Il Tar di Brescia azzera il regolamento sul cinghiale del Cac Prealpi bergamasche

Farà giurisprudenza in tutta la Lombardia la sentenza, di ben 32 pagine, del Tar di Brescia, su istanza di 73 cacciatori, assistiti dagli avvocati Antonio Bana, Antonio Papi Rossi e Nicola Ferrante, che ha annullato gran parte del regolamento della caccia di selezione al cinghiale emesso dal Cac Prealpi bergamasche, condannandolo a una inedita ed esemplare rifusione delle spese di almeno 12 – 14.000 euro.

I giudici hanno chiarito che è nullo ogni regolamento che limiti l’esercizio venatorio per quanto riguarda i periodi, gli orari, i modi, i luoghi, l’elenco delle specie cacciabili, il carniere giornaliero o stagionale definito dalla legge regionale e dal calendario venatorio, così come è illegittimo l’intero impianto sanzionatorio. In pratica tutti i pilastri fondanti su cui appoggia il regolamento. Il Tar è andato ben oltre, occupandosi anche dell’interpretazione della recente Ordinanza regionale 105/23, che ha fatto aprire nei giorni scorsi un tavolo regionale interpretativo tra Cac e i cacciatori di selezione al cinghiale, rappresentati da alcune associazioni venatorie. I giudici, pur preso atto della tardiva presentazione dell’Ordinanza 105/23 da parte del legale del Cac, hanno stabilito che essa “non fa venir meno l’interesse dei ricorrenti all’accoglimento delle loro censure, ma semmai determina ulteriori sopravvenute ragioni di illegittimità”. Insomma un autogol, che è anche un assist ai dirigenti regionali che finalmente potranno, con certezza, chiarire che l’ordinanza non può tradursi nella proposta di esproprio dei punti sparo con gestione a turnazione, così come richiesto dal Cac.

“Appare evidente”, è stato il commento dell’avvocato Bana, “in ogni caso l’inadeguatezza creatasi nel contesto del comitato sia sul piano giuridico sia faunistico. Il Cac si pone come unica nota stonata, in antitesi al coro globale del resto dei cittadini, che chiedono il depopolamento del cinghiale. I cacciatori di selezione, con i circa 1.500 capi abbattuti nel 2023, si sono dimostrati il più valido strumento per il contenimento di questa specie nociva e invasiva. È logico immaginare che Regione Lombardia, alla quale peraltro i giudici ordinano di eseguire la sentenza in esame, non potrà che prendere atto dell’illegalità formale degli atti del Cac di allora e di oggi, e dell’inadempimento del Comitato all’intimazione del 29 giugno scorso, procedendo senza indugio al commissariamento. Oltre a proseguire l’azione a tutela dei loro diritti in ogni sede di qualsivoglia tribunale fosse competente, i ricorrenti valuteranno l’azione legale personale ai sensi del libro 1, t.2, c.3 del Codice Civile, nei confronti dei membri del comitato deliberanti, per lo spreco delle risorse appartenenti ai cacciatori soci del Cac, destinate a ben altre finalità. La stima dell’importo è intorno ai 40.000 euro tra onorari e rifusione spese”.