Armi antiche: vita, morte e miracoli

Tra le armi detenibili dai cittadini, ci sono anche quelle classificate antiche. Ma cosa significa? E come si possono acquistare? Quante se ne possono detenere?

Molti degli appassionati italiani d’armi hanno una discreta confidenza con i cavilli legali inerenti le armi moderne: sanno quante è possibile detenerne, come si acquistano e così via. Anche a loro capita, però, talvolta di subire il fascino dell’arma d’epoca, magari occhieggiata in un angolino della propria armeria preferita. E li si incartano, indecisi su cosa fare: l’arma antica fa cumulo con l’arma comune? Ci rimetto un posto in denuncia? Eh, no, eh? E poi come si compra? Basta il porto d’armi o devo avere qualcosa di più? O di meno? E così via. Ecco allora un breve vademecum per capire come affrontare il tema “arma antica”…

Il concetto di arma antica è delineato dalla legge 110/75, la quale all’articolo 10, settimo comma, stabilisce che “Sono armi antiche quelle ad avancarica e quelle fabbricate anteriormente al 1890”, salvo poi però la stessa legge 110/75, ma all’articolo 2, considerare armi comuni da sparo le “repliche di armi antiche ad avancarica di modelli anteriori al 1890”, escludendo così (in modo abbastanza logico) le repliche dal novero delle armi antiche. Quando la commissione consultiva centrale per il controllo delle armi (ente costituito dalla stessa legge 110/75 e abolito nel 2011) iniziò le procedure di iscrizione delle armi comuni da sparo nel catalogo nazionale delle armi, ci si pose il problema di capire se dovessero considerarsi antiche solo le armi effettivamente costruite prima del 1890 o anche quelle prodotte successivamente, purché secondo lo stesso modello, dagli stessi fabbricanti e con gli stessi materiali e tecniche. La Commissione stabilì che si considerassero antiche anche queste ultime, come potete leggere QUI. Oltre alle armi “antiche” tout court, la legge 110/75, sempre all’articolo 10, menziona anche le armi “artistiche o rare d’importanza storica di modelli anteriori al 1890”, stabilendo che, insieme alle antiche, sarebbero state oggetto di uno specifico regolamento “da emanarsi di concerto tra il ministro per l’Interno e il ministro per i beni culturali entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge”. In realtà il regolamento sarà adottato con decreto ministeriale 14 aprile 1982 e questo atto normativo complementare contiene in effetti molte informazioni utili, come spiegheremo. Il decreto innanzi tutto stabilisce uno spartiacque fondamentale, annunciando che le armi “artistiche o rare d’importanza storica” devono comunque essere di modello anteriore al 1890 (art. 1), ma possono anche essere (come peraltro aveva già sancito la Commissione consultiva per le armi antiche in sé) di produzione successiva a tale data; qualora, però, fossero prodotte successivamente al 1920 (art. 4), sarebbe stato necessario portarle al Banco di prova per l’apposizione del numero di matricola, entro un anno dalla pubblicazione del decreto stesso. Nel decreto stesso (art. 3) si stabilisce che se un’arma è artistica o rara di importanza storica, ma è fabbricata su modello successivo al 1890 e per di più è arma da guerra o tipo guerra, non sono previste agevolazioni rispetto alla disciplina generale delle armi da guerra o tipo guerra. Le armi antiche, invece (art. 2), “anche se originariamente fabbricate per uso bellico ed utilizzate come armi da guerra, non sono considerate in alcun caso come tali”.

L’arma antica è comunque un’arma, come previsto dall’articolo 30 del Tulps. Quindi per acquistarla è necessario possedere un titolo valido per l’acquisto, che può essere un nulla osta, un porto d’armi oppure la specifica licenza di collezione per armi antiche, artistiche e rare d’importanza storica, disciplinata sempre dal decreto ministeriale 14 aprile 1982, il quale stabilisce innanzi tutto che la licenza viene rilasciata dal questore (art. 8) e ha durata permanente (art. 11), ma soprattutto (sempre art. 11) che con tale licenza il titolare può “acquistare o vendere le armi di cui all’art. 1 per migliorare la propria collezione, senza l’osservanza della disposizione contenuta nell’art. 35 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”, cioè quella disposizione che vieta di vendere ai privati che non siano in possesso di un porto d’armi o un nulla osta. Chi chiede la licenza non deve dimostrare la capacità tecnica prevista per il rilascio delle altre autorizzazioni in materia di armi, fermo restando il divieto di detenzione del relativo munizionamento delle armi inserite nella licenza (art. 8). Ovviamente, se oltre alle armi in licenza, il soggetto detiene anche altre armi antiche dello stesso calibro in forza della denuncia di detenzione prevista dall’articolo 38 Tulps, potrà detenere il relativo munizionamento nei limiti previsti dall’articolo 97 del regolamento di esecuzione al Tulps. In teoria il detentore di licenza di collezione per armi antiche non sarebbe neanche obbligato a inserire ogni singola arma acquistata, perché l’articolo 11 del decreto prescrive che siano denunciati al questore “i cambiamenti sostanziali delle collezioni o del luogo in cui sono custodite”, tuttavia il nostro consiglio è quello di far modificare la licenza di collezione ogni volta che si acquista un nuovo pezzo. Per chi non è in possesso della licenza di collezione, il limite di armi antiche detenibili in forza della licenza ex art. 38 Tulps è di otto, che ovviamente non vanno a far cumulo con le armi comuni (attualmente detenibili in 3 esemplari), quelle sportive (12) o quelle da caccia (illimitate). Questo quantitativo è stabilito dall’articolo 7 del decreto.

Assolutamente sì, come esplicitamente prevede l’articolo 7 del decreto. E questo vale per TUTTE le armi antiche: ad avancarica, a retrocarica, a un colpo o a più colpi. Sono però previste due eccezioni, la prima ovviamente è relativa ai soggetti che siano in possesso di una licenza di collezione per armi antiche, la seconda è invece prevista dalla legge 36/90 ed esenta dall’obbligo di denuncia quelle armi antiche “inidonee a recare offesa per difetto ineliminabile della punta o del taglio, ovvero dei congegni di lancio o di sparo“. Cosa si intenda per “difetto ineliminabile” ovviamente non è semplice né chiaro da stabilire, il consiglio è che, nel momento in cui si rinvenga un’arma antica che si ritiene inefficiente in modo “ineliminabile”, si faccia certificare tale “ineliminabilità” da un perito.

La qualifica di arma antica è stabilita in pratica dal detentore, che alla denuncia di detenzione o alla richiesta di inserimento in collezione che presenta all’autorità di Ps allegherà idonea documentazione: nella stragrande maggioranza dei casi, nella dichiarazione di vendita rilasciata dall’armeria è indicato che l’arma è antica e tanto basta. Allo stesso modo, se si acquista da privato e il venditore aveva l’arma in denuncia come antica, l’acquirente la potrà indubbiamente denunciare come antica. L’articolo 6 del decreto stabilisce però che “qualora la qualità di arma antica, artistica o rara di importanza storica, in sede di denuncia di cui al successivo art. 7, non sia sufficientemente documentata dal detentore, la stessa viene accertata per quanto possibile a richiesta del questore, preventivamente informato dall’ufficio di pubblica sicurezza o comando carabinieri interessato, dalla sovrintendenza per i beni artistici e storici competente per territorio, che potrà avvalersi, per i fini indicati, dell’esperto di cui all’art. 32, comma nono, della legge 18 aprile 1975, n. 110”.