I droni del futuro: da killer a… soldati

I droni divenuti protagonisti della “guerra al terrore” agivano pressoché indisturbati con il dominio assoluto del cielo. Per risultare competitivi contro Paesi tecnologicamente evoluti, però, stanno mutando pelle e oltre alle capacità offensive devono anche essere in grado di difendersi

Tecnicamente sono Uav (Unmanned aerial vehicle) o da noi, Apr (Aereo a pilotaggio remoto), più specificamente e riguardo alla loro categoria sono dei “Male”: Medium altitude, long endurance – Media quota, lunga autonomia. Inizialmente pensati e impiegati nelle missioni di ricognizione aerea, con il vantaggio di non esporre a rischi i piloti in lunghe missioni, sono diventati via via sempre più armati e… assassini.

Protagonisti (per quanto discussi) della “Guerra al terrore”, si sono fatti una solida reputazione internazionale insieme a sostanziose vendite. Tuttavia, le loro azioni si sono svolte in teatri in cui il nemico non aveva superiorità aerea: anzi, non aveva proprio forze aeree come sistemi adeguati a contrastarli.
Ma se si combatte un nemico che ha quasi analoghe o analoghe capacità militari allora, la cosa cambia e parecchio. Questi droni tra l’altro, seppur pesantemente armati con missili anticarro come gli Hellfire con una gittata di 8 chilometri, oppure con bombe a guida laser, dovevano comunque avvicinarsi di più ai loro bersagli per poterli colpire con precisione. In un moderno teatro di guerra con opponenti all’altezza della situazione come Russia e Cina, questi droni rischiavano pesanti disfatte e di conseguenza, un prematuro e forzato pensionamento. Oppure, mutare strategia, ruoli, dotazioni e in pratica, trasformarsi da “killer” in soldati capaci di resistere e, possibilmente, vincere, nei nuovi scenari militari. Le forze armate americane infatti, stanno prendendo questo indirizzo.

In scenari altamente contestati è normale aspettarsi adeguate contromisure elettroniche, che vanno a colpire la principale vulnerabilità di questi sistemi: ossia, il collegamento radio tra il drone e il suo operatore. Con appositi jammer infatti, è possibile disturbare-interrompere questo contatto. La General atomics aeronautical systems (Ga-Asi) il principale costruttore di questi droni, sta sviluppando un sistema di comunicazione laser aereo in grado di fornire un canale di comunicazione non disturbabile e non rilevabile con i satelliti, da installare sui MQ-9 Reaper: l’Alcos o Airborne laser communication system. Le sue recenti sperimentazioni (coronate dal successo) consentiranno una rapida installazione a bordo dei Reaper.

Il pod “agile condor” (agganciato ad un MQ-9 Reaper), è il primo dotato di intelligenza artificiale (Ai – Artificial intelligence).

L’Air force inoltre, ha sviluppato una suite di intelligenza artificiale (AI) con il nome di “Agile condor” per consentire ai droni di continuare la loro missione anche quando le comunicazioni vengono perse, tale sistema è installabile come un semplice pod aggiuntivo agganciato a un pilone dell’aeromobile. Non solo, “Agile condor” è in grado di raccogliere ed elaborare grandi quantitativi di dati sui bersagli e la situazione tattica, selezionando in modo autonomo certi bersagli e trasmettendo solo quelli ritenuti più pericolosi e/o funzionali al profilo di missione, alleggerendo significativamente il carico di lavoro degli operatori e degli analisti della stazione di controllo (Gcs – Ground control station) a terra, razionalizzando e velocizzando il normale processo di intelligence & targeting.

Sempre la Ga-Asi ha anche testato per il Socom (Special operations command) un MQ-9 Reaper con un nuovo pod di “auto-protezione” capace di rilevare e tracciare le minacce rappresentate dai missili sia a ricerca di calore sia a guida radar. Nel caso, può rilasciare speciali inganni elettronici come il “Brite cloud” (sviluppato dalla italiana Leonardo), non più grande di una normale lattina di soft drink e capace di accecare, o attirare su di sé, i missili lanciati contro l’aeromobile.

Migliorata la sopravvivenza di questi droni, si è pensato subito a come migliorare le loro capacità di attacco e a come “allungare” la distanza di attacco. I droni della categoria Male come i Reaper per esempio, possono diventare delle “navi madre” per altri e più piccoli droni (Ale – Air launched effects) come anche lanciare nuove munizioni circuitanti (loitering munition). Tra questi lo Sparrowhawk (Ga-Asi del peso di 90 chilogrammi) con ala ripiegata di 90° sotto la propria fusoliera quando agganciato all’aeromobile “madre”, con carichi paganti di diversa tipologia (ricognizione, falso bersaglio, letale) in grado di essere, addirittura, recuperabile/rifornibile in volo e quindi, riutilizzabile; è in grado di restare in volo di missione sino a 10 ore. Oppure come l’Area-I Altius 500/600 (circa 7 chilogrammi) lanciabile attraverso tubi di lancio e dotato di carico pagante (payload) modulare installabile all’occasione: sensore intelligence-sorveglianza, signal intelligence, anti- drone e/o con testata esplosiva. Nonostante le dimensioni ridotte, ha un autonomia massima di 4 ore o 400 chilometri.

Il drone Sparrowhak (della Ga-Asi) sarà lanciabile, rifornibile e recuperabile in volo: darà maggior “braccio” agli Uav di tipo Male.

In pratica, assisteremo a una evoluzione tutt’altro che lenta di questi aeromobili a pilotaggio remoto: cambiano il loro profilo di missione, aggiornano equipaggiamenti e armamenti ma… resteranno ancora a lungo nei cieli.