Tre aquile a confronto

Abbiamo messo alla prova le tre anime della Imi Desert Eagle, la più celebre e poderosa semiauto di grosso calibro: dal .357 magnum delle origini al potente .50 action express… con una chicca

Di Stefano Gavioli, foto di Ruggero Pettinelli

La nascita della Desert Eagle risale al 1979, quando i tre soci della Magnum research di Minneapolis (J. Lindig, J. Skildam e H. Z. Skildam, coadiuvati da B. White), iniziarono a lavorare su una pistola per tiro alla sagoma metallica (silhouette) e per la caccia.
Volevano qualcosa di nuovo e inusuale, una pistola semiautomatica basata su una cartuccia da revolver, la .357 magnum, e con dispositivo di funzionamento a sottrazione di gas.
Nel 1981 i primi prototipi erano pronti, ma alcuni problemi di affidabilità e funzionamento spinsero la società di Minneapolis a chiedere l’aiuto dell’israeliana Imi (Israel military industries), specializzata nella produzione di armi leggere e relativo munizionamento.
Grazie a questa collaborazione, nel 1983 approdò sul mercato la prima Desert eagle (denominata Mark I negli Usa), camerata solo in .357 magnum. Il successo fu immediato, gli appassionati furono conquistati da questa strana pistola, di generose dimensioni, capace di sparare senza problemi una munizione magnum. Al notevole successo contribuì molto la forte caratterizzazione scenografica dell’arma, subito prediletta da registi e produttori di Hollywood.
La voglia di stupire con “effetti speciali” sempre maggiori spinse la Magnum research a mettere in cantiere versioni più spinte.
Nel 1985 era già pronta la versione in .44 magnum, seguita a breve dal .41 magnum, calibro abbandonato dopo pochi anni e mai importato in Italia. Il lancio di queste due versioni coincise con una piccola evoluzione dell’arma (identificabile con la sigla Mark VII negli Usa), modificata soprattutto nel pistone presa gas: quest’ultimo fu reso amovibile, al fine di agevolare le operazioni di pulizia e ridurre i bloccaggi dello stesso dovuti all’uso di palle in piombo.
Anche la leva della sicura fu realizzata con un nuovo disegno, per renderla più facilmente azionabile.
Bisogna attendere il 1991, comunque, per arrivare al top della potenza: la Desert Eagle camerata per il granitico calibro .50 action express (la pistola fu anche chiamata Desert storm, richiamando la prima guerra contro l’Iraq). Nel 1998 fu derivata dalla Desert Storm la versione camerata per .440 Cor Bon (basato sul bossolo del .50 action express con il colletto ristretto a .44), non disponibile in Italia.

Con il lancio della versione in .50 furono apportate altre modiche, sia specifiche per il calibro (dimensioni canna superiori, accresciuto peso dell’arma) sia generalizzate per tutti i modelli (bindella nella parte superiore della canna con nuovo profilo e svasi atti a fissare saldamente una coppia di attacchi tipo Weaver). I modelli modificati sono classificati negli Usa con la sigla Mark XIX.
Il primo impatto con una Desert eagle non lascia indifferenti: si tratta, infatti, di un'arma imponente, particolare, non propriamente bella, ma accattivante grazie alla linea inconfondibile e alle dimensioni importanti.
La Desert eagle è una pistola che denota immediatamente lo sviluppo “marziale” ricevuto dalla Imi, riscontrabile soprattutto nella finitura esterna, basata sulla funzionalità più che sull’estetica. Nello stesso tempo, la cura per la meccanica interna è di altissimo livello e assicura il funzionamento corretto anche a fronte di un uso gravoso.
Proprio la cura delle parti fondamentali dell’arma, come la canna con la sua ottima rigatura poligonale, la camera di cartuccia o l’otturatore rotante, permette prestazioni di assoluto rilievo, sempre in condizioni di massima sicurezza, pur utilizzando munizionamento magnum di elevatissime prestazioni.
Giova ricordare che, nonostante parte dello sviluppo sia stato gestito da un’azienda “militare”, la Desert eagle non è mai stata adottata da alcun esercito.
​La maggior parte delle Desert eagle vendute in Italia ha una brunitura satinata, qualcuna è bicolore con il fusto cromato satinato. Sono anche disponibili armi nichelate lucide o con finiture ancor più squillanti (dorate o color blu), che vanno per la maggiore negli Usa.
Oltre all’ originale allestimento con canna di sei pollici, l’arma è stata approntata anche con canne lunghe 8, 10 o 14 pollici ed è stata offerta anche con il fusto in lega, che consentiva un risparmio in termini di peso di circa 280 grammi.

