Colpa del Rolex o delle armi facili?

Colpa delle armi facili (avevate dubbi?) o del Rolex che a Napoli “non si deve indossare”? Si moltiplicano i commenti, sempre più assurdi, sulla disgraziata vicenda di Ugo Russo, il sedicenne morto mentre cercava di rapinare un carabiniere

Non si fermano gli strascichi alla disgraziata vicenda di Ugo Russo, il sedicenne morto mentre cercava di rapinare un carabiniere. I commenti sono ormai centinaia, espressi da personaggi e rappresentanti delle istituzioni, ma anche di associazioni e così via. Sembra, tuttavia, che più passa il tempo e più, invece di tornare a un approccio più pacato e per quanto possibile distaccato dagli inevitabili contorni umani, il volano delle dichiarazioni assurde si faccia sempre più vorticoso. Così, tocca anche di sentire in Radio (alla Zanzara su Radio 24) e leggere poi sugli organi di informazione che per Pietro Ioia, garante dei detenuti per il comune di Napoli, “sappiamo com’è questa città, come si fa a camminare con un Rolex in coppa o’ braccio, insomma, sai che più o meno puoi subire una rapina. Tu sei carabiniere. Devi sapere queste cose. Io col Rolex al braccio a Napoli non ci cammino”, aggiungendo poi che “Era meglio se lasciava a casa la pistola e l’orologio. Sappiamo com’è Napoli. Senza Rolex non succedeva”.

Non poteva ovviamente mancare, su questa vicenda, anche il collegamento (che definire forzato è un eufemismo) sulle “armi facili”. A proporlo è il magistrato Alberto Cisterna, dalle pagine del Riformista, che sotto a un titolo immaginifico (quanto francamente incongruo rispetto alla vicenda) “Vicenda Ugo Russo ci insegna che armi a tutti non portano sicurezza ma follia”, dà spazio alla seguente riflessione: “Ma, a ben guardare, quella di Napoli è una triste vicenda in cui un cittadino “carabiniere” – e, quindi, solo per questo in possesso in un regolare porto d’armi – ha aperto il fuoco per difendere oggetti di sua proprietà da un giovanissimo rapinatore che aveva una pistola giocattolo. Poiché manteniamo fede all’impegno che ci è stato chiesto di non prendere posizione sull’accaduto, confermiamo che è giusto attendere per comprendere cosa sia capitato. Ma tutto ciò non esime dal ricordare quante critiche ebbero a sollevarsi prima e dopo l’approvazione della legge sulla legittima difesa e quanto forte sia stata e sia ancora la spinta – soprattutto da parte di alcuni settori della politica – a rendere ancora più liberi la circolazione e l’uso delle armi. Non esistono statistiche ufficiali che ci dicano quante persone restino uccise o ferite per legittima difesa in Italia: bisogna attendere lunghi e complessi processi per stabilirlo, appunto”. E ancora: “Quel che sappiamo, però, è che un giovane carabiniere, ben addestrato, colto di sorpresa dall’aggressione di un rapinatore ha sparato tre colpi di pistola. Il fatto che l’arma fosse una replica, che il rapinatore avesse 15 anni, che la rapina avrebbe fruttato pochi spiccioli non sono però il contorno della vicenda, ma ne rappresentano – paradossalmente – l’essenza più cupa e ammalorata. La tragedia di Napoli, la doppia tragedia di Napoli, dovrebbe essere evocata ogni qualvolta si soffia sul terreno della paura e si invoca il ricorso alle armi come la strada principale per la difesa personale dal crimine. Se un giovane carabiniere, con tutto il suo bagaglio di prontezza di riflessi e con tutta il suo accurato addestramento, ha aperto il fuoco in una condizione come quella di Napoli, c’è da chiedersi cosa accadrebbe se quelle pistole finissero disinvoltamente nelle mani di panciuti commercianti o di sprovveduti tabaccai. Lo Stato ha il dovere di proteggere, anche con le armi, la vita dei propri cittadini da ogni atto violento. Ma un identico dovere non è previsto per la difesa della proprietà privata la cui protezione con la forza è consentita dal codice penale (art.53) solo se si sta commettendo una rapina a mano armata. Quel giovane carabiniere avrebbe forse potuto sparare, dopo una ponderata decisione frutto del suo addestramento, se fosse stato in servizio e fosse intervenuto a difesa di qualcuno, ma avendo difeso se stesso in quel momento era un cittadino qualunque e ha consumato il dramma di un cittadino come tanti altri. Ed è a quell’uomo di ogni giorno, pacifico e impaurito, baldanzoso e impacciato, laborioso e guardingo che occorre volgere lo sguardo oggi in questi giorni di sbigottimento e di tristezza. Certo aspettiamo di sapere com’è andata, caro Direttore, ma nel frattempo quel sangue versato aiuti a comprendere quanto pericolosa e tragica sia la strada delle armi dispensate con generosità a tutti”.