Il pianeta resiste… nonostante gli ambientalisti

In questi ultimi giorni del 2022 tutto l’universo ambientalista, meglio definirlo catastrofista, sta martellando on-line con la solita storia trita e ritrita sul salvataggio del pianeta. Si distingue tra tutti Greenpeace che, nella sua campagna, propone un catalogo molto ricco di catastrofi e affini. Calotte polari che si scioglieranno per i cambiamenti climatici, oceani da mettere al sicuro, altri parchi, foreste che debbono essere salvate da tutti quelli che le vogliono sfruttare, api che non sopravvivranno per i troppi pesticidi e tanto altro, che rischieremmo di annoiarvi. Naturalmente tutto questo guarità se si fanno donazioni a oltranza. E questo è l’ultimo appello, dopodiché saremo persi. Ovvero il pianeta non si salverà.

Vorremmo obiettare che il nostro pianeta, in circa 4 miliardi e mezzo di anni di esistenza, si è sempre salvato da solo. Sempre pianeta è rimasto. Ed è ancora qui, con noi sopra. Forse scompariremmo noi. Ma siamo così necessari noi al pianeta? E sarebbe più brutto o meno “pianeta” se altre forme di vita, prima o poi e magari tra qualche altro migliaio di anni, sostituissero quelle attuali? Se ricomparissero animali diversi, magari tipo dinosauri e affini, nell’universo cambierebbe qualcosa? Abbiamo una strana idea della nostra terra. È fatta così, e così deve essere. Fai la donazione e io te la salvo. La vita è quella che intendiamo noi e basta. Quella con gli orsi bianchi, le tigri, i leoni, gli elefanti, per carità mettiamoci anche il panda, e tanti altri. Tutti belli, simpatici, grossi e, soprattutto, dall’aspetto che “buca” l’obiettivo. Tutto il resto, che nemmeno si vede perché fa parte della microfauna e degli essere invisibili ai più, possono anche sparire. Mentre ci dicono, chi se ne intende, che sono quelli più necessari alla vita. D’altronde se vi dicessimo di fare una donazione per salvare il lombrico o il rospo, lo fareste o lo fareste di più, che se invece fosse per aquile o elefanti? In tutto questo un’ipocrisia galoppante avvolge qualunque tentativo di tutti quelli che si dannano a voler seguire la religione del salvataggio. Forse se smettessimo di colpevolizzarci, e facessimo un passo o tanti indietro nel tempo, ci accorgeremmo che mai come in questi ultimi decenni, o nel nostro secolo, siamo stati così attenti al pianeta. Mai come adesso stiamo curando i mari. Mai come adesso siamo attenti alle emissioni. Mai come adesso siamo attenti ai nostri consumi, ai nostri animali. Mai così tanti parchi, zone protette, istituti che si occupano di monitoraggi, di studi, di indagini sulla Natura e i suoi abitanti. Mai come adesso si spendono tanti soldi per progetti, perfezionamenti, cambiamenti in meglio per il nostro pianeta. Ma l’abbiamo studiata la storia? Abbiamo mai indagato su cosa succedeva alla Natura e agli animali nel mondo solo 100 o 70 anni fa? O anche duemila anni fa: perché non ricordare, per esempio, l’attività disboscativa dell’impero romano, che in molti casi ha cambiato radicalmente (e permanentemente) interi ecosistemi?

Mai come adesso l’attività venatoria è controllata, limitatissima, continuamente monitorata e rivolta alle specie in eccesso. Mai come adesso il bracconaggio è perseguito, gli abusi delle aziende indagati. Certo non tutto va benissimo. Ma il lavoro non si fa con la bacchetta magica. Per esempio i nostri salvatori, con tutto l’esercito del “blà blà blà” guidati dalla pasionaria Greta, dovrebbero andare subito a marce forzate a manifestare in Cina, in India, in America del Sud e fare lì i blocchi stradali e le marce di protesta. Come mai si incollano solo ai Paesi europei? E non magari sui muri della Città Proibita a Pechino? O magari addosso al Taj Mahal ad Agra, in India? Troppo scomodo? Sono troppo permalosi lì? Vorremmo aggiungere che la platea dei tanti giovani, che ci colpevolizzano per non lasciargli un pianeta vivibile, dovrebbero sapere (ma lo sanno?) che sono proprio le loro esigenze che stanno incrinando il pianeta. Noi giocavamo con due palline di vetro, mentre oggi ci sono anche 100 computer accesi e collegati insieme per un banale gioco tra amici. E ci vogliono gigabyte a profusione per le tante play station, gigabyte a tonnellate per le tante stupidaggini che volano sui “loro” social. E per dare tutto questo le compagnie hanno bisogno di impiantistica più potente, di server mostruosi che riempiono palazzi di sistemi informatici. Che consumano, purtroppo, tanta energia. Tantissima. E come la facciamo l’energia, almeno questo, speriamo che l’abbiano studiato. Tutto questo, con le pale eoliche, nemmeno andrebbe in moto. Per cui nessun problema, il pianeta si salverà. Ma se vogliamo salvarci noi, mettiamo i piedi per terra. E valutiamo con equilibrio le nuove religioni del catastrofismo ambientale.