Molti dei tiratori che iniziano a brandeggiare una Desert eagle sono prevenuti, oltre che per i calibri magnum utilizzati, per le sue dimensioni generose e il peso (in media siamo sui 2.000 grammi). Invece, non bisogna avere un fisico da energumeno per poterla impugnare correttamente, anche se una presa salda e sicura è indispensabile per il corretto funzionamento dell’arma e per la sicurezza del tiratore.
L’impugnatura riempie bene le mani e il grilletto si trova alla giusta distanza, permettendo così di esercitare una trazione lineare e corretta, riducendo il rischio di strappi indesiderati.
I comandi fondamentali, sicura (ambidestra), pulsante di sgancio del caricatore e leva dell’hold open, sono facilmente raggiungibili e azionabili, anche se lo sgancio del carrello è spesso duro a pistola nuova. Risulta facile e immediata l’acquisizione del bersaglio attraverso le mire di serie anche se, purtroppo, sono del tipo combat e risultano tarate in fabbrica a 50 metri.
Proprio per questo motivo, spesso, la tacca di mira viene sostituita con una regolabile e il mirino cambiato con uno di altezza superiore.
L’arma ha una meccanica inusuale per una pistola e più facilmente riscontrata sulle carabine. Troviamo quindi un otturatore cilindrico, rotante, posizionato nella parte posteriore del carrello che permette la chiusura tramite tre alette frontali che vanno a bloccarsi entro apposite sedi nella culatta.
La canna è fissa, bloccata al fusto con un sistema a incastro anteriore e tramite un perno, girevole per lo smontaggio, nella parte posteriore. Sotto la canna si trova un canale che consente il passaggio di una parte dei gas di sparo, prelevati da un foro situato davanti alla camera di cartuccia e da lì convogliati verso la parte anteriore della canna, dove è ricavato un cilindro. In questo cilindro viene a posizionarsi un pistone, vincolato all’estremità anteriore del carrello.
Le molle di recupero, poste su due guidamolla gemelli, sono fissate nella parte anteriore, tra carrello e fusto, tramite un fermo ricavato nel pistone che le blocca in posizione in un apposito recesso scavato nel carrello. Quando si spara una cartuccia, quindi, i gas che si espandono nel cilindro spingono all’indietro il pistone e, quindi, il carrello, che arretra comprimendo le molle.
Dopo una breve corsa a vuoto, necessaria a far sì che le pressioni in canna scendano a livello di sicurezza, il carrello causa la rotazione della testa dell’otturatore, per mezzo di un profilo a camme, liberando le alette di chiusura dalle sedi nella culatta e trascinando il tutto all’indietro. Questo consente di estrarre e di espellere, grazie a un espulsore a puntone, il bossolo spento.
A fine corsa, il carrello è riportato in chiusura dalla distensione delle molle di recupero (due per il .357 magnum, quattro per gli altri calibri), preleva una nuova cartuccia nel caricatore e la inserisce in canna. L’arretramento manuale del carrello necessita di un notevole sforzo, specialmente per le versioni in .44 e .50. Spesso conviene inserire un caricatore vuoto per avere la certezza di agganciare l’hold open evitando, così, pessime figure.

