Arma diversa da quella d’ordinanza fuori servizio? Sì, forse, anzi, quasi no…

Il ministero dell’Interno si è pronunciato sulla possibilità di consentire agli agenti di polizia di girare fuori servizio con un’arma personale, più occultabile. Ma sono tali e tanti (e ridicoli…) i paletti da far pensare a una cortina di fumo diffusa al solo scopo di non decidere nulla! L’ennesima pessima figura dei nostri italioti burocrati

Torniamo ad aggiornarvi sull’ormai annosa vicenda del porto dell’arma fuori servizio da parte del personale della polizia. Per quanto riguarda la possibilità di consentire agli agenti di portare fuori servizio un’arma diversa da quella d’ordinanza, di acquisto personale, l'Ufficio per gli Affari della Polizia Amministrativa e Sociale ha diramato lo scorso 27 settembre un comunicato nel quale conferma che “la tematica afferente la possibilità di consentire, mediante il rilascio della prescritta licenza di cui all'art. 42 del T.U.L.P.S.- R.D. 18 giugno 1931, n. 773 ovvero di eventuale altra specifica previsione normativa, agli appartenenti alle Forze di polizia con la qualifica di ufficiale o agente di pubblica sicurezza e di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, di poter portare, liberi dal servizio, un'arma diversa da quella espressamente determinata da ciascuna Amministrazione di appartenenza che costituisce "armamento individuale" è già oggetto di riflessione da parte di quell'Ufficio. Ciò posto, in riferimento alla possibilità dell'eventuale rilascio di un titolo che autorizzi al di fuori dell’orario di servizio, la portabilità di un'arma, che, in ragione del più ridotto ingombro, risulti più facilmente occultabile, rispetto a quella assegnata in via continuativa, non sono state rilevate preclusioni in via generale. Nel merito, è stato riferito che sono tuttora in corso di approfondimento tutti gli altri aspetti di natura prettamente tecnica, che appaiono connessi al rilascio di tale provvedimento autorizzativo.
Nello specifico, l'Ufficio in parola ritiene che non possa essere sufficiente, quale unico riferimento, il solo parametro dimensionale dell'arma e del peso, che di per sé ne caratterizzano la migliore portabilità e quindi la possibilità di essere celata quando l'appartenente è libero dal servizio, ma è necessario considerare anche tutte le altre caratteristiche tecnico balistiche, che contribuiscono a rendere l'arma medesima, al pari dell'armamento in dotazione individuale, in egual misura "adeguata" e "proporzionata" alle necessità di difesa personali nonché alle "…esigenze della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica della prevenzione e della repressione dei reati e degli altri compiti istituzionali", così come recita il D.P.R. del 5 ottobre 1991, n.359 concernente il ''Regolamento che stabilisce i criteri per la determinazione dell'armamento in dotazione all'amministrazione della pubblica sicurezza e al personale della polizia di Stato che espleta funzioni di polizia". L'Ufficio in parola ritiene, in tale rigorosa prospettiva, che tra le caratteristiche tecnico-balistiche da predeterminare, congiuntamente al parametro dimensionale e a quello del peso, si possa individuare, quale criterio di riferimento anche il calibro massimo dell'arma e quindi del relativo munizionamento. Tale scelta, infatti, non appare potersi discrezionalmente demandare al singolo operatore di polizia, ciò anche in ragione dell'ampia gamma offerta nel mercato c.d. "civile" di munizioni ben più performanti, in termini di energia, rispetto a quelle attualmente in dotazione a ciascuna delle Amministrazioni della pubblica sicurezza. Infine, tenuto conto delle diverse tipologie di armi corte (a funzionamento semiautomatico o a rotazione) e comunque, all’interno di ciascuna di esse, in relazione alle dissimili caratteristiche strutturali (sistema di chiusura e sistema di sicura o sicure) per tale specifico ambito, occorrerebbe considerare la necessità di prevedere adeguato addestramento del personale medesimo. Inoltre, è stato rappresentato che la tematica in narrativa, appare direttamente inserirsi, alterandone gli effetti, nella nota questione già allo studio di questo Dicastero afferente l'individuazione, al fine di una puntuale "tracciabilità" e "rintracciabilità" in ambiti operativi di intervento, di un ulteriore e chiaro criterio distintivo volto ad operare una netta diversificazione tra la "versione civile" delle cartucce in calibro mm 9×19 da quelle invece "militari" in uso pure alla Polizia di Stato e all'Arma dei Carabinieri anche alla luce delle recenti disposizioni normative.
Per tale specifica finalità e per maggiormente diversificarne i diversi ambiti di utilizzo, da parte dell'Ufficio in parola è stata valutata la possibilità di prevedere l'apposizione di una marcatura "ad hoc" con codice o sigla identificativa di appartenenza da doversi apporre sul fondello della cartuccia (od anche sul fondello della palla), unitamente a quella NATO già presente eventualmente intervenendo, come proposto dalla Direzione Centrale Anticrimine, caratterizzando la composizione elementare della carica di innesco”.

 

Volete una traduzione dal “burocratese”? Bene, eccovela: in pratica, il ministero dell’Interno, pur valutando in teoria possibile autorizzare gli agenti a dotarsi di un’arma di proprio acquisto da portarsi dietro fuori servizio, più occultabile rispetto a quella d’ordinanza, ha comunque “paura” che i servitori dello Stato si muniscano di armi “troppo potenti” e, quindi, vorrebbe stabilire un tetto massimo al calibro utilizzabile. Perché, attenzione, non si vorrà mica fargli troppo male, ai terroristi o ai criminali, vero? Per chi ha buona memoria, questo richiama alla mente il caro, vecchio concetto di “rilevante rapporto tra potenza e occultabilità” che portò nel 2004 a rifiutare la catalogazione dei revolver calibro .500 S&W. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, evidentemente…

Per parte nostra, non possiamo fare a meno di rilevare l’incongruenza: se un’arma è stata classificata “comune da sparo” dal Banco di prova ed è pertanto liberamente acquistabile da chiunque abbia un porto d’armi, non si capisce per quale motivo non possa essere portata fuori servizio da un poliziotto che se la sia comprata a proprie spese. Quello del “calibro massimo” è quindi un non-problema (semmai, dovrebbe esserlo quello del “calibro minimo”, no?). Per quanto riguarda, invece, l’osservazione relativa alla necessità di addestramento specifico, è anch’essa abbastanza puerile, atteso il fatto che ormai da anni anche l’addestramento con l’arma d’ordinanza è ridotto ai minimi termini (ci sono agenti che ormai da anni non sparano un colpo che sia uno…). Spesso, gli agenti che possiedono armi private hanno un livello di addestramento al tiro che è di diverse volte superiore a quello fornito dall’amministrazione! Per non parlare dello sproloquio finale sulla “tracciabilità” del munizionamento.

Insomma, sembra proprio che il ministero abbia voluto, con questa dichiarazione, proiettare una (ben misera…) cortina di fumo sulla questione, che possa consentire ai burocrati di… decidere di non decidere. Non sia mai che qualcuno debba prendersi la responsabilità di qualcosa, vero?