Follia a Roma: riflessioni a caldo

Il bilancio della sparatoria scatenata in una assemblea di condominio da Claudio Campiti, 57enne che covava a quanto pare da tempo rancori nei confronti del consiglio direttivo e degli altri appartenenti al consorzio, presenta un riscontro drammatico di 3 morti e 4 feriti e sarebbe potuto essere ancor più pesante se non fosse stato per la prontezza di intervento di alcuni presenti, che sono riusciti a bloccare l’aggressore e a disarmarlo.

Arma che l’autore del disgraziato gesto non avrebbe potuto acquistare legalmente, in quanto gli era stato negato il rilascio del porto d’armi (a causa di alcune denunce per minacce), ma che è riuscito a procurarsi sottraendola al Tiro a segno nazionale di Tor di Quinto, sezione della quale era socio.

Cosa sia accaduto nello specifico è al momento al vaglio della magistratura, che ha disposto il sequestro del Tiro a segno nazionale: è tuttavia possibile svolgere alcune riflessioni e considerazioni di tipo pratico e pragmatico, evitando i consueti e demagogici isterismi nei confronti delle armi da fuoco che si stanno già scatenando sull’informazione mainstream televisiva e web.

Partiamo dal principio: quanto è accaduto è semplicemente gravissimo, non c’è un altro modo per dirlo. Per fortuna è, tuttavia, anche un evento estremamente raro a verificarsi, tenendo anche conto che in Italia le sezioni del Tiro a segno nazionale sono oltre 250.
È quindi giusto concentrarsi sull’analisi di cosa non abbia funzionato e di cosa si possa fare per impedire che si verifichi nuovamente, non è corretto cominciare a parlare a vanvera di “armi facili” e di situazioni emergenziali.
Si evidenziano, a tal proposito, due distinte direttrici di riflessione: una relativa al motivo per il quale un soggetto con denunce plurime per minacce potesse ancora avere accesso a un poligono, l’altra per come sia stato possibile sottrarre l’arma senza che il personale in servizio nel Tsn si avvedesse di quanto stava accadendo e intervenisse tempestivamente per fermare il soggetto.

Partiamo dal principio: tutte le sezioni del Tiro a segno nazionale noleggiano le armi da fuoco ai soci, che siano in possesso di porto d’armi o non lo siano. Per iscriversi al Tiro a segno, però, oltre a dover superare un corso sul maneggio in sicurezza delle armi, è necessario presentare un certificato medico annuale relativo all’assenza di vizi mentali. Inoltre è necessario presentare il certificato del casellario giudiziario e quello relativo ai carichi pendenti. Questi certificati possono, normalmente, essere sostituiti da auto-dichiarazioni, ma anche nel caso in cui all’utente fosse richiesto di presentare il certificato vero e proprio o nel caso in cui fosse svolto un controllo successivo a campione, il problema è che né il casellario giudiziario, né il certificato relativo ai carichi pendenti evidenziano le eventuali denunce a carico di un soggetto, che non siano ancora sfociate in un vero procedimento penale (carichi pendenti) o in una condanna (casellario giudiziario).

Come in altri casi, anche in questo si evidenzia quindi un problema di condivisione delle informazioni disponibili all’autorità di pubblica sicurezza. In altre parole: la questura è in grado di sapere se un soggetto che chiede il porto d’armi è stato denunciato (non ancora processato) per ipotesi di reato che sarebbero ostative nei confronti del possesso di armi, il Tiro a segno no. Anche in questo caso, come in altri casi, si evidenzia come nell’era della condivisione delle informazioni, non esista alcuna condivisione né un incrocio dei dati sensibili sulle eventuali condizioni ostative in capo a soggetti specifici (quelle che negli Stati Uniti vengono definite “red flag”). Per molti anni il ministero dell’Interno si è baloccato e ha perso tempo a fare la guerra sul numero dei colpi nei caricatori delle armi (senza alcuna contropartita in termini di sicurezza pubblica), la messa in circolarità delle informazioni sensibili tra autorità di pubblica sicurezza, autorità sanitaria e altri soggetti istituzionali (tra i quali senz’altro figurano i Tsn) non è mai stata presa in considerazione.

La custodia delle armi nel Tsn
Il secondo punto è relativo a come sia stato possibile che un socio sottraesse una pistola a noleggio, di proprietà del Tiro a segno. Partiamo da quello che dice la norma: l’articolo 31 della legge 110/75 affida in capo al presidente della sezione del Tiro a segno nazionale la responsabilità circa l’obbligo di custodire “con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica”, come previsto dall’articolo 20 della stessa legge, le armi di proprietà della sezione. Questa diligenza è stata osservata o ci sono state mancanze? Non siamo in grado di dirlo, sarà l’inchiesta a stabilirlo e ad attribuire le eventuali responsabilità.

Ci permettiamo, tuttavia, di osservare che, se da un lato ogni sezione del Tiro a segno nazionale fa storia a sé per quanto riguarda la disposizione dell’armeria, della segreteria, delle linee di tiro, e che quindi gli accorgimenti per garantire la sicurezza nell’affidamento delle armi ai soci per le esercitazioni di tiro devono essere “tarati” ad hoc su ogni singola situazione, è altrettanto vero che ciascuna sezione del Tiro a segno nazionale vanta ben tre differenti organismi preposti alla vigilanza sui differenti aspetti che afferiscono l’attività istituzionale e sportiva, che sono il Genio militare, l’Unione italiana Tiro a segno e l’autorità locale di pubblica sicurezza. Per quanto riguarda le procedure specifiche per l’affidamento delle armi di proprietà della sezione ai soci, non possiamo fare a meno di osservare come, evidentemente, sia giunto il momento di pensare a specifiche direttive (che siano di competenza dell’Uits, del ministero dell’Interno o di altri) che definiscano procedure minime di carattere generale, al fine di garantire che in ogni momento nel quale le armi del Tsn non sono nell’armeria, siano sorvegliate debitamente per garantire che l’unico utilizzo possibile sia quello specificamente previsto, cioè sulla linea di tiro.

I tempi, tecnologicamente, possono forse anche dirsi maturi per pensare alla predisposizione di accorgimenti antifurto da integrare nelle armi stesse, che possano far suonare opportuni allarmi nel momento in cui ci si approssimi ai confini del poligono stesso o, comunque, si esca dai locali adibiti al tiro con l’arma.