​Come si può facilmente capire, la pistola per funzionare necessita di un’adeguata pulizia del sistema di presa di gas. Per questo motivo, le palle in piombo sono altamente sconsigliate, a meno di non usare gas check e palle provenienti da fusioni di qualità. In caso contrario, oltre a correre il rischio di occludere il foro di presa gas (pericolo, in verità, piuttosto remoto), i residui di piombo possono infiltrarsi tra la parete del cilindro e il pistone, bloccando quest’ultimo in chiusura e impedendo l’apertura manuale dell’otturatore.
Anche il caricatore svolge un ruolo fondamentale e delicato per il corretto funzionamento dell’arma, visto che le cartucce calibro .357 e .44 magnum sono dotate di collarino sporgente (rimmed). Per questo motivo è molto sviluppato in larghezza, per consentire un pozionamento sfalsato, senza interferenze, dei bossoli dotati di rim. Nell’insieme, il particolare mostra una grande cura costruttiva che, unita all’ottima realizzazione della rampa di alimentazione, riduce al minimo i rischi d’inceppamento.
Lo sgancio del caricatore è a pulsante, posto alla base del ponticello, e non è reversibile sul lato destro per l’utilizzo da parte dei mancini. Il caricatore della .357 magnum ha la capacità di 9 colpi, che passano a 8 per il .44 e a 7 per il .50. I caricatori sono intercambiabili nelle serie Mark VII e XIX, mentre la Mark I, nata per il .357 magnum, ha le guancette dotate di un dente interno che scorre lungo una nervatura del caricatore, non praticata nei serbatoi dei calibri superiori. Risulta impossibile, pertanto, inserire nella .357 Mark I i caricatori della .44 o della .50.

​Grazie alla collaborazione di alcuni appassionati, siamo riusciti a provare a 25 metri la Desert eagle in tutti e tre i calibri disponibili in Italia, oltre alla versione con canna di 14 pollici per il .44 magnum.
La prima a essere testata è stata la “piccolina” di famiglia che, a dispetto di una discreta anzianità di servizio, si è comportata bene, offrendo buone prestazioni sia come precisione sia come valori di potenza espressi e ha la piacevole caratteristica di affaticare poco il tiratore. Abbiamo utilizzato ricariche allestite con palle cast Swc di 158 e 180 grs, con gas check. Il miglior raggruppamento è stato di tre colpi in 25 mm con 16,8 grs di Hodgdon 110 dietro alla palla di 158 grs. Lo scatto, ricordiamo solo in Singola azione, come su tutte le Desert Eagle è facilmente gestibile, e a fronte di un peso di trazione non propriamente leggero (di poco inferiore ai 3.000 grammi, ma sempre netto e senza spiacevoli ruvidità), permette un rapido affiatamento grazie anche a una giusta precorsa e all’assenza del fastidioso collasso di retroscatto. Su questa versione non era presente, a differenza della .44 e della .50, il comodo dispositivo di regolazione della corsa del grilletto, che agisce sul secondo tempo permettendo di trovare così la modalità di scatto preferita.
Il passaggio di categoria, alla .44 magnum con canna di sei pollici, avviene in maniera spontanea e le differenze di energia sviluppata (circa 20 kgm in più con le ricariche provate, tutte con palla Sjsp di 240 grs) non sono mai punitive, anzi l’arma è più divertente e spettacolare specialmente con ricariche adeguate. Sicuramente con questo calibro è più difficile doppiare i colpi, rispetto al .357, ma non è impossibile sparare in tiro celere ottenendo buoni risultati.
In questa prova della .44 abbiamo utilizzato munizioni commerciali Remington 240 grs Ltc con gas check e ricaricate con polveri Winchester 296 (24 grs) e Tecna (13 grs). Abbiamo utilizzato le palle di 240 grs in quanto tradizionalmente le più usate.
I valori di potenza espressa sono di tutto rispetto, con un ottimo 124,9 kgm registrato con le munizioni Remington commerciali.

