunghezza totale: 879 mm

Scatto: diretto, monostadio, peso di sgancio 1.500 grammi circa

Percussione: cane esterno

Sicura: mezza monta del cane

Mire: mirino a lama con inserto in fibra ottica, diottra regolabile in altezza e derivazione, slitta Picatinny per l’installazione di red dot o cannocchiali a lunga focale

Materiali: acciaio al carbonio, calciatura in legno laminato

Finiture: Cerakote dark gray, otturatore e minuterie brunite

Peso: 3.100 grammi

Qualifica: arma da caccia

Prezzo: 1.369 euro, Iva inclusa