Divide pure la preghiera dell’alpino

Polemica su social e quotidiani sulla decisione di un parroco veneto di accogliere gli alpini a patto che la preghiera fosse la versione “addolcita” senza alcun riferimento alle armi

Ancora polemiche in Veneto, dopo quelle riguardanti alcuni professori e studenti di un liceo veneziano che hanno rifiutato di incontrare una rappresentanza di militari in vista del 4 novembre. Questa volta protagonista della vicenda è stata la chiesa di San Pietro a Vicenza, che avrebbe dovuto ospitare il gruppo degli alpini di Borgo Casale, per la deposizione di una corona in ricordo dei caduti e la funzione religiosa. Il parroco, tuttavia, ha chiesto di far leggere la preghiera degli alpini “edulcorata” senza il riferimento alle armi. All’evento era presente anche l’assessore regionale del Veneto, Elena Donazzan (in foto), che ha postato sui social un video diventato virale. “La chiesa è inclusiva con tutti, a cominciare dai migranti, tranne che con gli alpini, che poi, però, sono i primi a farsi in quattro per risistemare le parrocchie”, ha commentato l’esponente di Fratelli d’Italia. Gli alpini hanno preferito quindi andare in un altro posto per la celebrazione.

La frase “incriminata” della preghiera degli alpini, nel testo originale che ha assunto la sua forma ufficiale nel 1949, è la seguente: “Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana”. Tale preghiera è stata successivamente modificata, fin dal 1972, nell’attuale versione approvata dall’ordinariato militare con la seguente strofa: “rendici forti a difesa della nostra Patria, della nostra Bandiera e della nostra millenaria civiltà cristiana”. Il consiglio direttivo nazionale dell’Ana (Associazione nazionale alpini) dispose tuttavia nel 1987 che la preghiera fosse preferibilmente recitata nella sua forma originaria, quando nelle cerimonie fossero presenti unicamente iscritti all’Ana.

La risonanza che ha avuto l’incidente ha scomodato addirittura la diocesi di Vicenza, che ha così commentato: “Nessuno è stato cacciato, e a nessuno è stato impedito di entrare in chiesa. È stato solo chiesto al gruppo di Alpini di utilizzare per la “preghiera dell’Alpino” durante la celebrazione della Messa il nuovo testo indicato dall’Ordinariato Militare d’Italia, in cui non si fa più riferimento alla “benedizione alle armi”, testo peraltro utilizzato dagli alpini in servizio militare. Il vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol già dal 2017, sentito appunto il parere dell’Ordinariato Militare d’Italia, aveva deciso che nelle celebrazioni si utilizzasse il nuovo testo, peraltro adottato fin dagli anni 70 dagli alpini in servizio effettivo”, ha spiegato il responsabile dell’ufficio stampa della diocesi, don Alessio Graziani, “di fronte a questa richiesta, gli alpini del Gruppo Ana locale hanno scelto liberamente di non partecipare alla Messa, che peraltro era già stata preparata dal parroco e che aveva in programma di suonare anche “Il Silenzio”, una decisione presa senza neppure essere comunicata al parroco. A nome del vescovo ci tengo a sottolineare che la Chiesa di Vicenza nutre affetto e gratitudine per tutti gli alpini, che sono una presenza significativa di solidarietà e di spirito di servizio costante per la nostra comunità”.

Appare forse un po’ ipocrita sottolineare il fatto che “nessuno sia stato cacciato” dalla chiesa in questione: semplicemente l’accesso è stato condizionato alla rinuncia alle proprie tradizioni (alle quali, come è noto, gli alpini non sono assolutamente legati…) e tanto evidentemente è bastato, a persone (gli alpini) abituati ad avere la schiena dritta di fronte alle cannonate, che sono ben altra cosa rispetto alle preoccupazioni pacifiste del parroco o del suo vescovo. Stona, tra l’altro, che in molte occasioni il clero e la chiesa si dimostrino più che comprensivi e “inclusivi”, come si usa dire oggi, nei confronti di abitudini, usi e costumi di persone che vengono da lontano, ma (apparentemente) non altrettanto nei confronti delle tradizioni di chi è nostro vicino di casa.

Al di là della singola vicenda, appare quantomeno ridicolo (a prescindere da quando risalga) che ci si sia preoccupati di eliminare il riferimento alle armi in una preghiera che è propria di un corpo militare delle nostre forze armate: forse perché, come taluni hanno fatto (miopemente) notare, l’Italia “ripudia la guerra” (articolo 11 della Costituzione), dimenticando tuttavia che l’articolo 52 sempre della Costituzione afferma che “la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”. Più di tutto appare ridicola questa precauzione quando altre preghiere di altri corpi militari, continuano ancor oggi a fare esplicito riferimento alle armi, senza che nessuno (nessuno di normale buon senso, almeno…) abbia alcunché da ridire. È appena il caso, a tal proposito, di citare come esempio la preghiera del marinaio, che dopo aver proclamato “A Te, o grande eterno Iddio, Signore del cielo e dell’abisso, cui obbediscono i venti e le onde, noi, uomini di mare e di guerra, Ufficiali e Marinai d’Italia, da questa sacra nave armata della Patria leviamo i cuori”, precisa anche “Benedici nella cadente notte il riposo del popolo, benedici noi che, per esso, vegliamo in armi sul mare”.

Appare abbastanza evidente che un esercito senza armi, è tutto tranne che un esercito, quindi le armi sono qualcosa che necessariamente caratterizza e connota le forze (appunto) armate. Si potrebbe anche aggiungere, se il vescovo lo consentisse, che gli alpini dell’Ana il diritto di recitare la preghiera nella forma a loro più congeniale se lo sono guadagnato, con il sacrificio sui campi di battaglia e con l’aiuto che tutti i giorni svolgono a favore del popolo italiano.