Il parere dell’Infs su stambecco e marmotta

In relazione all’articolo pubblicato a pagina 241 del numero di maggio 2005 di Armi e Tiro, che trattava delle possibilità di prelievo venatorio dello stambecco, pubblichiamo in forma integrale il parere espresso dall’Istituto nazionale fauna selvatica (Infs) sulla materia. L’istituto ammette il prelievo, sotto certe condizioni, sia per lo stambecco, sia per la marmotta.Istituto nazionale per la fauna selvatica “Alessandro Ghigi”Prot. 4882/T-A68… In relazione all’articolo pubblicato a pagina 241 del numero di maggio 2005 di Armi e Tiro, che trattava delle possibilità di prelievo venatorio dello stambecco, pubblichiamo in forma integrale il parere espresso dall’Istituto nazionale fauna selvatica (Infs) sulla materia. L’istituto ammette il prelievo, sotto certe condizioni, sia per lo stambecco, sia per la marmotta. [

] Istituto nazionale per la fauna selvatica “Alessandro Ghigi” Prot. 4882/T-A68 Ozzano Emilia, 16 luglio 2004 Oggetto: introduzione dello stambecco (capra ibex) e della marmotta (marmotta marmotta) nell’elenco delle specie cacciabili nell’ambito di un’eventuale revisione della legge n. 157/92. All’Uncza Unione nazionale cacciatori zona Alpi c.a. del presidente Rino Masera via Rosmini 51 39100 Bolzano (Bz) In riferimento alla richiesta formulata da codesta associazione con nota del 7 luglio u.s., con la presente questo istituto esprime il proprio giudizio sulla materia in oggetto. L’inserimento di nuove specie tra quelle cacciabili deve essere valutato sulla base di una serie di parametri biologici, tecnici, giuridici e culturali. Questo istituto non ha titolo per entrare nel merito degli ultimi due aspetti e pertanto si limiterà ad applicare alle due specie oggetto della richiesta i parametri biologici e tecnici che ritiene debbano essere tenuti in considerazione. Stambecco Stato di conservazione Attualmente lo stambecco è presente in Italia con una popolazione stimabile in 13.250 capi, suddivisa in 69 diverse colonie che occupano un areale forestale disgiunto ma complessivamente stimabile in 5.000 km2. Queste colonie sono il frutto, nella maggioranza dei casi, di reintroduzioni avvenute a partire dal 1921 e in parte tuttora in corso. Dopo essere giunto alla soglia dell’estinzione nella seconda metà del XIX secolo, oggi lo stambecco può essere considerato fuori pericolo. Superata una prima fase di “recupero” distributivo e numerico, diverse aree caratterizzate da habitat adatti per lo stambecco ospitano ormai popolazioni che mostrano buone consistenze e alcune colonie hanno raggiunto probabilmente valori di densità prossimi a quella biotica. Va tuttavia notato come dal punti di vista distributivo esista ancora una macroscopica differenza tra l’areale effettivamente occupato e quello potenziale e come le colonie risultino spesso tra loro ampiamente separate. La strategia di occupazione di nuovi territori per emigrazione naturale appare molto lenta, sia per le caratteristiche di uso dello spazio che portano lo stambecco a frequentare costantemente le stesse zone di svernamento, sia per le sue caratteristiche di specie alto-alpina che ne fanno un animale a elevata “insularità” e, quindi, dotato di non elevate capacità di colonizzazione. La discontinuità e l’isolamento degli areali, la lentezza della colonizzazione spontanea di nuove aree e, in generale, le consistenze ancora ridotte rispetto alle potenzialità del territorio alpino italiano, rendono auspicabile la prosecuzione delle operazioni di reintroduzione. Queste ultime risultano necessarie per completare in tempi ragionevoli il ritorno della specie su tutti i massicci dell’arco alpino da cui venne rimossa. Le reintroduzioni devono essere condotte nell’ambito di una strategia coordinata di conservazione, che tenda a far rientrare le diverse colonie in ampie metapopolazioni, con una pianificazione ed esecuzione degli interventi basata su considerazioni di tipo ambientale, sanitario, demografico e genetico. Nell’ambito di una strategia complessiva di conservazione dello stambecco l’ avvio di un’attività venatoria ben regolamentata, a carico delle colonie già sufficientemente affermate e presenti in territori ove la caccia è consentita, può essere ritenuta accettabile sul piano biologico e tecnico e potrebbe stimolare il mondo venatorio a un coinvolgimento diretto nel promuovere un’ ulteriore espansione delle popolazioni e dell’areale