​Finita la prova della .44 tradizionale, con canna di 6 pollici, siamo passati alla rara versione lunga, ossia la conversione in .44 con canna di 14 pollici montata, però, sul fusto di una .50. La pistola si presenta così con una nuova fisionomia: sembra un piccolo fucile d’assalto, e la canna lunga cambia completamente, in aggiunta all’ottica, il baricentro dell’arma che grava maggiormente sui polsi del tiratore. Una volta trovata la giusta distanza focale dell’ottica, si possono sparare i primi colpi. Le sensazioni cambiano completamente rispetto alla versione standard, la maggior lunghezza di canna permette alla polvere di bruciare completamente fornendo ottime prestazioni: 185,5 kgm con le Remington commerciali, siamo oltre il livello di una .50 sparata in canna di sei pollici, ma i polsi sono sottoposti a un notevole sforzo per limitare la torsione e lo sbandieramento della pistola. L’uso pratico della versione allungata dovrebbe essere quello del tiro alla silhouette o della caccia (visti i valori espressi, l’arma sarebbe più che adeguata, ma la normativa italiana non lo consente), ma anche in un classico poligono, magari con linea di tiro ai 100 metri, ci si può ampiamente divertire.
Conclude la serie la .50 action express. Circa la difficoltà nell’utilizzo di questa pistola girano molte voci, in buona parte esagerate. La reazione allo sparo, infatti, è sì decisamente forte, il rinculo è elevato, l’arma spinge con un deciso movimento rotatorio sulle mani e sui polsi, ma la pistola resta domabile ed è meno punitiva di molti revolver in .44 magnum con canna corta. Bisogna però sicuramente portare rispetto verso le grandi potenze espresse, basti pensare ai 188,8 kgm ottenuti con le Speer commerciali di 325 grs. Anche usando ricariche spinte, comunque, si possono ottenere rosate di altissimo livello e, quello che più conta, ancora gestibili.
Per la nostra prova abbiamo utilizzato una bella palla Haendler & Natermann Ltc teflonata di 300 grs e una poderosa cast Swc del peso di ben 350 grs. Con un poco d’allenamento non è difficile ottenere rosate di 20-30 mm a 25 metri con la possibilità di formare, dopo pochi colpi, un bel buco unico nel bersaglio di carta, che solitamente lascia senza parole i vicini di linea, spesso impegnati allo spasimo per tenere il nero del bersaglio di Pistola standard con una tranquilla 9×21. Bisogna, però, ammettere che i bossoli espulsi hanno spesso il vizio di centrare con millimetrica precisione la fronte del tiratore, problema in ogni caso riscontrabile anche con la .44 quando si usano munizioni a carica piena. Il boato è fragoroso e qualche volta anche fastidioso per i vicini di linea, la vampa di bocca è simile a quella di un piccolo lanciafiamme… ma sono piccoli “problemi” ampiamente ricompensati da una forte dose di adrenalina e divertimento allo stato puro.

L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – ottobre 2003

Produttore: Israel military industries, Po box 1044, Ramat Hasharon, 47100 Israel, tel. 00.97.23.54.85.617, fax 00.97.23.54.06.908
Importatore: Tfc, via Marconi 118/B, 25069 Villa Carcina (Bs), tel. 03.08.98.38.72, fax 03.08.98.03.57
Modello: Desert eagle
Tipo: pistola semiautomatica
Calibro: .357 magnum (.44 magnum, .50 action express)
Funzionamento: a recupero di gas con otturatore a testina rotante
Alimentazione: serbatoio amovibile monofilare
Numero colpi: 9 (8 per il .44, 7 per il .50)
Canna: lunga 152 mm, poligonale destrorsa con passo di un giro in 355 mm (un giro in 457 mm per il .44, un giro in 483 mm per il .50)
Scatto: Singola azione
Percussione: cane esterno
Mire: mirino a lama, tacca di mira innestata a coda di rondine
Sicura: manuale a leva sul carrello
Materiali: acciaio al carbonio; alcuni esemplari sono stati costruiti con fusto in lega leggera
Finiture: brunita opaca; su richiesta cromata satinata, nichelata lucida o con finiture particolari (dorata, blu, eccetera)
Peso: 1.766 grammi (1.897 grammi per il .44, 2.050 grammi per il .50)