complessivo. Va infine ricordato che lo stambecco è regolarmente cacciato in Svizzera, Austria e Slovenia mentre risulta tuttora protetto in Francia e Germania. Per una disamina esaustiva dei dati storici, distributivi e demografici si veda il rapporto “Banca dati ungulati” (Pedrotti et al., 2001). Stato giuridico a livello internazionale Lo stambecco è citato nell’allegato V della Direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. L’art. 14 della direttiva stabilisce che qualora gli Stati membri intendano sottoporre le specie elencate nell’Allegato V al prelieo, gli stessi debbano adottare misure affinché il loro sfruttamento risulti compatibile con il mantenimento delle specie coinvolte in uno stato di conservazione favorevole, in particolare attraverso la regolamentazione dei periodi e/o dei metodi di prelievo, l’istituzione di un sistema di autorizzazioni di prelievi o di quote e la valutazione dell’effetto delle misure adottate. Possibilità di stima quantitativa e qualitativa delle popolazioni Per le sue caratteristiche morfologiche e comportamentali lo stambecco mostra un buon indice di contattabilità (probabilmente secondo solo a quello del camoscio appenninico nell’ambito degli ungulati italiani). Ciò consente la conduzione di stime accurate della consistenza delle diverse colonie applicando metodologie gà ampiamente utilizzate nella relizzazione di censimenti degli ungulati alpini. Le caratteristiche sopra menzionate consentono pure di stabilire agevolmente la struttura delle popolazioni (suddivise in classi di sesso e di età) che rappresenta un elemento conoscitivo indispensabile per l’ applicazione della caccia selettiva. Organizzazione e modalità del prelievo venatorio L’avvio di un’attività venatoria a carico dello stambecco può essere ritenuta accettabile sul piano biologico e tecnico purché vengano rispettati i seguenti requisiti. 1. Individuazione di specifiche unità territoriali di gestione che corrispondono all’areale occupato da ciascuna colonia nell’intero ciclo annuale (quartieri estivi e quartieri di svernamento). A tali unità territoriali dovranno riferirsi i censimenti, la stima dell’incremento annuo e i piani annuali di prelievo. Questi ultimi potranno essere suddivisi nei Comprensori alpini, nelle Riserve alpine e nelle Aziende faunistico-venatorie il cui territorio ricade in tutto o in parte nell’unità territoriale di gestione. 2. Regolare conduzione di censimenti annuali tesi a stimare la consistenza e la struttura delle popolazioni sottoposte a gestione venatoria. 3. Stesura di piani di prelievo venatorio basati sui dati demografici delle popolazioni interessate, sulla loro dinamica e sugli indirizzi dettati dagli strumenti di pianificazione faunistica approvati dalle amministrazioni competenti e dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica. Orientativamente la dimensione minima di una popolazione compatibile con il prelievo venatorio è di 400 capi e la percentuale di abbattimento su popolazioni stabilizzate non deve superare il 10% annuo. 4. Esecuzione dei prelievi esclusivamente attraverso la caccia di selezione che comporta: – l’assegnazione individuale del capo da abbattere a ciascun cacciatore abilitato; – L’accesso al prelievo da parte di cacciatori specificamente abilitati attraverso appositi corsi e prove d’esame; – L’utilizzo del prelievo in forma individuale, alla cerca e/o all’aspetto, con l’utilizzo esclusivo di armi a canna rigata dotate di ottica di mira, e senza l’ ausilio di cani; – L’esame dei capi abbattuti per i necessari controlli di correttezza dell’ abbattimento e per la raccolta di dati biometrici e sanitari. 5. Periodo di caccia compreso tra il 1 settembre e il 15 dicembre. Si fa presente che i requisiti sopra enunciati dovrebbero essere chiaramente esplicitati in un’eventuale modifica della legge 157/92 tesa a introdurre lo stambecco tra le specie cacciabili e dovrebbero essere estesi a tutte le specie di ungulati già elencati nell’art. 18, comma 1, lettera c) della stessa legge. Marmotta Stato di conservazione La marmotta è un roditore diffuso nell’intero arco alpino italiano, dalle alpi Marittime alle Giulio, praticamente senza soluzione di continuità; la specie è stata recentemente introdotta nell’Appennino ligure e in quello tosco-emiliano (Spagnesi, 2000). Non esistono dati ufficiali riferibili alla consistenza complessiva della marmotta in Italia, anche se risulta evidente la notevole crescita numerica cui la specie è andata incontro negli ultimi decenni. L’ areale effettivamente occupato corrisponde ormai sostanzialmente a quello potenziale (Boitani et all. 2002) anche se non tutte le colonie, e particolarmente quelle di più recente formazione, hanno raggiunto valori di densità prossimi a quella biotica. Come lo stambecco, anche la marmotta sembra mostrare un uso dello spazio assai conservativo e una scarsa e lenta tendenza a ricolonizzare naturalmente nuove aree. Di fatto l’evoluzione positiva riscontrata recentemente è dovuta in larga misura alle numerose operazioni di reintroduzione condotte a partire dal secondo dopoguerra e tuttora intraprese da diverse amministrazioni ed enti gestori. Sarebbe auspicabile che le immissioni proseguissero anche nel prossimo futuro per rafforzare le colonie neoformate e per reintrodurre la specie anche in quei limitati settori geografici caratterizzati da una buiona recettività ma ove essa non è ancora presente. Per motivi zoogeografici ed ecologici vanno invece evitate nuove introduzioni al di fuori dell’arco alpino che costituisce l’areale originario della specie. In una strategia complessiva di conservazione della marmotta il prelievo venatorio può risultare accettabile purché adeguatamente regolamentato. Va ricordato che la marmotta è regolarmente cacciata in Francia, Svizzera, Austria, Germania e Slovenia. Stato giuridico a livello internazionale La marmotta non è citata negli allegati della direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. Possibilità di stima quantitativa e qualitativa delle popolazioni La marmotta è caratterizzata da un elevato indice di contattabilità; la specie mostra infatti un’attività prevalentemente diurna, frequenta ambienti aperti con pochi ostacoli visivi e basa il proprio sistema di comunicazione su messaggi sonori inconfondibili e udibili anche a grande distanza. La dimensione delle colonie può essere agevolmente stimata con osservazioni dirette eseguite contemporaneamente da più osservatori su settori predefiniti e cartografati. Il periodo migliore per eseguire le stime è la seconda metà di luglio quando anche i cuccioli sono ormai attivi fuori dalle tane e quindi ben visibili. Organizzazione e modalità del prelievo venatorio L’avvio di un’attività venatoria a carico della marmotta può essere ritenuta accettabile sul piano biologico e tecnico purché vengano rispettati i seguenti requisiti. 1. Individuazione di specifiche unità territoriali di gestione che corrispondono all’areale occupato da ciascuna colonia. A tali unità territoriali dovranno riferirsi i censimenti, la stima dell’incremento annuo e i piani annuali di prelievo. 2. regolare conduzione di censimenti annuali tesi a stimare la consistenza e la struttura delle popolazioni sottoposte a gestione venatoria (limitatamente al rapporto giovani/adulti). 3. Stesura di piani di prelievo venatorio basati sui dati demografici delle popolazioni interessate, sulla loro dinamica e sugli indirizzi dettati dagli strumenti di pianificazione faunistica approvati dalle amministrazioni competenti e solo sulle colonie mature che hanno raggiunto densità elevate, anche tenendo presenti le ampie fluttuazioni numeriche interannuali che caratterizzano la specie. Considerata l’importanza della marmotta come fonte trofica per le popolazioni alpine dell’aquila reale (aquila chrysaetos), la percentuale di abbattimento dovrebbe comprendere solo una parte limitata dell’ incremento utile annuo, orientativamente dal 10 al 15% della popolazione stimata. 4. Assegnazione individuale del capo da abbattere a ciascun cacciatore abilitato 5. Esecuzione del prelievo in forma individuale, alla cerca e/o all’aspetto, con l’utilizzo esclusivo di armi a canna rigata dotate di ottica di mira, e senza l’ausilio di cani. 6. Esame dei capi abbattuti per i necessari controlli biometrici e sanitari. 7. Cacciabilità limitata alle regioni alpine al fine di non incentivare il rilascio della specie al di fuori del suo areale originario. 8. Periodo di caccia compreso tra il 1 settembre e il 15 ottobre. Si fa presente che i requisiti sopra enunciati dovrebbero essere chiaramente esplicitati in un’eventuale modifica della legge 157/92 tesa a introdurre la marmotta tra le specie cacciabili. Rimanendo a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti, si porgono distinti saluti Il dirigente responsabile Dott. Silvano Toso